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25 Gennaio 2022
Ci sarà la guerra?
È possibile all’uomo della strada contrastare i giochi geopolitici? Quanto pesa la volontà di bene.
Una giornata come un’altra, banale, tranquilla: al mattino le lezioni, poi la discussione del progetto, la sera proiezione di un film seguita da dibattito.
Tornando a casa, per una mia tenace consuetudine ho guardato dentro le finestre. Luci calde, tende morbide, uno che armeggia in cucina, un altro che gioca col bambino, in una finestra si vede la sagoma di una lampada da tavolo, e al di sopra di tutto questo la zampa unghiata della guerra che può arrivare a ciascuno, anche se pensiamo «Tiè, sono al sicuro tra le mie quattro mura». Ma per la guerra non ci sono quattro mura sicure, e anche tutti gli scongiuri degli antenati non valgono niente.
Sono rientrata e ho letto diverse analisi intelligenti.
E tutte ripetono: «geopoliticamente utile», «geopoliticamente inutile», e neanche una parola sul fatto che la guerra, a prescindere dalla sua utilità, è orrenda; non si dice niente del dolore, delle morti assurde, della disumanità che porta con sé, del fatto che è la cosa più atroce che può accadere nella storia.
Il pragmatismo è terrificante nella sua semplice aritmetica: se la guerra conviene la si può ben cominciare, e derubricare le migliaia di morti come costi inevitabili per ottenere un grosso obiettivo geopolitico.
Da un altro punto di vista il pragmatismo ci consola: se «non conviene» magari non la fanno scoppiare. Ma se poi a una qualche testa squilibrata si affaccia l’idea che «comunque conviene», e si trovano sufficienti motivi perché convenga, e salta fuori un nuovo Gavrilo Princip che col suo colpo di pistola ribalta ancora una volta la storia? Dicono che nell’attuale teatro bellico il copione sarà diverso, ma resteranno tali e quali la morte, la distruzione, la disumanizzazione, come dalla notte dei tempi.
«…lasciate che bruci qualsiasi cosa, basta che non scoppi la guerra», così si diceva e si cantava da tutti i palcoscenici, ma al netto di tutta la retorica sovietica, questa frase aveva una sua verità.
Diverse generazioni sono cresciute all’ombra della guerra, nel terrore della guerra, e nessun retore al mondo le avrebbe potute convincere che esiste una «geopolitica» che la possa giustificare.
Adesso sentiamo la stessa paura, ci sentiamo ugualmente perduti, sofferenti per il fatto che non si può fare niente, così come sei, sette anni fa.
Allora, una mia conoscente che già se n’era andata da tempo dall’Ucraina, dov’era nata, in risposta al mio ennesimo bla bla contro la guerra, aveva scritto che l’autentica intelligencija russa dovrebbe volere la guerra, di più, dovrebbe volere che nella guerra vengano ammazzati più russi possibile, come vittima di espiazione per tutto ciò che la Russia ha fatto all’Ucraina.
Naturalmente l’aveva scritto spinta dalla disperazione, ma io, pur riconoscendo di aver involontariamente messo in moto il meccanismo dell’odio, ripeto che non voglio che il problema della colpa e della responsabilità si risolva con uno spargimento di sangue. Tanto più che volere la guerra, riporre fiducia nella guerra, sperare nella guerra indica chiaramente una patologia, ed è un disastro quando la patologia si trasforma in ideologia.
È possibile fermare in qualche modo la sciagura che si addensa a vista d’occhio?
La guerra non è solo strategia e tattica, non è solo «geopolitica» ed economia ma anche metafisica. Rappresenta un pensiero e uno spirito corrotti, che cercano il male e ne gioiscono. Rappresenta l’odio della vita che aspetta solo il «botto», così che questa vita odiata con la sua luce calda alle finestre sparisca. L’odio per ciò che vive come odio per Dio.
A questo non si contrappone un «pragmatismo diverso» ma la metafisica che ha un segno diverso: come movimento corale delle volontà che respingono l’inimicizia, i calcoli cinici, e cercano invece la vita, affermano la vita. Più saranno queste volontà, questa sanità mentale, più diventerà probabile fermare la catastrofe. Come? Con la preghiera, le intenzioni, l’impegno accorato, in qualsiasi modo.
«Purché non scoppi la guerra».
Svetlana Panič
Filologa, è stata ricercatrice presso l’Istituto Solženicyn di Mosca fino al 2017, ora è traduttrice e ricercatrice indipendente.
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