11 Marzo 2022
Lettere dalla Russia / 2 / Non possiamo fare più niente… Vieni Signore
Dobbiamo «ricominciare a vivere», tutto è cambiato ora che la violenza ha messo spietatamente in luce la menzogna cui troppo spesso ci siamo adattati. Messaggi dopo la Domenica del perdono.
La Chiesa ortodossa ha celebrato il 6 marzo la «domenica del perdono» che precede l’inizio della quaresima, in cui tradizionalmente si chiede perdono a Dio, e gli uni agli altri, del male arrecato.
E c’è chi non rinuncia a dire che vivere da uomini è sempre desiderabile e possibile pur nella follia della tragedia bellica, nel solco delle profonde divisioni createsi nell’arco di pochi giorni tra la gente in Russia, nel vortice di violenza verbale e fisica nei confronti di chi osa esprimere il suo «no» alla guerra (è stato introdotto l’art. 207-3, che prevede fino a 15 anni di reclusione per chi diffonde fake news sulle Forze armate federali; al 6 marzo si parlava di 15.000 persone arrestate nel corso di manifestazioni); pur nel dolore dei credenti di fronte alle posizioni assunte dalla gerarchia ecclesiastica (l’omelia del patriarca che inneggiava alla guerra come una crociata contro l’immoralità delle gay-parade); nello smarrimento di un futuro senza prospettive che spinge molti a fuggire dal paese.
Oppure, davanti all’impossibilità di parlare apertamente di ciò che sta accadendo, qualcuno pubblica sui propri account preghiere o brani di omelie, come quello che segue.
Metropolita Antonij di Surož
Signore, umanamente non possiamo fare più niente, ma come uomini, come cristiani ci mettiamo davanti a Te e invochiamo: vieni, Signore! Vieni, e la tua presenza porti la pace, porti la riconciliazione, superi ogni contrasto.
Vieni, e la tua presenza, come luce che le tenebre non possono accogliere ma non possono neppure soffocare, dissipi un po’ queste tenebre.
La tua presenza scacci i demoni, mostrati con chiarezza, anche se quelli che avvertiranno la tua presenza non saranno in grado di riconoscerla come tale.
Vieni, Signore!
La tua presenza porti la pace, donaci la pace che il mondo non può dare, benedici coloro che si odiano, dona loro la pace che vince ogni odio.
Svetlana Panič
Come suonano amare quest’anno le parole «Domenica del perdono».
Gli anni scorsi era semplice elencare le proprie piccole – o non tanto piccole malefatte, e iniziare il cammino quaresimale con la sensazione di aver fatto il proprio dovere.
Ma ora tutto si ingigantisce, forse perché diventa chiaro come non mai che ogni perdono può trasformarsi in addio, ogni giornata nell’ultima. Prima, per rendersene conto occorrevano gli esercizi spirituali, ora basta guardare i notiziari…
Qualcosa per cui chiedere perdono ce l’ho. Per dirla in breve: per aver fatto troppo poco negli «anni dell’abbondanza» perché non sopraggiungesse la follia odierna… Per le mie parole incerte, e le mie azioni troppo timide. Per aver perso un mucchio di tempo. Per aver assecondato le divisioni e non aver fatto la fatica di parlare una volta di più di amore. Per non saper vivere davvero la compassione e condividere almeno le briciole di speranza che ci giungono come un dono inaspettato.
Ol’ga Sedakova
Sì, probabilmente in qualcosa ho offeso tante persone.
Ma oggi vorrei chiedere perdono a quelli che vengono bombardati, cacciati dalle loro case e dai loro luoghi natali, a quanti vengono diffamati e calunniati a morte.
Chiedere perdono per quello che è impossibile perdonare.
Viktor Sudarikov
Una cosa è evidente: la profonda divisione istantaneamente creatasi all’interno della nostra società russa. Una divisione chiara e maligna, che attraversa le famiglie, le amicizie, anche annose, consolidate. Una divisione che passa tra persone della stessa fede; esisteva anche prima, certamente, ma poteva essere dissimulata dietro altri temi o idee.
Adesso, invece, altri temi e idee non esistono più.
Significa che quei legami, quella fede non hanno retto la prova del fuoco: erano superficiali, puro sentimento che si è rapidamente dissolto come fumo.
E dobbiamo riscoprire che cosa veramente ci unisce, ricominciare a vivere con questa coscienza.
Leonid Džalilov, diacono della parrocchia di Gesù Misericordioso, a Mosca
Nella «domenica del perdono» voglio accomiatarmi da tutti quelli che non ho fatto in tempo a salutare, e scrivere della nostra partenza.
Ce ne siamo andati.
Credo che a molti non sia necessario spiegare niente, è tutto chiaro anche così. Ad altri, al contrario, è inutile cercare di spiegare. «Hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono», leggevamo con Liza in aereo nel salmo 113 sull’Esodo. La propaganda è una forza spaventosa.
Voglio però dire alcune cose.
Sono contro la guerra ingiusta che Putin ha scatenato in Ucraina. Sono contro le repressioni di qualunque dissenso, in particolare delle proteste contro la guerra – repressioni a cui oggi in Russia sono sottoposte le persone.
Non ho trovato il modo né le forze e il coraggio per lottare contro tutto questo, restando in patria. Ma non posso neppure passarlo sotto silenzio, sarebbe contro la mia coscienza. Ho deciso di parlarne apertamente, una volta al sicuro, per quanto capisca perfettamente che il peso di una parola per cui non corri alcun rischio sia molto inferiore a quello di una parola detta ora in Russia, quando rischi la galera. Ho degli amici che hanno scelto questa strada di martirio, e a loro va il mio affetto e la mia solidarietà. Perdonatemi.
E perdonatemi anche voi, amici ucraini, di essermene andato e di aver portato la mia famiglia in un luogo sicuro, mentre voi siete esposti a un pericolo mortale.
Ho anche degli amici i cui figli sono stati mandati da Putin a combattere in Ucraina. Non siamo riusciti a fermare questa guerra, in cui li hanno mandati a combattere. Perdonatemi per questo.
Non ho trovato le forze per cambiare la vita in meglio attorno a me, in Russia, per agire dietro le quinte, per usare il linguaggio esopico, e non soggiacere alla menzogna imposta dalla propaganda ufficiale.
Ho degli amici così, e ritengo che la vostra scelta sia molto nobile. Perdonatemi.
C’è stato un tempo in cui mi sono lasciato persuadere da ciò che la gerarchia ci suggeriva insistentemente: che la Chiesa deve restare fuori dalla politica, perché le questioni politiche seminano divisione. Poi ho capito che era un errore, un trabocchetto, ma intanto ho perso molti anni. Perché in fondo chiamavano tutto «politica», tutto ciò che aveva a che fare con la vita della società, la coscienza, le questioni morali.
Allora, meglio le divisioni che non la spaventosa unanimità impostaci dall’alto, con la violenza e la propaganda. Mentre io da parte mia osservavo onestamente, per così dire, i patti, quelli che ce li avevano imposti non perdevano tempo e si davano da fare per costruire l’ideologia a cui oggi si immolano sacrifici di sangue. E molti credenti ne sono stati sedotti e ingannati. Oggi per di più sono costretti a udire propaganda politica sotto forma di preghiera, diffusa dalle gerarchie, contro «le popolazioni straniere che vogliono la guerra e si armano contro la Santa Rus’».
Di questo trabocchetto mi sono accorto troppo tardi. Perdonatemi.
Dov’ero otto anni fa? Simpatizzavo e cercavo di aiutare i miei amici in Russia che protestavano contro le avventure imperialistiche di Putin, che ci sono costate così care sia a Mosca che a Kiev, a Doneck e Lugansk. Questo non vuol dire che allora ritenessi responsabile solo una delle due parti. Ma ero certo che ogni popolo deve chiamare a rispondere il proprio governo, e non un governo straniero, perché ogni governo agisce a nome del proprio popolo. Per questo, però, ho fatto pochissimo. Perdonatemi.
Dal momento che nella nostra società hanno preso profondamente piede umori bellicisti tutt’altro che cristiani, ammantati talvolta di sembianze ortodosse, penso che noi tutti dobbiamo incominciare un gigantesco cammino penitenziale. Ora questi umori sono maturati e hanno portato frutti di sangue.
Molti ricordano il film Pentimento di Tengiz Abuladze, e l’ultima frase: a che cosa serve una strada se non conduce alla chiesa? Da noi oggi è esattamente il contrario: quasi tutte le strade conducono a una chiesa, ma è il pentimento che manca.
Nella nostra fede è insita un’immensa tensione alla libertà. Stiamo iniziando il cammino verso la Pasqua. Nella tradizione sia cristiana che ebraica la Pasqua è il passaggio dalla schiavitù alla libertà. Auguro a tutti noi di impararlo…
Elena Rusakova
Arrivo a casa dal lavoro e trovo mia madre in lacrime in cucina… Era tornata a casa in metrò, ed ecco che a una fermata – forse Leninskij prospekt – salgono tre ragazzine, studentesse delle superiori o dell’università, e si mettono a cantare «Lascia che il sole sia per sempre!» [una canzone sovietica molto famosa], che dice, tra l’altro:
Ehi, soldato, stai zitto! / Soldato, senti / Che le persone hanno paura delle esplosioni? / Migliaia di occhi guardano il cielo, / E le labbra continuano a dire ostinatamente:
Lascia che il sole sia per sempre!
Lascia che il cielo sia per sempre!
Lascia che mia madre sia per sempre!
Lasciami essere sempre!
Difenderemo i nostri ragazzi / Contro l’afflizione / E la guerra. / Il sole per sempre! / Felicità per sempre! / Questo è ciò che l’uomo esige.
E alla fine hanno gridato: «No alla guerra!». Tutto il vagone le ha applaudite, qualcuno si è messo a piangere, mia madre si è sciolta in lacrime. Si è avvicinata a loro e ha detto: «Bambine, grazie per il vostro coraggio, abbiate cura di voi». E loro l’hanno abbracciata…
Viene da piangere anche a me… e intanto mi ripeto: i nostri figli sono migliori di noi! Questi ragazzi un giorno costruiranno un nuovo Stato, sano e libero, e intanto rischiano fino a 15 anni per una semplice canzone, come tutti noi, quando non riusciamo a tacere davanti a illegalità e arbitri senza fine che vediamo tutt’intorno…