13 Marzo 2025

Guardarsi negli occhi senza vergogna

Redazione

Da una colonia penale russa è arrivata in Italia la lettera di un detenuto di coscienza commosso dalla nostra solidarietà. Dice che il bilancio della sua vita drammatica è positivo: in prigionia ha ritrovato una dignità e una pace che nessuno gli può togliere.

Salve, cari G. e F.,

la vostra lettera mi è arrivata per miracolo, nonostante fosse indirizzata al carcere istruttorio mentre io mi trovo già da un anno in una colonia penale.

Voglio condividere con voi un importante episodio della mia vita carceraria. Prima di Capodanno, mi è arrivata una lettera da un gruppo di quattordicenni italiani, in cui scrivono che hanno studiato la mia storia e che adesso sono per loro un esempio di difesa degli ideali umani. Leggere le parole così importanti di questi adolescenti europei, delle nuove generazioni, è stato come sentire un giudizio buono sulla mia vita. Ma non è tutto. Qualche settimana prima, mi aveva scritto il mio secondo figlio, coetaneo di questi ragazzi italiani. Anche lui ha detto che nella sua vita di ragazzo non farà mai nulla di cui doversi vergognare guardandomi negli occhi.

Tutte queste parole, per me importantissime, hanno riempito di un’incredibile forza interiore la mia vita nel campo, e per un po’ non sono riuscito a capire perché avessero un effetto così pacificante sulla mia anima ferita. Finché ho intuito che alla mia età, quando all’orizzonte già si profila il momento in cui si devono tirare le somme, non devo provare vergogna per la vita che ho vissuto di fronte ai miei figli e a tutti gli adolescenti del mondo.

Ho passato gli anni a difendere i valori umani nel mio lavoro; a proteggere l’individuo dall’ingiustizia e la società dai suoi mali. Sono queste le cose che hanno un valore autentico per i nostri figli e per le future generazioni umane. Perché loro giudicheranno il nostro tempo in base a come abbiamo custodito e consolidato il mondo per loro e abbiamo sviluppato una società in cui le persone sono amiche e si aiutano a vicenda. E la base di tutto questo possono essere solo i valori umani universali. Per me è molto importante che i miei discendenti siano orgogliosi di me, nonostante la mia vita si sia realizzata così tragicamente.

In tutto l’attuale caos mondiale è molto triste il fatto che si sia fermato il movimento verso l’umano. Nel 1988 Michail Gorbačëv, parlando all’ONU, aveva invitato non solo a rendere le differenze fra i popoli dell’URSS e dell’Europa fattori di integrazione, ma anche a utilizzare le rispettive ricchezze culturali e letterarie per arricchirsi vicendevolmente. Allora sembrava che l’Europa e l’Unione Sovietica avessero superato definitivamente la propria malattia, che avessero sconfitto il virus della contrapposizione, che il progresso lo avesse inghiottito e relegato nel passato. Ma improvvisamente siamo tornati indietro, in modo illogico e brutale. E oggi avremmo tanta voglia di scrivere, tanta voglia di credere che quanto sta accadendo sia un fenomeno passeggero. Ma onestamente non so più cosa credere. Mi sembra che l’umanità possa affidarsi solo al buon senso, a tutto ciò che di meglio c’è nella natura umana, invece in questi ultimi tre anni la realtà ci sta abituando al contrario. E se mi è rimasto qualcosa in cui credere, questo è solo il fatto che la strada che ho imboccato è stata assolutamente giusta.

Guardarsi negli occhi senza vergogna

Michail Gorbačëv all’assemblea dell’ONU nel 1988 (fonte: wikimedia).

La prigione costringe inesorabilmente a riflettere, e io ho ripensato un milione di volte alla mia giovinezza e ai miei primi passi. Come per molti nel mio paese, probabilmente quasi fin dall’infanzia mi è stata evidente la causa principale di tutti i nostri mali e cataclismi. Questa causa è come se vibrasse nell’aria, portata da onde invisibili, e ha un nome: disprezzo della persona.

Nel momento stesso in cui si riesce a cambiare almeno un po’ il modo di trattare le persone e a ottenere almeno un po’ di giustizia per chi soffre un sopruso, è come se improvvisamente cambiasse anche l’atmosfera. Quando il modo di trattare la gente semplice comincerà a cambiare nei fatti e non a parole, tutto si muoverà sicuramente verso la giustizia e il progresso.

Sono infinitamente grato al Signore di avermi dato «una vita disordinata, emarginata, eroica», come ha detto un mio amico.

Anche se per [quello che ho fatto] mi hanno picchiato, condannato e messo dietro le sbarre, io ho vissuto una vita autentica, impegnata ad aiutare chi ha sofferto per la perdita dei propri cari e per l’ingiustizia. Ho fatto tutto quello che ho potuto per permettere di superare le ferite intellettuali e aiutare il più possibile la gente a vivere una vita degna. Dopo di me restano decine di persone che oggi hanno messo su famiglia, hanno cresciuto i figli, che hanno ottenuto giustizia per cui le loro ferite non sanguinano più così tanto. Restano decine di argomenti importanti che ho sollevato, decine di episodi in cui sono stato fedele al mio dovere di difendere la vita e tutto quanto c’è di meglio nella natura umana.

E anche se può sembrare enfatico, non ho vissuto la mia vita invano, e ho fatto di tutto affinché la parola «uomo» si possa pronunciare con orgoglio. Affinché le persone si sentano non solo cittadini, ma membri dello Stato della loro piccola Patria, dove parlare di ingiustizia sia una manifestazione di responsabilità e un dovere civile, e non un reato.

Miei cari, vorrei infine ricordarvi le parole sulla Grande guerra patriottica scritte da un grande scrittore siberiano, l’ex-combattente e filantropo Viktor Petrovič Astaf’ev, che si trovano davanti alla sua casa nel villaggio di Ovsjanka, nei pressi di Krasnojarsk: «Questa guerra dev’essere l’ultima. L’ultima! O gli uomini non potranno più chiamarsi uomini».

Vi abbraccio.


(Immagine d’apertura: Gemini)

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