
16 Luglio 2025
Szeptycki: il giudizio di un vero padre
Monsignor Andrej Szeptycki è stato ricordato recentemente per l’esemplarità della sua testimonianza di fede e di amore per il proprio popolo. Nonostante una propaganda malevola abbia cercato di screditarlo, attribuendogli un inesistente antisemitismo, in realtà si è speso in difesa di ebrei, polacchi e di tutti quanti venissero perseguitati dal regime nazista.
Abbiamo già indicato le ragioni di questa attività e di questa attenzione irriducibile per tutto l’umano nell’affezione infinita a Cristo che caratterizzò la vita di monsignor Szeptycki: «A chi è innamorato di Cristo non basta il mondo intero», fu detto di lui. Apostolo, per questo amore, dell’unità del genere umano e, in particolare, dell’unità tra i cristiani d’Occidente e i cristiani d’Oriente, proprio per questo stesso amore, Szeptycki (di cui la Chiesa ha riconosciuto le virtù eroiche nel luglio del 2015) fu anche irriducibile difensore degli ebrei, denunciando tra i primissimi in Europa l’ignominia dell’antisemitismo nazista in una serie di interventi alla nazione e in particolare con cinque lettere pastorali che coprono il periodo intercorrente tra l’ottobre del 1941 e l’agosto del 1943:
1) La prima di queste lettere è quella del 9 ottobre 1941; dedicata al tema «dell’omicidio», in essa vengono esplicitamente condannate le violenze perpetrate contro gli ebrei e si afferma che una «nazione che non ha imparato a rispettare la vita umana è una nazione di selvaggi, non degna di stare fra le nazioni cristiane nel mondo», precisando poi che nessun potere, neanche là dove fosse legittimamente costituito, ha il diritto di togliere la vita.
2) La seconda lettera è del 27 marzo 1942, ed è ancora sull’omicidio che viene indicato come uno dei peccati sanzionabili automaticamente con la scomunica.
3) La terza lettera, del 19 maggio 1942, tratta della misericordia, e in essa la solidarietà viene indicata come un comportamento al quale gli esseri umani sono necessariamente tenuti per la loro stessa umanità e a dispetto delle condizioni, anche le più sfavorevoli, nelle quali potrebbero trovarsi (il riferimento esplicito è al Holodomor, la carestia artificiale prodotta dalle autorità sovietiche all’inizio degli anni Trenta).
4) La quarta lettera è del 21 novembre 1942 e il suo titolo, «Non uccidere!», richiama ancora una volta il quinto comandamento, condannando (senza citarli esplicitamente ma in maniera che fosse assolutamente chiaro di cosa si parlava) in modo inequivocabile gli omicidi perpetrati contro le minoranze polacche ed ebraiche presenti sul territorio ucraino.
5) Il 14 agosto 1943, l’ultima lettera, «Non cedere alle provocazioni e non commettere atti di terrore», si colloca in un momento storico in cui si annunciavano nuovi sconvolgimenti e, dopo la prova della barbarie nazista, si intravvedeva il ritorno del regime comunista, invitando in risposta alla pace, alla civile convivenza, e al rispetto della «legge di Dio che protegge la vita e la proprietà del prossimo».
A queste lettere si aggiungono alcune lettere personali alle autorità vaticane e in particolare due al papa Pio XII in cui la condanna del nazismo è, se possibile, ancora più netta. Dopo gli stralci della prima lettera (28 marzo 1942), pubblicati precedentemente grazie al lavoro di padre Augustyn Babiak, presentiamo qui la traduzione integrale della seconda di queste lettere, quella del 29-31 agosto 1942 (il testo utilizzato è quello pubblicato nella raccolta curata da P. Blet, R.A. Graham, A. Martini, B. Schneider, Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale. Le Saint Siège et la situation religieuse en Pologne et dans les Pays Baltes. 1939-1945. Deuxième Partie 1942-1945, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1967, pp. 625-629).
– Adriano Dell’Asta
Il metropolita di Leopoli dei Ruteni Szeptycki a papa Pio XII
(A.E.S. 6881/42, orig.)
Leopoli, 29-31 agosto 1942
Il metropolita informa il Papa sulla situazione della sua diocesi, soggetta al dominio tedesco dopo la ritirata delle truppe sovietiche.

A. Szeptycki. (wikipedia)
Santissimo Padre,
non ho scritto a Vostra Santità da quando viviamo sotto il regime tedesco non avendo mai avuto sufficienti garanzie che la mia lettera non cadesse nelle mani di coloro che non avrebbero dovuto leggerla. Nella speranza, tuttavia, di poter avere una buona occasione in un futuro non lontano, ho scritto queste poche parole, confidando che potranno giungere sino a Vostra Santità.
Liberati dal giogo bolscevico grazie all’esercito tedesco, ne abbiamo ricevuto un certo sollievo che non è durato però più di un mese o due. A poco a poco il governo ha istaurato un regime di terrore e di corruzione veramente incredibile, che diviene di giorno in giorno più pesante e più insopportabile. Oggi tutto il paese è concorde, nell’affermare che il regime tedesco è cattivo, quasi diabolico, a un grado forse più alto del regime bolscevico.
Da un anno almeno non passa giorno in cui non siano commessi i crimini più orribili, omicidi, furti e rapine, confische e concussioni. Gli ebrei sono le prime vittime e il numero di ebrei assassinati nel nostro piccolo paese ha certamente superato i duecentomila.
Via via che l’esercito avanzava verso est, il numero delle vittime aumentava. A Kiev in pochi giorni sono state uccise circa centotrentamila persone, tra uomini, donne e bambini [il riferimento è con ogni probabilità ai massacri che a partire dalla fine di settembre del 1941 si succedettero in più momenti nei dintorni della gola di Babij Jar e che erano già stati denunciati al papa nella lettera a Pio XII del 28 marzo – ndr]. Tutte le cittadine dell’Ucraina sono state testimoni di massacri simili, e la cosa dura ormai da più di un anno.
Le autorità, all’inizio, si vergognavano di questi atti di ingiustizia inumana e cercavano di procurarsi delle documentazioni che potessero provare che gli autori di questi omicidi erano abitanti del paese o membri della milizia. Col passare del tempo, poi, hanno iniziato a uccidere gli ebrei per strada, sotto gli occhi di tutta la popolazione e senza alcuna vergogna. Naturalmente anche numerosi cristiani, non solo ebrei battezzati, ma «ariani», come dicono loro, sono stati vittime di omicidi identicamente ingiustificati.
Centinaia di migliaia di arresti, per la maggior parte arbitrari, grandi quantità di giovani fucilati senza alcuna ragione plausibile, un regime di servitù applicato alla popolazione rurale, di cui viene imprigionata, per altro, quasi tutta la gioventù per costringerla ad andare in Germania e a lavorarvi nelle fabbriche o nelle campagne; ai contadini viene confiscato quasi tutto quello che producono, cominciando anche a esigere il doppio. Si proclama la pena di morte per tutto quello che venderanno o compreranno direttamente dai produttori. Si proclama ripetutamente la restituzione dei beni privati, senza mai realizzare queste promesse.

Occupanti nazisti in Ucraina, 1941, foto di Johannes Hähle. Hähle fu un soldato tedesco che accompagnò l’avanzata della 6ª Armata in qualità di fotoreporter. Tuttavia, probabilmente non scattò le fotografie a Kiev e Lubny in veste ufficiale, ma come osservatore privato, e non le consegnò ai superiori, salvando così dei documenti storici.
Esattamente al contrario, le autorità si servono indiscriminatamente di tutti i beni confiscati dai bolscevichi e dichiarano che tutta la terra è di proprietà dello Stato. Si ripete spesso a mezza voce che i beni dei privati sono bottino di guerra. Proseguono, ampliano e approfondiscono il sistema bolscevico.
Tra i dirigenti ci sono sicuramente delle persone oneste. In qualche caso si trovano anche dei buoni cattolici, ma la stragrande maggioranza di tutti i funzionari che ci vengono mandati è composta da gente che non conosce né fede né legge, che si permette abusi assolutamente incredibili. Si tratta la gente di campagna come se fossero dei neri delle colonie. Vengono frustati, presi a schiaffi senza alcun motivo, gli viene requisito tutto il cibo che raccolgono, per portarlo ad esempio in città ai loro figli, e il tutto viene fatto con così poco senso di umanità che non si crede neanche possibile che possano esistere tipi come questi. E ciononostante sono reali.
Da testimonianze affidabili so ad esempio di un capo di distretto che ha la mania di confiscare personalmente tutto quello che può trovare nelle ceste dei contadini che vanno in città, per poi gettarlo nel fiume. E lo ha fatto nel periodo di autentica carestia che aveva falcidiato molti villaggi prima dell’ultimo raccolto. E nessuno aveva osato lamentarsi, perché lui si sarebbe vendicato uccidendolo. Non gli si può fare nulla perché, si dice, ha protezioni altolocate.
Un testimone oculare, degno di fede, mi ha raccontato di aver visto personalmente un giovane ufficiale delle SS correre da lontano per non perdere l’occasione di dare l’ultimo colpo a un agonizzante, che per altro gli era perfettamente sconosciuto ed era stato ucciso dalla polizia semplicemente perché aveva fatto qualcosa che non era piaciuto ai poliziotti. Non posso moltiplicare i casi simili, tanto sono numerosi.
Molto semplicemente è come se una banda di pazzi scatenati o di lupi inferociti si fosse abbattuta su questa povera gente. E non sono semplicemente i contadini o le persone di bassa estrazione a essere esposti a botte e violenze. Un impiegato che, se è tedesco, ha già uno stipendio due o tre volte superiore di quello del più alto funzionario non tedesco, può permettersi di prendere a schiaffi, ad esempio, un procuratore.
I gendarmi picchiano la gente con manganelli di gomma nelle stazioni o per la strada. E capita anche che aizzino i cani poliziotto contro il pubblico. E i cani, in qualche caso, hanno la museruola, ma ci sono delle volte che non ce l’hanno affatto.
Malgrado le nostre ripetute richieste di mettere ordine nelle piccole fattorie delle parrocchie di campagna che, sotto i bolscevichi, erano state confiscate de facto, ma non «nazionalizzate», come dicevano loro, non abbiamo ottenuto nulla, e la dotazione del clero è praticamente ridotta a quello che viene dalle offerte dei poveri.

Ucraina, 1941. (J. Hähle)
Devo qui ricordare con grande riconoscenza l’aiuto che ci viene offerto dai cattolici tedeschi attraverso il canale di un’associazione destinata a prestare assistenza ai tedeschi che risiedono fuori dal Reich. Bisogna poi dire che il clero ucraino riceve dal governo quello che viene chiamato «eine freiwillige Unterstützung» [un contributo discrezionale] di 50 Rm [marchi] al mese, ma si tratta più di una «dimostrazione politica» che non di un vero aiuto. E oltre tutto siamo anche tenuti a doverci pagare sopra una tassa del 25%.
Non ci vengono ancora applicate le leggi anticattoliche del Reich. Ai sacerdoti è ancora concesso insegnare il catechismo ai bambini nelle scuole. Non si immischiano ancora troppo nella predicazione e nell’amministrazione delle parrocchie. Si vogliono regolamentare i matrimoni, ma non ancora in senso anti-canonico. Si cerca di vessare il clero, come tutti i cittadini, del resto, con una serie di disposizioni relative ai passaporti, con dei permessi e con una quantità di prescrizioni restrittive delle libertà civili che si può soltanto immaginare. Ma ci viene ancora consentito, ad esempio, di tenere aperti i seminari. Il nostro seminario e la nostra accademia teologica funzionano più o meno normalmente. E tuttavia siamo continuamente minacciati da una persecuzione vera e propria, che pende sulle nostre teste come una spada di Damocle. Mi viene consentito di far stampare tutti i mesi l’organo ufficiale della diocesi, con le relative lettere pastorali e istruzioni. Ma poi le sequestrano per le ragioni più futili di questo mondo. Sono comunque riuscito a far pubblicare sei numeri abbastanza ricchi, più o meno di 32 pagine l’uno.
Ho potuto convocare un sinodo diocesano che, con grandi intervalli, si riunisce lungo il corso di quasi tutto l’anno e mi offre l’opportunità di essere costantemente in contatto con il clero della diocesi. I monasteri si riorganizzano poco a poco. Ma tutto questo è ben lungi dall’essere una compensazione sufficiente rispetto alla demoralizzazione senza nome che subiscono i semplici e i più deboli. Essi, infatti, imparano a rubare e a uccidere; perdono il senso della giustizia e dell’umanità. Ho protestato con lettere pastorali [per le prime tre, dall’ottobre del 1941 al maggio del 1942, cfr. supra], naturalmente sequestrate, nelle quali denunciavo gli omicidi, lettere discusse e meditate, in quattro o cinque riprese, davanti al clero riunito. Come ordinario ho dichiarato l’omicidio causa di scomunica.
Ho protestato ancora attraverso una lettera a Himmler [febbraio 1942] e ho cercato di premonire i giovani dal lasciarsi coinvolgere nell’arruolamento nelle milizie, dove è facile che la loro umanità possa essere corrotta. Ma tutto ciò è assolutamente nulla se messo a confronto con le ondate crescenti di immondizia morale che sommerge tutto il paese. Tutti noi prevediamo che il regime di terrore andrà aumentando e si abbatterà prevalentemente sui cristiani ucraini e polacchi. I boia, infatti, abituati a massacrare ebrei e migliaia di persone innocenti, sono abituati a veder scorrere il sangue e hanno sete di sangue.
Dato che già ora tutto è permesso ai tedeschi è probabile che la loro rabbia non saprà arrestarsi e non ci sarà forza in grado di imporre loro la benché minima disciplina. Prevediamo dunque che tutto il paese sarà di nuovo travolto da ondate di sangue innocente a meno che qualche evento straordinario non arresti il corso delle cose.
La sola consolazione che si possa avere in questi tempi terribili è che nulla ci avviene senza la volontà del nostro Padre Celeste. Credo che fra gli ebrei massacrati vi siano molte anime che si convertono a Dio, perché mai da tanti secoli sono stati posti come adesso davanti alla probabilità di una morte violenta, e spesso dura per mesi e mesi prima che diventi una possibilità reale.

Babin Jar, 1941: soldati tedeschi frugano tra gli oggetti dei fucilati dopo il massacro. (J. Hähle)
La sorte dei cristiani, che a centinaia di migliaia sono morti o muoiono senza sacramenti, è anch’essa nelle mani di Dio. Che dolore vedere questi poveri dissidenti [era uno dei modi tradizionali del tempo per definire gli ortodossi] che muoiono di fame o sono giustiziati nei campi di concentramento senza che si possa fare nulla per loro. Perché veramente è nulla tutto quello che si può fare. Di regola non ci viene consentito di prestare assistenza negli ospedali dei prigionieri di guerra e neppure nei campi di concentramento dove quotidianamente i detenuti muoiono a centinaia e, in qualche caso, nell’enorme maggioranza dei presenti.
Ho statistiche e liste che sono sconfortanti e persino spaventose. Non viene concesso neppure ai nostri sacerdoti di assistere i nostri fedeli, che sono numerosi nella grande Ucraina. Perché si ha paura dell’Unione delle Chiese. Si ha paura di una qualsiasi forma di concordia, perché se c’è un regime che si serve ampiamente e persino abilmente della massima «Divide…» è appunto il regime di cui siamo le vittime.
Non aggiungo altre critiche al sistema che Vostra Santità conosce molto meglio di tutti noi [ci si riferisce al nazismo che Pio XII aveva visto nascere quando era nunzio in Germania]. Questo sistema di menzogne, di malizia, di ingiustizie, di ruberie, di caricatura di tutte le idee di civiltà e di ordine. Questo sistema di egoismo gonfiato fino all’assurdo, di sciovinismo nazionale assolutamente folle, di odio per tutto ciò che è onesto e bello, questo sistema rappresenta qualcosa di così eccezionale che lo stupore è forse il primo sentimento che si percepisce alla vista di questo mostro. A cosa porterà, questo sistema, la disgraziata nazione tedesca? Non potrà essere altro se non una degenerazione della razza quale la storia non ha ancora mai conosciuto. Ci conceda Iddio che essi non portino con sé nella loro caduta le parti della Chiesa cattolica che non possono non subire il contraccolpo di questa influenza infernale.
Se la persecuzione prenderà la forma di massacri a causa della religione, questo potrà forse significare la salvezza per questi paesi. C’è un bisogno enorme di sangue volontariamente offerto per espiare questo sangue versato da criminali. Vostra Santità mi ha negato tre anni fa la grazia di una benedizione apostolica con la quale, in virtù della sua missione apostolica, mi avrebbe designato e destinato a una morte per la salvezza della mia diocesi. Non ho insistito, convinto che Vostra Santità vedesse meglio di me; credo di aver perso l’occasione migliore e forse unica sotto i bolscevichi. Ma questi tre anni mi hanno insegnato che non sono degno di una simile morte. E ho capito che il sacrificio della mia vita avrebbe probabilmente avuto meno valore davanti a Dio della preghiera recitata da un bambino.
Oggi chiedo solo una benedizione speciale per le mie preghiere e i miei sacrifici. La maggior parte di questi sacrifici è destinata all’intera Chiesa cattolica, una piccola parte rimane per la mia diocesi e il mio popolo, ma questi sacrifici saranno fruttuosi solo grazie alla benedizione di Vostra Santità e alla grazia di Dio che questa benedizione ci otterrà.
Per questo motivo, prostrato ai piedi di Vostra Santità, la prego di voler concedere la Sua benedizione apostolica al mio povero popolo, al povero clero della mia povera diocesi e alla mia nullità.
(foto d’apertura: S. Giorgio a Leopoli, M. Vidrak, wikipedia)
Andrej Szeptycki
Andrej (al secolo Aleksander) Szeptycki (1865-1944), arcivescovo maggiore di L’viv degli Ucraini, metropolita di Halyč, fondatore dei monaci studiti ucraini (1900) e dell’Accademia teologica di L’viv (1929). Oppositore del comunismo e del nazionalsocialismo, salvò numerosi ebrei dalle persecuzioni naziste. Nel 1958 è iniziato il suo processo di beatificazione. Nel 2015 è stato promulgato il decreto che ne attesta le virtù eroiche.
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