31 Agosto 2022
Addio a Gorbačev, leader capace di accettare la realtà
Voleva riformare il comunismo, ma non c’è riuscito. In compenso ha cambiato in meglio l’Europa e il mondo. Può essere racchiusa in questo paradosso la vicenda umana e politica di Michail Sergeevič Gorbačev, morto il 30 agosto. Un contributo di Luigi Geninazzi.
Il nome di Gorbačev balza inaspettatamente agli onori della cronaca quando l’11 marzo del 1985 viene nominato dal Politburo segretario generale del PCUS, cioè capo dell’Unione Sovietica. L’arrivo al vertice del potere di un leader che si può definire giovane (ha solo 54 anni), dopo il lungo periodo della stagnazione del vecchio Brežnev e il rapido succedersi di due tipici esponenti della gerontocrazia sovietica come Andropov e Černenko, ha un chiaro ed unico scopo: rendere un po’ più presentabile un sistema politico chiuso e odioso.
Originario della regione caucasica di Stavropol’, Gorbačev si è sempre professato fedele agli ideali del marx-leninismo ma intende dare un volto umano al comunismo. Lancia così il suo programma riformista che poggia su due parole chiave: perestrojka, vale a dire ristrutturazione di un’economia vicina alla catastrofe, e glasnost’, trasparenza, il che suona in stridente contrasto con l’opacità repressiva che caratterizza l’URSS dalla sua fondazione.
Con pugno di ferro il neo-segretario fa fuori l’ala più conservatrice del partito, accentra il potere assumendo anche la carica di presidente dell’Unione Sovietica, silura funzionari e vecchi amici alimentando paure ma anche speranze di cambiamento. La glasnost’ resta però lettera morta fino all’aprile del 1986, quando l’incidente nucleare di Černobyl’ viene tenuto nascosto per cinque giorni provocando ritardi irreparabili nei soccorsi. Come ammetterà più tardi lo stesso Gorbačev, è solo dopo il disastro di Černobyl’ che le cose iniziano a cambiare.
Il primo inequivocabile segnale è la liberazione dal carcere di molti detenuti politici e la piena riabilitazione, nel dicembre 1986, di Andrej Sacharov, il fisico Premio Nobel della pace confinato a Gor’kij. Quel che proprio non funziona è invece la perestrojka: i tentativi di riformare i meccanismi di un’economia centralizzata ottengono solo l’aumentare della confusione e l’aggravarsi della penuria di beni. Ed ogni volta che il leader della perestrojka visita una fabbrica viene accolto da contestazioni plateali, favorite da un nuovo clima di «semi-libertà».
Inviso in patria, Gorbačev è ammirato in Occidente, elogiato dalla Thatcher e da Reagan, considerato come una star da un’entusiasta opinione pubblica europea e americana. Ed è proprio sul piano internazionale che il nuovo corso gorbačeviano dà grandi frutti: accordi per la riduzione delle armi nucleari vengono siglati con il presidente americano Reagan nel 1987 e nel 1988, l’esercito sovietico si ritira dall’Afghanistan, dopo dieci anni dall’inizio dell’invasione, nel febbraio del 1989. È l’anno che culmina con la caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre, e vede il crollo dei regimi comunisti nei paesi satelliti dell’URSS con il ritorno alla libertà e alla democrazia nell’Europa centrale.
La dottrina Brežnev della «sovranità limitata» dei cosiddetti paesi fratelli viene sostituita con quella che un funzionario dell’ufficio stampa di Gorbačev definisce scherzosamente «dottrina Sinatra», citando la famosa canzone My way, a modo mio.
Difficile pensare che Gorbačev in cuor suo ne fosse contento, resta il fatto che non ordinò alle truppe sovietiche di fermare l’ascesa al potere di Solidarność in Polonia o di opporsi alla folla dei tedeschi orientali che abbatteva il Muro di Berlino. Così ha messo fine all’epoca della Guerra fredda.
«Mi sono reso conto che la storia ormai stava andando da un’altra parte», ammetterà anni più tardi con grande sincerità in un’intervista a Der Spiegel.
Per la prima volta nella storia un leader sovietico entra in Vaticano per incontrarsi con il Capo della Chiesa cattolica. Il 1° dicembre 1989 un emozionatissimo Gorbačev varca il Portone di bronzo e s’intrattiene in un lungo colloquio con Giovanni Paolo II. Dopo decenni di repressione nel paese capofila dell’ateismo militante fiorisce una straordinaria stagione di libertà per tutti i credenti, in particolare per i cattolici di rito orientale. Tra il Papa di Roma e il leader del Cremlino si stabilisce un feeling speciale.
«Senza Giovanni Paolo II non ci sarebbero stati i cambiamenti del 1989», ha detto Gorbačev, che ha ricevuto un giudizio più che lusinghiero dal Papa polacco: «È un uomo di principi e di spiritualità – disse nel 1992 in un’intervista a La Stampa. –
Si dichiara non credente ma dà grande importanza alla preghiera e alla dimensione interiore dell’uomo. Credo che il nostro incontro sia stato preparato dalla Provvidenza».
Ma sul fronte interno il leader sovietico, insignito nel 1990 del Premio Nobel per la pace, è sempre più in difficoltà. Oltre alla devastante crisi economica c’è il groviglio politico-istituzionale rappresentato dalle 15 Repubbliche sovietiche che avanzano richieste di maggior autonomia e perfino indipendenza.
Nel marzo del 1991 Gorbačev sottopone ad un referendum popolare il progetto di un’Unione rinnovata che viene approvato dalla maggioranza dei cittadini. Ma in agosto la vecchia guarda reagisce con un golpe che fallirà dopo pochi giorni per la dura resistenza di migliaia di moscoviti. Gorbačev rientra al Cremlino ma è ormai un leader umiliato e dimezzato di fronte all’astro nascente El’cin, presidente di Russia democratica.
Le spinte indipendentiste dilagano a cominciare dai Paesi baltici, l’8 dicembre i presidenti delle Repubbliche di Russia, Bielorussia e Ucraina dichiarano la fine dell’Unione Sovietica. Gorbačev riafferma la sua contrarietà ma non può far altro che prendere atto della nuova situazione: si dimette il 25 dicembre 1991 mentre sul Cremlino s’ammaina la bandiera rossa.
C’è qualcosa di simbolicamente surreale nel fatto che l’ultimo leader sovietico, l’uomo che voleva mantenere in vita l’URSS, sia morto nell’anno in cui la Russia tenta d’imporre militarmente la sua visione imperiale. Gorbačev aveva espresso un giudizio positivo sui primi anni al potere di Vladimir Putin, giudicati «un tentativo di dare stabilità e solidità alla Russia». Ma poi aveva assunto posizioni sempre più critiche verso l’autoritarismo e il dispotismo in cui si stava incamminando la Russia sotto il nuovo zar.
La sua ultima riflessione è stata raccolta il 4 marzo di quest’anno, subito dopo l’inizio dell’aggressione russa contro l’Ucraina, da Dmitrij Muratov, il direttore di Novaja Gazeta, giornale d’opposizione finanziato proprio da Gorbačev. «Il suo più grande timore – ha detto Muratov, Premio Nobel per la pace 2021 – è che si vada verso una guerra nucleare». E contro ogni tipo di guerra, non solo nucleare, il leader della perestrojka si è sempre battuto. Non è soltanto una divergenza di vedute.
Gorbačev e Putin rappresentano due modelli di potere completamente opposti. Nel primo caso siamo di fronte ad un leader disposto a mettere da parte le proprie idee (il mantenimento dell’URSS) e ad accettare la realtà dell’indipendenza delle varie Repubbliche. Nel secondo si persegue la propria idea imperiale con i metodi più violenti negando la realtà di uno Stato sovrano.
Gorbačev ha accettato la propria sconfitta salvando la Russia e l’Europa. Putin vuole la vittoria anche a prezzo di distruggere non solo l’Ucraina ma l’ordine democratico dell’intera Europa. Un motivo in più per onorare oggi la memoria di Gorbačev, tragico eroe in un mondo potenzialmente esplosivo che oggi rischia di tornare.
Scheda biografica
2 marzo 1931 Michail Sergeevič Gorbačev nasce a Privol’noe (Stavropol’), da una famiglia contadina russo-ucraina.
1950 Dopo le superiori studia giurisprudenza a Mosca e successivamente economia agraria (a Stavropol’), ed entra nel Partito (PCUS).
25 settembre 1953 Sposa Raisa Titarenko, dalla loro unione nascerà la figlia Irina.
1970 Inizio della carriera politica con l’elezione a primo segretario del PCUS di Stavropol’.
11 marzo 1985 Alla morte di K. Černenko viene eletto segretario generale del PCUS.
11 ottobre 1986 Incontro tra Gorbačëv e il presidente statunitense Reagan per discutere la riduzione degli arsenali nucleari installati in Europa (Trattato INF, 1987).
15 febbraio 1989 Ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, dopo 9 anni di guerra.
1° dicembre 1989 Incontra papa Giovanni Paolo II – è la prima visita ufficiale di un leader sovietico in Vaticano. Annunciati i passi per stabilire relazioni ufficiali tra URSS e Vaticano.
1988-1991 Moti indipendentisti repressi nel Caucaso e nei Paesi baltici.
15 marzo 1990 Eletto primo (ed ultimo) presidente dell’URSS.
15 ottobre 1990 Insignito del Premio Nobel per la pace.
1985-1991 Avvia un programma di ampie riforme per risanare la situazione di stagnazione nell’ambito socio-economico (perestrojka, «ristrutturazione»). A questa si aggiungerà la politica di glasnost’, «trasparenza», che porta tra l’altro, alla maggiore libertà di culto ed espressione, e alla denuncia degli orrori commessi dal regime comunista.
agosto 1991 Fallito tentativo di colpo di Stato da parte dei comunisti conservatori: Gorbačev resta al potere, ma la sua posizione è notevolmente indebolita anche per l’ascesa di Boris El’cin, all’epoca presidente della Repubblica russa.
dicembre 1991 Accordo di Belaveža (8 dicembre) sulla dissoluzione dell’Unione Sovietica e conseguenti dimissioni (25) di Gorbačev da presidente sovietico.
Successivamente, Gorbačev ha istituito e diretto la Fondazione internazionale per la ricerca socio-economica e politica, è stato presidente del Partito Socialdemocratico Unito della Russia.
30 agosto Morto dopo lunga malattia, sarà sepolto nel cimitero di Novodevič’i, dove riposa la moglie.
(foto d’apertura: www.gorby.ru)