27 Luglio 2024

La storia ci punisce. Orlov alla corte

Oleg Orlov

Il direttore di Memorial attualmente detenuto in Russia parlando alla corte ha inchiodato i giudici alle proprie responsabilità. Senza una giustizia indipendente non ci sarà nessun cambiamento.

L’11 luglio 2024 si è svolta, presso un Tribunale di Mosca, l’udienza di ricorso in appello contro la condanna di Oleg Orlov, ultimo atto di una lunga e controversa vicenda giudiziaria. Il dissidente era stato condannato prima a una multa di 150.00 rubli (novembre 2023) poi, dopo l’annullamento della sentenza (a dicembre) e il rinvio del caso alla procura, è stato chiamato di nuovo a rispondere in base allo stesso articolo del Codice penale (280.3 p. 1: discredito reiterato delle forze armate) a cui però sono state aggiunte le aggravanti di «incitamento all’odio e all’ostilità» verso «i tradizionali valori morali, spirituali e patriottici russi» e verso il gruppo sociale dei «militari delle forze armate della Federazione Russa». Orlov si è rifiutato di rispondere alle domande del giudice e degli inquirenti, come un tempo i dissidenti sovietici, poiché ritiene il processo ingiusto e assurdo. Le aggravanti gli sono costate due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario.

Orlov non ha partecipato in presenza, ma dal carcere di custodia cautelare-2 di Syzran’, regione di Samara, dove è detenuto, e ha seguito l’udienza in videoconferenza. In molti si sono radunati in tribunale per sostenere Orlov: tutti i posti erano occupati sia nell’aula principale sia in quella in collegamento. C’erano il giornalista D. Muratov, Nobel per la pace 2021, V. Lukin, ex commissario per i diritti umani della Federazione Russa, il dissidente V. Bachmin, i colleghi di Memorial S. Gannuškina e J. Račinskij, la moglie di S. Kovalëv, L. Bojcova, e rappresentanti di ambasciate estere.

Prima dell’inizio dell’udienza, Orlov è riuscito a dire: «Non mi pento di nulla e non rimpiango nulla. Sono nel posto giusto al momento giusto Mentre nel nostro paese si stanno svolgendo massicce repressioni, mi trovo accanto a coloro che sono perseguitati, e in questo modo li aiuto». A quel punto l’audio è stato chiuso, e qualcuno dei presenti ha gridato «Censura!». Orlov ha di nuovo chiesto alla corte il rinvio dell’udienza, perché la documentazione processuale gli è stata fornita in forma illeggibile (quattro pagine in caratteri minuscoli su uno stesso foglio), ma la giudice ha respinto la richiesta.

L’avvocato difensore di Orlov, Katerina Tertuchina, ha contestato la legittimità del modo di procedere della corte, che ha aggravato la posizione dell’imputato. Alla fine dell’udienza la condanna è rimasta immutata, e Orlov ha pronunciato la sua ennesima ultima parola – la quarta, per questo caso! -, che riportiamo integralmente. Questa volta nel mirino del dissidente c’è il sistema giudiziario russo che copre, sotto una parvenza di legalità, l’arbitrio più assoluto.

È la quarta volta che mi viene data la possibilità di pronunciare l’ultima parola nello stesso procedimento penale per lo stesso articolo contro la guerra in cui ho descritto l’attuale regime politico del mio paese1

Nelle tre precedenti ultime parole ho detto tutto quello che era importante e necessario dire sul mio caso, sulla pratica delle repressioni politiche, che in Russia è diventata massiccia, sul passato, sul presente e sul futuro del mio paese, che – sorprendentemente – condivido con coloro che mi perseguitano.

E dunque, cosa dovrei dire oggi? Durante il primo processo… mi sono attenuto al principio della presunzione di buona fede. Non perché pensassi che questo principio fosse rispettato nella Russia di oggi, ma perché la mia concezione del mondo, orientata ai diritti umani, mi obbligava a farlo.

Ma il rinvio del mio caso dal tribunale cittadino di Mosca all’ufficio del procuratore, e in seguito, dopo l’istruttoria con l’esecuzione immediata dell’ordine di trovare delle circostanze aggravanti… ha mostrato con evidenza che sia il giudice istruttore, sia l’ufficio del procuratore, sia il tribunale stavano chiaramente eseguendo un ordine politico. Da quel momento in poi, la mia ulteriore, piena partecipazione al processo non solo non avrebbe avuto più senso, ma sarebbe stata stupida. Così ho smesso di partecipare. Ho smesso, perché era del tutto ovvio che l’esito del processo era già stato deciso.

La storia ci punisce. Orlov alla corte

Oleg Orlov.

Perciò, che altro dovrei dire ora? L’unica cosa che forse potrei fare sarebbe citare un brano, cambiando solo alcune parole. Anzi, non cambiandole, ma omettendole. Poi spiegherò che cosa ho omesso di preciso. Ecco dunque la citazione:

«Hanno distorto e pervertito la giustizia e le leggi e, infine, sono riusciti a distruggerle del tutto. Hanno reso il sistema giudiziario parte integrante della dittatura da loro creata e governata. Sottomettendosi solo al diktat politico, hanno abolito ogni parvenza di indipendenza della giustizia. Hanno minacciato, intimidito, privato dei diritti fondamentali coloro che venivano processati. I processi da loro condotti si sono trasformati in un’orribile farsa con residui rudimentali di procedura legale, che era solo una presa in giro delle sfortunate vittime». Fine della citazione.

Oggi queste parole possono essere pronunciate a buon diritto da qualsiasi prigioniero politico russo. Ma, avendo trascorso un pur breve periodo in carcere ed essendo riuscito a entrare in rapporto con molte persone, posso aggiungere che, a mio avviso, queste parole possono essere pronunciate non solo dai prigionieri politici, ma anche da un numero immenso di persone detenute per accuse non politiche. Queste parole descrivono in modo sorprendente lo stato attuale non tanto delle autorità politiche della Russia, quanto piuttosto del suo sistema giudiziario. Ma a pronunciarle, nel 1947 a Norimberga, fu Telford Taylor, il procuratore capo del famoso processo ai giudici, ai leader e ai funzionari del sistema giudiziario tedesco durante il periodo in cui in Germania dominava il regime nazista.

Ho omesso solo alcune parole, cioè, l’espressione «in Germania», l’aggettivo “hitleriano” riferito alla parola «regime», e le parole sul tribunale. Da noi in Russia per il momento non ci sono tribunali speciali. Non ancora. Ma i parallelismi sono evidenti.

Per concludere, citerò comunque un’altra frase. Sono le parole del più grande storico russo – Vasilij Klyučevskij: «La storia non è una maestra, ma una sorvegliante. Non insegna nulla, ma punisce severamente chi non sa le lezioni».

Fine della citazione. Ecco, secondo me è il momento di trarre delle conclusioni. Ho finito.


(Foto di apertura: memorialcenter.org, illustrazione di Vika Popova)

Oleg Orlov

Co-fondatore di Memorial, attualmente co-presidente del Centro per i diritti umani Memorial e membro del direttivo dell’Associazione Internazionale Memorial. Negli anni si è impegnato in diversi movimenti in difesa dei diritti umani nella Russia post-sovietica, documentandone la violazione in zone di conflitto come Transnistria, Caucaso, Cecenia. Tra il 2004 e il 2006 è stato membro del Consiglio presidenziale per lo sviluppo delle istituzioni della società civile e dei diritti umani. Nel 2009 ha ricevuto il Premio Sacharov dal Parlamento europeo.

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