17 Marzo 2025
Dio indifeso davanti alla volontà dell’uomo
Dov’era il tuo Dio – hanno chiesto – quando uccidevano i piccoli Bibas? Dov’è mentre Gog e Magog stringono un patto che può distruggere il mondo intero?
Non lo so, Dio non deve rendere conto a me, ma oso supporre che Egli fosse con i piccoli Bibas, con tutti quelli che vengono uccisi.
Non il Dio musulmano, ebreo e neppure cristiano, ma Colui che sostiene nell’essere questo globo terrestre impazzito. Un Dio che non sta «al di sopra delle parti», né dalla parte di qualcuno, e nemmeno in disparte. Era là dove uccidevano e violentavano a Buča, a Mariupol’, dove ammazzavano in Rwanda. Era là dove, sopra Auschwitz, Majdanek e Treblinka, saliva il fumo dei forni crematori, a Sandarmoch dove fucilavano migliaia di innocenti per «realizzare il piano»; nello stesso luogo dove si trova oggi, quando in Bielorussia e in Russia si torturano fisicamente e moralmente i prigionieri politici.
Ad Auschwitz, a Treblinka, a Majdanek, a Dora-Mittelbau e a Buchenwald, in Rwanda, a Sandarmoch e sul monte della Sekira, a Buča, a Mariupol’, a Gaza, nel carcere [bielorusso] di Okrestina, nei campi di prigionia russi. Ovunque si uccida, si violenti e si annienti un essere umano. Nel mondo che sta annegando nel male, Dio ha un immenso spazio geografico. Quando si uccide una persona indifesa, non importa dove, chi e per quali «nobili motivi», si uccide anche Dio. Perché Dio è indifeso di fronte alla volontà dell’uomo.
Ne hanno scritto molto, e con grande profondità, Berdjaev, Moltmann e buona parte della teologia della Shoah, ma mi permetto di raccontare la mia esperienza personale. L’ho capito mentre traducevo le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto e inciampavo sempre nella stessa domanda: «Dov’è Dio in tutto questo, lo stesso Dio di cui stamattina, prima di sedermi a tradurre, ho letto che è “Lento all’ira e grande nell’amore. Egli non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno” (Sal 103, 8-9)?».
Poi ho cominciato a capire che questo è un modo naturale ma sbagliato di formulare la domanda. Usando come chiave le mie concezioni religiose (quelle antireligiose funzionano quasi allo stesso modo) sto cercando di svelare un paradosso insostenibile, un mysterium tremendum che è impossibile razionalizzare e giustificare. Si può guardarlo da vicino per un attimo, con orrore, con ira, con dolore, litigare con Dio per l’ennesima volta, sentendo con un lembo della coscienza che no, non è solo Lui, siamo anche noi, noi uomini…. Sono queste imprecazioni, e non le solite parole devote, lisciate fino a perdere ogni significato, a costituire oggi il rapporto reale con Lui.

Fermo immagine da Il dottor Korczak. (YouTube)
Pur con tutta la sua apparente insolenza laica,
la domanda: «Dov’è dunque il vostro dio?» è profondamente radicata nella cultura tradizionalista. Deriva dal concetto, dichiarato o implicito, di Dio come Pantocratore forte, onnipotente, che è tenuto a mettere ordine. È molto comodo avere a che fare con un Pantocratore:
da un lato ci si può nascondere dietro di Lui, fuggendo tra l’altro alla propria coscienza; gli si possono «accollare» moltissime cose. Dall’altro, è molto facile accusarlo perché, si dice, «il padreterno non ce la fa». Per altro, avendo dotato l’uomo del libero arbitrio, Dio non è propriamente tenuto a «farcela». Il libero arbitrio presuppone la libertà di scegliere come agire, la libertà stessa di agire, di cui risponde chi è dotato della libertà, chi ha fatto la scelta, cioè l’uomo.
Penso che la «teologia del Dio debole», nata dopo la Seconda guerra mondiale, andrebbe chiamata piuttosto «teologia dell’uomo adulto». L’uomo, come mostra ciò che sta accadendo, non ce l’ha fatta a gestire il dono della maturità. Gli è risultato più comodo rimanere bloccato in una pubertà cronica, e da lì rimproverare il «Genitore»: «Sei un debole, non sei riuscito a fermarci, non ce l’hai fatta con noi, ti elimineremo, ti elimineremo…».
Non so niente della «coppa dell’ira di Dio», non mi azzardo a giocare con le metafore bibliche per descrivere le follie odierne, ma
sarebbe troppo facile e codardo non vedere come Dio è all’opera, in modi imperscrutabili e sconcertanti, in mezzo ai problemi odierni, anche con «strumenti» estremamente indegni secondo tutti gli standard.
Sarebbe vile rifugiarsi nella storia biblica come «passato che tutto spiega» per sfuggire alle proprie responsabilità. Ma è assolutamente evidente che Dio, non avendo voluto ridurre l’uomo a una marionetta in nome del bene generale, si è esposto a un rischio enorme. Forse proprio in questo rischio consiste il mistero del suo rapporto con la creatura. Dio che attende non la devozione ma la maturità dell’uomo.
«Come stare in tutto questo?».
In uno dei film più forti di Andrzej Wajda, Dottor Korczak, il protagonista, la mattina in cui i nazisti faranno irruzione nell’orfanotrofio di via Krochmalna [nel ghetto di Varsavia] (e lui già sa che lo faranno), innaffia i fiori con la stessa cura di ogni mattina sotto gli occhi di una guardia che lo osserva dall’alto del ponte che separa il ghetto dai «quartieri ariani». Perché i fiori sono vivi, e quindi devono vivere. Per me la risposta è questa. Innaffiare i fiori. Dar da mangiare ai gatti, alle persone, ai cani, agli scoiattoli e alle lumache. Fare ciò che richiede l’oggi, vivere in pienezza, proteggere chi si ha vicino, non importa se online o in uno spazio geografico.
Ma allora dove sono il riposo, il relax, la ricompensa? Bisogna riconoscere che per ora il relax non ci sarà, mentre il riposo e la ricompensa sono che oggi, fuori dalla finestra, la neve scende silenziosa, le lumache muovono le corna in segno di saluto, c’è ancora tempo per maturare e qualcuno da proteggere.
(Immagine d’apertura creata con Imagen 3)