5 Febbraio 2016
Ucraina – Repubbliche separatiste: l’URSS con un tocco di ortodossia
Della guerra nell’est ucraino non si scrive più ma continua, logorante e cruenta. Finora ha prodotto 9000 vittime, seminando corruzione, miseria e depressione. È il fallimento del progetto “mondo russo” e dell’”ortodossia politica”.
Dall’aprile 2014, quand’è iniziata la guerra, le due repubbliche autoproclamate dei separatisti di Doneck (DNR) e Lugansk (LNR) si sono trasformate in un vicolo cieco dove manca il lavoro, dove i servizi comunali funzionano a singhiozzo e la gente, abbandonata a se stessa, è senza prospettive, senza assistenza medica, e si trova a fronteggiare il crollo delle speranze di benessere in cui molti avevano creduto. Tutto si regge solo sulla dedizione e il coraggio di alcuni gruppi autonomi di volontari che, spesso a rischio della vita, portano vettovaglie e aiutano l’evacuazione.
Politicamente e militarmente la situazione è confusa; ci sono continui spostamenti di equilibrio. Il cessate il fuoco firmato nel febbraio 2015 a Minsk non è mai stato preso veramente sul serio. Ultimamente c’è da registrare il fatto che sono spariti dalla circolazione, o morti, diversi leader militari separatisti, figure di prima grandezza come Igor’ Girkin, detto «Strelkov» famoso comandante russo, eroe dei separatisti che ha lasciato la DNR «per circostanze insuperabili», dopodiché non ha lesinato le critiche ai vertici della Repubblica. Ha lasciato anche un altro pezzo grosso, il russo Aleksandr Borodaj, «capo del governo» della DNR. E Valerij Bolotov, presidente della LNR sin dal momento della sua nascita, che adducendo motivi di salute è tornato a Mosca l’agosto scorso; o ancora Andrej Purgin, presidente del Consiglio popolare (parlamento) della DNR, e come tale firmatario degli Accordi di Minsk, che il settembre scorso è stato destituito per contrasti di governo. Da ultimo, c’è stato l’omicidio di Aleksej Mozgovoj, comandante della Difesa territoriale della LNR, ammazzato secondo molti per ordine di Mosca, perché aveva accusato i dirigenti della Repubblica di stragi e corruzione.
Anche molti miliziani separatisti stanno abbandonando il campo, compresi i volontari russi che ritornano autonomamente o sono richiamati in patria; ma nonostante questo apparente disimpegno, l’afflusso di mezzi blindati e di armi pesanti dalla Russia rimane sostenuto (ci si chiede il perché), mentre anche da parte ucraina si stanno ammassando mezzi e uomini dei reggimenti Azov e Donbass nella zona di confine, come se si preparasse una controffensiva in grande. Così, a dispetto delle apparenze, pur senza battaglie in campo aperto, il conflitto rimane teso, e prosegue nella generale stanchezza e disillusione, da entrambi i lati della barricata.
Di certo, nella confusa ideologia che sostiene le due repubbliche, accanto alla nostalgia sovietica, espressa visivamente dalle tante bandiere con falce e martello dispiegate ovunque, gioca un ruolo importante anche l’elemento del «fondamentalismo ortodosso». L’archimandrita Kirill Hovorun, teologo ortodosso di origini ucraine, ha scritto: «Molte idee fondamentaliste sono state tradotte in azione politica nelle pseudo-entità nazionali delle Repubbliche popolari di Doneck e di Lugansk, disegnate e costruite con l’apporto della Federazione Russa… La DNR e la LNR hanno richiamato un grosso numero di attivisti ortodossi sostenitori di quella che negli anni 2000 in Ucraina si chiamava “Ortodossia politica”».
Questo movimento interno alla Chiesa ortodossa russa era già stato identificato ed esplicitamente condannato dal Sinodo dei vescovi ucraini nel 2007: «A quell’epoca gli attivisti manifestavano per le strade di Kiev inalberando icone e cartelli contro la NATO e l’Occidente. Nella guerra in Ucraina alcuni di questi stessi attivisti hanno imbracciato le armi e incominciato a uccidere gli ucraini in nome dei vecchi slogan. Ad esempio Igor’ Druz’, protagonista della “Primavera russa” nel Donbass, aveva preso attivamente parte alle manifestazioni dell’”Ortodossia politica”, e allo scoppiare della guerra è diventato l’ideologo della “guerra santa” contro l’Ucraina, imbracciando il kalashnikov. A sostegno delle sue idee Druz’ ama citare l’arcivescovo Marcel Lefebvre».
Nelle due repubbliche, osserva Hovorun, si è messo in luce lo stretto legame che intercorre tra fondamentalismo religioso ed estremismo politico, numerosi esempi concreti: «dimostrano quanto sia breve il passo, nei gruppi fondamentalisti, dalle istanze ideologiche all’attivismo politico, anche nelle forme più brutali».
DNR e LNR sono il laboratorio in cui si può osservare da vicino il passaggio dal fondamentalismo religioso al fondamentalismo politico. L’utopia politica del «mondo russo» si è rapidamente trasformata in distopia, incarnando il peggio del passato sovietico, compresi i lager, la propaganda e il militarismo. A questo va aggiunta l’intolleranza, poiché «l’attivismo fondamentalista è per sua natura separatista. E cerca di creare appena può delle enclaves dove le sue idee si possano affermare senza tema di venire contraddette»; non a caso gli osservatori internazionali hanno denunciato i processi e la giustizia sommaria, la diffusa delazione che regnano nella DNR ed LNR: alcuni membri di confessioni non ortodosse sono stati uccisi, torturati o costretti ad andarsene, mentre altri preti ortodossi sfavorevoli alla linea ufficiale hanno dovuto scappare dai territori occupati.
«Paradossalmente, – scrive Hovorun, – mentre combatte la secolarizzazione, il fondamentalismo diventa un fenomeno di secolarizzazione. Si fa strumento dell’autosecolarizzazione della Chiesa».
Marta Dell'Asta
Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».
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