20 Aprile 2023
Kara-Murza: la Russia sarà libera, ditelo a tutti!
Uno degli ultimi politici dell’opposizione rimasti in Russia è stato condannato a una pena «staliniana» – 25 anni – per aver criticato la guerra. Al processo ha detto parole di speranza. Un russo che ama il suo paese nonostante tutto, e offre ai compatrioti lo spazio per il pentimento.
Una condanna a 25 anni – un quarto di secolo – è una cosa inaudita per un reato d’opinione persino in Russia. Un «quartino» lo chiamavano ai tempi di Stalin, che Vladimir Kara-Murza, 42 anni e una lunga carriera all’opposizione, si sarebbe meritato in quanto «agente straniero», traditore, diffamatore dell’esercito russo.
La moglie Evgenija ha commentato: «Un quarto di secolo per il coraggio, la coerenza e l’onestà del lavoro di tanti anni. Sono immensamente orgogliosa di te, amore».
Le sue colpe agli occhi del governo sono numerose e gravi: innanzitutto quella di essere stato braccio destro di Boris Nemcov (il politico ucciso da «ignoti» sul ponte ai piedi al Cremlino); poi quella di aver presieduto la «Fondazione Nemcov per la libertà»; di aver coordinato varie organizzazioni per i diritti, di aver favorito l’approvazione del «Magnitsky Act» da parte del governo USA (che imponeva il congelamento dei beni e il divieto di entrare negli Stati Uniti ai funzionari russi coinvolti nella morte in carcere dell’avvocato Sergej Magnitskij). Ma ancor più direttamente, Kara-Murza ha condannato senza mezzi termini la politica autoritaria di Putin, l’annessione della Crimea e naturalmente la guerra.
Per la sua caparbia opposizione, davanti al giudice di Mosca Kara-Murza – come prima i vari Dmitriev, Jašin, Naval’nyj – risulta un corpo estraneo di cui il paese vuole liberarsi, senza ancora esserci riuscito: per due volte, nel 2015 e nel 2017, l’uomo politico è rimasto intossicato da sostanze sconosciute (l’analisi fatta in Francia parlava di presenza nei tessuti di alti livelli di metalli pesanti) ma se l’è cavata, sia pure a stento e riportando danni irreversibili.
Ma finalmente è venuto per il governo il momento della resa dei conti. La cronologia dell’ultimo anno è una vera escalation: 22 aprile 2022 Kara-Murza viene dichiarato «agente straniero», quindi arrestato con ben 3 capi d’accusa. Il 10 ottobre il Consiglio d’Europa lo insignisce del «Premio Václav Havel per i diritti umani», ma la cosa non ha alcun effetto sulla sua vicenda giudiziaria.
Nonostante la presenza al dibattimento dei diplomatici di 25 paesi, il 6 aprile 2023 l’accusa chiede una condanna esemplare a 25 anni, che il giudice conferma in pieno il 17.
Vladimir Kara-Murza è stato un politico serio e di grande responsabilità, che non ha mai cavalcato la facile retorica della fronda; è una di quelle persone – ormai non più poche – che stanno salvando l’onore della Russia intera. Sapendo, come lui ben sa (se non altro in base al caso dell’avvocato Magnitskij picchiato a morte in prigione), che nelle prigioni russe abusi e torture sono prassi comune, è stato un autentico sacrificio da parte sua aver scelto liberamente di affrontare un simile inferno.
Eppure lo ha fatto, con una dignità e una consapevolezza che fanno pensare.
Mentre lo portavano via dopo la lettura della sentenza, ha lanciato un ultimo appello: «La Russia sarà libera, ditelo a tutti!».
La stessa speranza aveva espresso nella sua ultima parola pronunciata in aula il 10 aprile, una testimonianza impressionante di fede nell’uomo e nel bene. Parole che hanno lo spessore di una profezia di pace.
Le riportiamo per intero.
«Cittadini giudici, ero convinto che dopo un ventennio di politica russa, dopo tutto quello che ho visto e passato, ormai niente potesse stupirmi. Ma devo riconoscere che mi sbagliavo. Mi ha stupito il fatto che questo mio processo nel 2023 quanto a chiusura e discriminazione della difesa superi i processi contro i dissidenti sovietici degli anni ’60-70. Quanto poi alla condanna richiesta o al lessico sul “nemico”, non siamo neanche negli anni ’70 ma addirittura negli anni ’30.
Per me come storico tutto questo è motivo di riflessione. In fase di interrogatorio dell’imputato, il presidente della corte mi ha fatto presente che una delle circostanze attenuanti è il “pentimento per il crimine commesso”. E seppure attorno a me ci sia ben poco da ridere, non sono riuscito a trattenere un sorriso.
Sono i criminali che si devono pentire. Io invece mi trovo in prigione per le mie opinioni politiche. Perché ho parlato contro la guerra in Ucraina. Perché ho contrastato per anni la dittatura di Putin. Perché ho collaborato a far sì che fossero inflitte sanzioni internazionali in base alla “Legge Magnitskij” contro i violatori dei diritti dell’uomo.
Non solo non mi pento di nulla, ma ne vado fiero.
Fiero di essere entrato in politica grazie a Boris Nemcov. E voglio sperare che lui non si vergognerebbe di me. Sottoscrivo ogni parola che ho detto e che mi viene addebitata dall’accusa. Mi sento colpevole di una sola cosa, che negli anni di attività politica non sono riuscito a convincere un numero sufficiente di miei connazionali e di politici dei paesi democratici del grave pericolo che l’attuale regime del Cremlino costituisce per la Russia e per il mondo intero. Oggi è evidente a tutti, ma ad un prezzo terribile: la guerra.
Di solito nell’ultima parola l’accusato chiede di essere assolto. Per una persona che non ha commesso alcun reato l’unica sentenza legittima sarebbe l’assoluzione. Ma io a questa corte non chiedo nulla. Conosco la mia sentenza. La conoscevo già un anno fa, quando ho visto nello specchietto retrovisore degli uomini in uniforme nera e maschera nera che inseguivano la mia auto. Questo, al momento, è il prezzo che si paga in Russia per non voler stare zitti.
Ma so anche che verrà il giorno in cui le tenebre sul nostro paese si disperderanno. In cui il nero sarà chiamato nero e il bianco, bianco; in cui si riconoscerà ufficialmente che due più due fa comunque quattro; in cui la guerra sarà chiamata guerra e l’usurpatore, usurpatore; e saranno detti criminali quelli che l’hanno fomentata e scatenata, e non quelli che hanno cercato di fermarla. Questo giorno verrà, com’è vero che la primavera arriva ineluttabilmente anche dopo l’inverno più crudo.
E allora la nostra società aprirà gli occhi e rimarrà inorridita dai delitti orrendi che sono stati perpetrati nel suo nome.
A partire da questa constatazione, da questa coscienza, comincerà un cammino lungo e difficile, eppure così importante per tutti noi, che porterà a guarire e a ricostruire la Russia, per farla tornare nel consesso delle nazioni civili.
Persino oggi, persino nel buio che ci circonda, persino dentro questa gabbia in cui siedo, io amo il mio paese e credo nella nostra gente. Credo che sapremo percorrere questa strada».
(Foto di apertura: Sota)
Marta Dell'Asta
Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».
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