16 Febbraio 2021
Havel: protagonista è colui che si stupisce
Scritta da un Havel poco più che ventenne, la recensione a un film ungherese del 1956 contiene alcuni spunti che riemergeranno negli scritti del drammaturgo-dissidente maturo: la ricerca della verità, il rapporto tra libertà personale e meccanismo totalitario. Già allora Havel scriveva: «Com’è terribile un sistema che ci dà motivi per credere ad ogni fantasia che abbia una parvenza di realtà, e viene presentata come realtà autentica».
Il ventenne Václav Havel, dopo la maturità conseguita nel 1954 al ginnasio serale, aveva cercato di immatricolarsi in varie facoltà umanistiche senza però riuscirvi, perché «avevano un ruolo importante le qualifiche politiche», e le sue – figlio di ricchi borghesi – agli occhi del regime comunista erano evidentemente pessime. Intanto per lui c’era all’orizzonte il servizio militare, così «per disperazione» si immatricolò alla facoltà di economia («dove prendevano chiunque») – indirizzo economia dei trasporti. In quegli stessi anni cominciò a collaborare con la rivista letteraria giovanile Květen, meno legata alle pastoie del realismo socialista (e infatti nel ’59 fu chiusa).
E fu proprio durante il servizio di leva, nel dicembre del 1958, che Havel scrisse una recensione al film Il professor Annibale (Hannibál tanár úr) del regista neorealista ungherese Zoltán Fábri (1917-1994) uscito nell’ottobre 1956, ossia pochi giorni prima dei drammatici eventi della rivolta di Budapest.
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Angelo Bonaguro
È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.
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