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1 Giugno 2025
Lo psicologo e il potere: una riflessione sul caso Bechterev
Nel panorama del rapporto tra scienza e autoritarismo, l’opera di Luciano Mecacci dedicata al neuropsichiatra russo Bechterev analizza in modo approfondito le complesse dinamiche che legano la psicologia ai meccanismi del potere.
Il volume Lo psicologo nel palazzo (Palingenia 2024) parla della figura del neuropatologo e psichiatra russo Vladimir Bechterev (1857-1927), la cui vita professionale si intreccia con le turbolenze politiche di un’epoca di profonda trasformazione.
Luciano Mecacci (1946), psicologo, storico e russista di formazione, porta all’analisi la preziosa prospettiva di chi ha attraversato i confini disciplinari e geopolitici, avendo lavorato all’Istituto di psicologia di Mosca nei primi anni ’70 e ricoperto il ruolo di professore ordinario di Psicologia generale all’Università di Firenze. La sua cura della prima traduzione integrale di Pensiero e linguaggio di Vygockij e l’interesse per fenomeni sociali che ritroviamo nel saggio Bezprizornye. Bambini randagi nella Russia sovietica (2019, tr. russa 2023), rivelano un intellettuale capace di esplorare zone d’ombra della storia sociale spesso trascurate dalle narrazioni ufficiali.
Ciò che colpisce nell’approccio di Mecacci non è tanto la ricostruzione biografica in sé, quanto la sua capacità di utilizzare la traiettoria intellettuale di Bechterev come prisma attraverso cui esaminare le tensioni etiche che emergono quando l’indagine scientifica si svolge all’ombra di regimi repressivi.
La scelta di aprire il volume con la novella di Lion Feuchtwanger (1884-1958), Storia del Dottor Bl., fisiologo del cervello, non è casuale ma rappresenta un dispositivo letterario che anticipa i temi centrali dell’opera. Lo scrittore tedesco, con la sua origine ebraica e le sue simpatie staliniane (e nell’Epilogo troviamo l’intervista concessagli da Stalin nel 1937), diventa egli stesso un personaggio emblematico dell’ambivalente rapporto tra intellettuali occidentali e regime sovietico. La metafora del dispositivo capace di misurare l’intelligenza ideato dal «dottor Bl.» risuona come un ammonimento sulla pericolosa seduzione che il potere esercita sulla scienza, trasformandola da strumento conoscitivo a meccanismo di controllo sociale.
Particolarmente rivelatore è il modo in cui Mecacci illumina l’impegno civile di Bechterev, sintetizzato nel suo motto «Conosci l’uomo!», una dichiarazione programmatica che trascende l’ambito puramente scientifico per abbracciare una visione umanistica della conoscenza. La sua posizione sulla questione ebraica, culminata nell’intervento durante il processo Beilis quando, nel 1913, un ebreo fu accusato ingiustamente di aver ucciso un ragazzo cristiano per scopi rituali, rappresenta uno di quei rari momenti in cui l’etica professionale si traduce in coraggiosa presa di posizione politica, rivelando come l’integrità intellettuale possa manifestarsi anche nei contesti più ostili.
Il pensiero pedagogico di Bechterev emerge come un ulteriore spazio di resistenza intellettuale. La sua visione di un’educazione universale, personalizzata e orientata allo sviluppo del pensiero critico si pone in tacita contraddizione con l’omologazione culturale promossa dai regimi autoritari. In questo senso, la pedagogia diventa per lo scienziato russo non solo un campo di ricerca, ma un progetto sociale alternativo, fondato sul riconoscimento delle differenze individuali piuttosto che sulla loro soppressione.

V. Bechterev ritratto da I. Repin, 1913, Museo Russo. (wikipedia)
Nato nel 1857 nel governatorato di Vjatka, Vladimir Bechterev si laureò all’Accademia medico-chirurgica di San Pietroburgo nel 1878 e divenne presto famoso come neuropsicologo. Diede contributi significativi allo studio dei riflessi fisiologici e patologici, descrisse nuove malattie (tra cui la spondilite anchilosante) e sviluppò metodi di trattamento innovativi. La sua morte improvvisa nel 1927 rimane avvolta nel mistero, con teorie che suggeriscono un avvelenamento legato a una diagnosi di «paranoia» fatta a Stalin e raccontata in forma privata.
Questo episodio centrale, infatti, si colloca nella tensione tra verità scientifica e potere politico. Ciò che rende la vicenda particolarmente emblematica è il suo valore simbolico: la diagnosi psichiatrica diventa qui atto politico per eccellenza, capace di sovvertire le gerarchie tra osservatore e osservato, tra medico e paziente, tra scienziato e dittatore.
Le ricerche di Bechterev sulla psicologia delle masse acquisiscono inoltre, nella ricostruzione di Mecacci, una dimensione quasi profetica. L’interesse dei servizi segreti sovietici per questi studi rivela come le scoperte sulla suggestionabilità collettiva potessero essere facilmente trasformate in tecniche di manipolazione politica – una dinamica che anticipa inquietanti sviluppi successivi non solo nell’Unione Sovietica, ma in tutti i regimi totalitari del XX secolo.
Lo psicologo nel palazzo si configura quindi come un’opera che trascende il genere biografico per diventare una meditazione sulla responsabilità intellettuale in tempi di crisi. Attraverso la parabola esistenziale e professionale di Bechterev, Mecacci ci invita a riflettere su questioni che mantengono intatta la loro rilevanza: qual è il confine tra collaborazione e compromesso? Come preservare l’integrità della ricerca scientifica quando questa si svolge in contesti politicamente compromessi? E soprattutto, quale postura etica dovrebbe assumere l’intellettuale di fronte all’arbitrio del potere?
In questo senso la rilettura del caso Bechterev offre non tanto risposte definitive quanto una preziosa cartografia delle ambiguità e delle contraddizioni che caratterizzano questa intersezione.
Il volume è accompagnato da un robusto apparato di note e bibliografia.
(immagine d’apertura: wikipedia)
Angelo Bonaguro
È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.
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