28 Gennaio 2025

Bielorussia: ancora la farsa delle presidenziali, ma il paese non reagirà

Angelo Bonaguro

Aleksandr Lukašenko è stato riconfermato per la settima volta alla guida del paese: l’opposizione è stata messa a tacere, molti sono in esilio o rinchiusi in carcere. Difficile intravedere all’orizzonte una figura di leader che abbia una visione umanistica come auspica Svetlana Aleksievič.

Le elezioni presidenziali in Bielorussia, culminate domenica 26 gennaio dopo il voto anticipato di qualche giorno prima, si sono svolte in un contesto complesso, segnato da repressioni politiche, polarizzazione sociale, forte influenza russa e sanzioni occidentali, e sono state un evento privo di reale competizione democratica. Aleksandr Lukašenko, eletto con l’86,82% dei voti per il settimo mandato consecutivo dal 1994, ha cercato di ripristinare la propria legittimità sia all’interno del paese che sulla scena internazionale.

La campagna elettorale di questi mesi si è distinta da quella del 2020 per l’assenza di candidati indipendenti, di dibattiti pubblici e per le promesse fatte dal «presidente più popolare». Le narrazioni pro-regime ripetono i soliti temi: la minaccia dell’Occidente (ad esempio, nel settembre 2024 il governo ha lanciato Videobel, una piattaforma di videostreaming per contrastare YouTube), l’idea che l’opposizione si sia venduta all’Occidente, e che Lukašenko sia il garante della stabilità. Il concetto di «cielo di pace» è diventato un elemento chiave della retorica politica, per ricordare ai bielorussi che non sono direttamente coinvolti nella guerra in Ucraina.

Bielorussia: ancora la farsa delle presidenziali, ma il paese non reagirà

(Sota)

La dipendenza della Bielorussia dalla Russia è diventata un fattore critico, che influenza diversi settori del paese e ne compromette la sovranità: basti pensare che il 99% di import energetici vengono dalla Russia (che nel 2019 ha concesso uno sconto sulla bolletta petrolifera di 2 miliardi di dollari), così come il 96% degli armamenti (2000-2019). In più Minsk ha permesso alla Russia di utilizzare il suo territorio e le sue infrastrutture per condurre attacchi contro l’Ucraina. In risposta, la Bielorussia è stata oggetto di pesanti sanzioni occidentali (che finiscono per colpire la società civile), imposte dopo la brutale repressione delle proteste del 2020, l’incidente del volo Ryanair, la crisi migratoria al confine con l’UE e il sostegno all’aggressione russa contro l’Ucraina.

Nonostante l’esito fosse scontato, il regime ha attuato diverse strategie per garantire la rielezione del cosiddetto «politico del popolo»: risorse amministrative per promuoverne la candidatura, propaganda pervasiva, sondaggi pilotati per dimostrare l’ampio consenso popolare e scoraggiare quel che resta dell’opposizione, «momenti informativi» in scuole, uffici e collettivi.

A ottobre Lukašenko aveva dichiarato che se i suoi sostenitori lo avessero «ritenuto necessario» si sarebbe presentato alle urne. Guarda caso, pochi giorni dopo è stato lanciato il flash mob «È necessario», in cui i partecipanti gli hanno espresso il loro appoggio…

Alcuni istanti del flash mob «È necessario!» («Nado!»), in appoggio alla candidatura di Lukašenko.

Secondo fonti indipendenti c’è stata una bassa affluenza alle urne, una sorta di boicottaggio che però ha più il sapore amaro della frustrazione che quello della protesta. Come in epoca sovietica, presso i seggi sono stati organizzati buffet e concerti per creare un’atmosfera festaiola, ma stavolta nemmeno la vodka e le salsicce a buon mercato sono riuscite ad attirare gli elettori.

Il livello del grottesco si è toccato con l’entrata in scena di Lukašenko accompagnato dal fedele cagnolino Umka, e la successiva conferenza stampa ad urne ancora aperte: «Qualunque cosa pensiate nell’Unione Europea, che riconosciate o meno queste elezioni, è un vostro diritto – ha dichiarato il dittatore, – a me non interessa affatto. La cosa principale è che le riconoscano i bielorussi, in modo che tutto si concluda in tranquillità». Al corrispondente della BBC che gli chiedeva come possano essere considerate democratiche delle elezioni che si svolgono mentre gli avversari politici sono in prigione o in esilio,

Lukašenko ha risposto che rispetta il loro «diritto di scegliere»: «È la democrazia, qualcuno ha scelto la prigione, altri l’esilio».

Nel paese qualsiasi forma di dissenso viene sistematicamente messa a tacere, molti oppositori sono stati costretti all’esilio e sono stati chiusi media indipendenti e ONG: al gennaio 2025 si trovano in carcere 1.244 prigionieri politici, di cui 168 donne. Secondo l’associazione per i diritti umani Vjasna, nel ’24 non meno di 8.895 persone hanno subito varie forme di persecuzione penale o amministrativa (arresti, interrogatori, perquisizioni), nonostante il regime abbia iniziato a rilasciare numerosi prigionieri politici nel tentativo di accattivarsi la benevolenza dell’Occidente: dal giugno scorso sono state scarcerate 250 persone, ad eccezione dei «dissidenti» più noti e «pericolosi», come il premio Nobel Ales’ Bjaljacki.

Bielorussia: ancora la farsa delle presidenziali, ma il paese non reagirà

Spuntini a buon mercato per attirare gli elettori. (newsgomel.by)

In sintesi, il programma di Lukašenko punta a consolidare il potere attraverso promesse di stabilità, sviluppo e unità, cercando di migliorare la qualità della vita dei cittadini – che potranno recarsi in Vietnam senza visto… – ma mantenendo un forte controllo statale e richiedendo fedeltà al regime.

Oltre a lui sono stati ammessi quattro candidati che, secondo i media indipendenti, rappresentano solo delle comparse che contribuiscono a legittimare il regime senza rappresentare perciò una vera alternativa, come si desume dal seguente elenco:

– Hanna Kanapackaja (1976), avvocata e imprenditrice, ex deputata del Partito civico unito, si presenta come oppositrice (in passato ha criticato il governo e la dipendenza dalla Russia), ma evita di criticare apertamente il presidente o di definire «politici» i detenuti ai quali ha promesso la liberazione.

– Sergej Syrankov (1983), primo segretario del Partito comunista, si dichiara apertamente sostenitore di Lukašenko, ribadendo di voler stare «non al posto del presidente, ma con lui». Ha posizioni ideologiche fortemente conservatrici e nostalgiche dell’Unione Sovietica. Propone di proibire la propaganda LGBT e di epurare il sistema.

– Oleg Gajdukevič (1977), avvocato ed ex poliziotto, presidente del Partito Liberal-democratico («ereditato» dal padre) alleato del regime. Si pone come paladino del patriottismo, affermando che solo i «patrioti» dovrebbero partecipare alle elezioni, mentre propone di limitare l’accesso ai politici giudicati «incompetenti».

– Infine, Aleksandr Chižnjak (1978), già consigliere comunale a Minsk, leader del Partito repubblicano del lavoro e della giustizia (sostenitore del regime), è il candidato meno attivo, presente con un gruppo Telegram di soli 200 iscritti che si concentra su tematiche relative alle pensioni e agli anziani.
Alla prova delle urne, nessuno di questi candidati ha superato il 4%.

Quanto alle forze democratiche, sono divise sulla questione delle concessioni allo Stato: se Svetlana Tichanovskaja è meno disposta a compromessi, il gruppo intorno a Valerij Kovalevskij si mostra più aperto a negoziati (Kovalevskij è un ex-diplomatico e oggi ricopre l’incarico di rappresentante per gli Esteri nel Gabinetto di transizione del governo bielorusso in esilio).

La scheda elettorale con i nomi dei 5 candidati e  la casella per votare «Contro tutti». (sb.by)

Il parlamento europeo ha diffuso una risoluzione in cui non riconosce la legittimità delle elezioni (testo non sottoscritto dall’Ungheria e solo in un secondo momento firmato dalla Slovacchia), e chiede alle autorità bielorusse di rispettare i diritti dei detenuti, di fornire loro cure mediche e di concedere l’accesso agli avvocati, alle famiglie e alle organizzazioni internazionali. Stessa posizione espressa da Tichanovskaja, che ha definito quella svoltasi nei giorni scorsi un’«operazione elettorale speciale»; presente al Forum economico mondiale svoltosi a Davos nei giorni scorsi, ha presentato un progetto per la rinascita della Bielorussia: innanzitutto creare le condizioni per il ritorno degli espatriati, rendere il paese un mercato competitivo e attraente, investire nelle nuove tecnologie e avviare il processo di integrazione europea. Tichanovskaja ha sottolineato l’importanza di prepararsi a possibili cambiamenti futuri e la necessità di stabilire contatti con governi, parlamenti e aziende per facilitare la transizione. Ha affermato che qualsiasi futuro negoziato riguardante l’Ucraina dovrebbe includere anche la questione bielorussa, con l’obiettivo di far ritirare le truppe russe e smantellare le armi nucleari del paese; l’attivista è anche preoccupata che il suo paese venga concesso a Putin come una sorta di «premio di consolazione».

elezioni bielorussia varsavia

Varsavia: manifestazione per una Bielorussia libera. In varie città europee si sono svolte manifestazioni di solidarietà con l’opposizione o di protesta contro il regime di Lukašenko. (Euroradio, telegram)

Pavel Latuško, ex ministro della cultura e ambasciatore, che in seguito alle elezioni farsa del 2020 ha preso le distanze dal regime diventando una figura di spicco dell’opposizione in esilio, ha invitato i cittadini a votare la casellina «contro tutti» come forma di protesta pacifica, che ha ottenuto però solo il 3,6% dei voti. Latuško ha sottolineato che molti bielorussi sono ben consapevoli della situazione del paese, ma sono costretti a tacere per motivi di sicurezza.

Nessuno si illude che possa bastare l’allontanamento del leader ormai definitivamente compromesso, che si regge essenzialmente con l’intimidazione. È necessario che la Bielorussia trovi in se stessa una nuova figura di spessore politico e morale. In un’intervista del novembre scorso, la scrittrice Svetlana Aleksievič, oggi espatriata in Germania, spera in un futuro leader che vada oltre la semplice competenza tecnica o amministrativa, e che possieda una profonda comprensione del mondo, della storia e della cultura, qualità fondamentali per non ripetere gli errori del passato e per costruire una società migliore. Secondo il Nobel per la letteratura, serve un leader con una visione umanistica, in grado di comprendere le sofferenze del popolo e di agire per il bene comune, e non solo per il proprio potere. Allo stesso tempo occorrerebbe una figura capace di guardare all’Europa, non per esserne succubi ma per una migliore apertura verso i valori democratici, la libertà, i diritti umani.


(Foto d’apertura: https://president.gov.by)

Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

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