22 Novembre 2019
“Il francese”: il cinema parla del dissenso
L’attore e regista Andrej Smirnov ha messo in scena una vicenda che ricorda quella di alcuni intellettuali occidentali negli anni ‘50, da Vittorio Strada a Georges Nivat, che nell’incontro con il mondo sovietico e russo mutarono radicalmente le proprie concezioni, contribuendo anche a cambiare la coscienza europea, all’Est come all’Ovest.
L’inquadratura finale mostra un’esile ragazza che segue con lo sguardo l’auto del KGB che ha appena arrestato un amico per aver tentato di fare arrivare all’estero delle poesie clandestine, e con le lacrime agli occhi leva in alto una mano con due dita a V, in segno di vittoria. Siamo nella Mosca della fine anni ’50, il disgelo chruščeviano continua a dover fare i conti con gli «organi» come nell’epoca precedente, ma i giovani ormai rincorrono insofferenti nuovi modelli culturali, dal jazz («non più vietato… ma non ancora permesso»), alla poesia e alla pittura underground, scavano nel passato alla ricerca di una Russia che non esiste più e si scontrano con storie di brutalità fisiche e morali che hanno devastato le vite di intere generazioni.
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Giovanna Parravicini
Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
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