18 Agosto 2022

Meeting 2022 • Uomini nonostante tutto

Giovanna Parravicini

Dalle lettere e dai piccoli regali inviati da padri e madri nel GULag ai figli è nata una mostra straordinaria, che testimonia un’invincibile umanità, più forte del totalitarismo. I materiali appartengono all’associazione Memorial di Mosca, il cui archivio è ora sotto sequestro dello Stato.

Non sono storie di martiri o di dissidenti, quelle presentate nella mostra «Uomini nonostante tutto», curata al Meeting di Rimini dalla Fondazione Russia Cristiana e dall’Associazione Memorial.
Sono vicende di uomini e donne normali – tecnici, insegnanti, commercianti, militari, impiegati e così via, vissuti in diverse aree dell’impero sovietico (dalla Russia alla Bielorussia, Ucraina, Georgia ecc.), generalmente lontani dalla politica e leali nei confronti del proprio paese, se non addirittura sostenitori degli ideali del socialismo – che si scontrano, negli anni del Grande Terrore, con la gigantesca macchina repressiva che ne sconvolge e distrugge le vite. Che cosa accade nella vita di una persona e della sua famiglia, quando all’improvviso il mondo ti crolla addosso e ti trovi solo, indifeso davanti a un potere senza volto, implacabile, spietato? Per alcuni, più lucidi e acuti, inizia un cammino di scoperta del male dell’ideologia, e dell’io umano nelle sue autentiche dimensioni – libertà, responsabilità, compassione, amore; altri, che non arrivano a scalfire la superficie della contraddizione in cui l’uomo sovietico si dibatte, trovano sostegno nei rapporti familiari, nel proprio patrimonio di esperienza e di cultura, in un innato senso della dignità umana.

L’attenta, scrupolosa ricostruzione di queste storie e del loro messaggio, attraverso gli scarni materiali sottratti alla distruzione e custoditi negli archivi familiari, è merito di Memorial, la prima associazione pubblica sorta in URSS alla fine degli anni ’80 proprio con lo scopo di salvaguardare la memoria delle vittime del totalitarismo restituendo loro un nome e un volto: all’archivio e al museo di Memorial, nel corso dei trent’anni della sua esistenza (è stato liquidato dalla procura della Federazione russa nel dicembre scorso), sono state infatti consegnate migliaia di documenti, fotografie e oggetti gelosamente nascosti e custoditi per anni dai superstiti del sistema concentrazionario, oppure da loro familiari o amici.

La mostra, ideata con estrema semplicità ed efficacia come un altissimo muro rosso cupo con al centro una fascia luminosa bianca, è costruita sull’accostamento di due registri, indicati appunto dai due colori di sfondo: l’oppressivo contesto di terrore e di violenza, descritto per accenni attraverso laconiche testimonianze stampate sul fondo rosso a caratteri cubitali, e lo svolgersi entro la fascia luminosa di storie personali e familiari in cui gli affetti, il senso di umanità, dignità, compassione riescono a far brillare il gusto della libertà, ad accendere una luce di speranza anche in condizioni disumane. Proprio in questo si evidenzia il senso del lavoro di Memorial: nel mostrare il riverbero della grande storia nelle storie particolari di milioni di persone, e nel testimoniarne il cammino umano, le sofferenze ma anche i valori morali e spirituali che oggi, in particolare, si rivelano di grande attualità.

Riportiamo qui di seguito alcune storie, dando appuntamento ai nostri lettori al Meeting di Rimini e rimandandoli alla lettura del catalogo completo della mostra.

Larisa e Anatolij

Meeting 2022 • Uomini nonostante tutto

(archivio Memorial)

Appartengono a Larisa Bogoraz (1929-2004) queste memorie senza pari, scritte a macchina su strisce di lenzuola, in modo da riuscire a nasconderle più facilmente in caso di perquisizioni.
Larisa Bogoraz, figura leggendaria del dissenso, una dei fondatori di Memorial, nasce a Char’kov; il padre – in lager dal 1936 al 1941 – è docente di economia all’università, lei invece sceglierà la linguistica.
Il 25 agosto 1968 Larisa è tra gli otto che scendono sulla Piazza Rossa a manifestare «Per la nostra e la vostra libertà», contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Viene condannata a 4 anni di deportazione a Čuna, un villaggio della regione di Irkutsk (Siberia Orientale).
Nel 1971 sposa Anatolij Marčenko, e nella seconda metà degli anni ’70 lo segue al confino, ancora una volta a Čuna (Marčenko morirà nel 1986 nel carcere di Čistopol’, in seguito a uno sciopero della fame per la liberazione dei prigionieri politici).
A Čuna Larisa incontra una veterana dei lager, Natal’ja Kostenko, arrestata nel 1946 e condannata per tradimento della patria a 10 anni, che aveva scontato nei campi della Mordovia, del Primor’e e della Kolyma. Larisa decide di trascrivere dalla sua viva voce le sue memorie, e trova l’ingegnoso metodo della tela che ha permesso di tramandarcele.


Una detenuta rientra dal lavoro, spera di ricevere una razione supplementare di pane perché ha raggiunto la norma stabilita, e quando le dicono di andare a controllare che cos’ha sotto il cuscino il cuore le balza in petto…
«Senz’altro mi avranno dato il pane, pensai. Corsi verso la mia branda e alzai il cuscino. Sotto c’erano tre lettere, le prime che ricevevo dopo sei mesi. Il mio primo sentimento fu di delusione: invece del pane, le lettere. Ma dopo provai orrore di me stessa. Che razza di mostro ero diventata, se tenevo di più a un pezzo di pane che alle lettere della mamma, del babbo e dei bambini! Aprii le buste e caddero delle fotografie: mia figlia mi guardava con i suoi occhi azzurri, mio figlio aveva la fronte aggrottata e di certo pensava a qualcosa. Dimenticai il pane e mi misi a piangere».
Ol’ga Adamova Sliozberg, Kolyma


Anatolij Kozlovskij

Anatolij (1897-1941) venne fucilato nel carcere di Orël. Di lui ci resta un solo testo, un «testamento spirituale» indirizzato alla moglie e ai figli, le cui lettere sono cucite con il filo e una lisca di pesce su un pezzo di tela grigiastra, forse un brandello di lenzuolo.
Tolja (così lo chiamavano in famiglia e così lui si firma), aveva fatto l’accademia militare, ma una volta diplomato nel 1919 si trova a combattere sotto un altro governo, in un esercito diverso da quello in cui era stato addestrato. Viene reclutato negli organi, nell’OGPU, e inviato a Minsk; nel 1935 riceve addirittura delle decorazioni, ma nel ’37 cominciano le epurazioni all’interno del governo bielorusso.

Meeting 2022 • Uomini nonostante tutto

(archivio Memorial)

 «Papà, ma com’è possibile? Li hanno appena premiati e adesso sono tutti nemici del popolo? – ricorda di avergli chiesto la figlia Nina, allora quattordicenne – Papà mi guardò a lungo, poi distolse gli occhi e senza più guardarmi disse: “Adesso non puoi capire. Ma ti do la mia parola che quando diventerai grande capirai tutto”. Mio padre voleva proteggermi, per questo non mi disse nulla».

Kozlovskij viene arrestato direttamente in ufficio, e dopo un’istruttoria durata due anni condannato alla fucilazione. Così, nel ’39, attendendo di giorno in giorno il plotone di esecuzione Anatolij «imbastisce» la sua missiva. Sarà recapitata alla figlia (anche la madre era stata arrestata subito dopo) da un suo compagno di prigione rimesso in libertà.

Meeting 2022 • Uomini nonostante tutto

(archivio Memorial)

Betti, a te sola i miei pensieri e sogni. T
Come ti ho amato, com’è duro averti perso. T
Non bisogna piangere, io sono per sempre con te. T
Ricordami con una parola buona. T.
Nina, Enja! Sono stato in 29 battaglie, ho combattuto a Varsavia, per la patria – per la vostra felicità – due volte ho versato sangue. Papà
Sempre più vicino al komsomol’, al partito! Io sono per sempre con voi. Papà
Non dubitate mai della mia lealtà al partito, alla patria e a voi. T.
Serbate religiosamente la memoria di me.
Vi ho amati più della vita!
Prendetevi cura della mamma!
Addio!
Papà, I.X.39
Kozlovskij


Dietro questo grazioso libretto illustrato, la Fiaba del Coniglio Andrjuška Orecchie Grigie (Minlag, 1951-1954) si cela una storia carica di dolore e di speranza di far giungere fino al proprio bambino l’amore di una mamma.

fiaba coniglietto

(archivio Memorial)

Sof’ja Firsova (1919-1999), nata in Bielorussia, in provincia di Vitebsk (la patria di Chagall), docente a Leningrado, viene arrestata nel 1949 nel corso della campagna contro il «cosmopolitismo», nel corso della quale si batte con decisione in difesa dei suoi colleghi ebrei, e condannata a 10 anni di reclusione, sebbene sia al quinto mese di gravidanza. Nel carcere di Kresty, a Leningrado, darà alla luce il figlio Andrej (Andrjuša), e insieme al neonato affronterà il lungo viaggio di trasferimento fino al lager di Inta, nella Repubblica di Komi, nel Nord.

Qui per qualche tempo trova lavoro come addetta alla biancheria all’interno della baracca dei neonati, e ha quindi la possibilità di seguire il proprio bambino; riesce a  fatica a brigare per consegnarlo ai parenti, anziché vederlo andare in orfanotrofio, ma il marito Nikolaj, importante funzionario del partito, nel frattempo ha ripudiato la moglie in quanto «nemica del popolo», e presto divorzia e si forma una nuova famiglia. Sarà lui a prendere con sé Andrjuša e ad inculcargli la convinzione che la madre – detenuta in un lager dove sono rinchiusi criminali, banditi, assassini – è da disprezzare ed evitare.

In lager Sof’ja si dispera, sull’orlo del suicidio per il silenzio ostile dei familiari: come trasmettere al suo bambino il suo amore, il suo ricordo? La aiutano tre compagne del lager, tre amiche – tali rimarranno per tutta la vita – che escogitano il modo di preparare ad Andrjuša un dono che gli parli della mamma e gli mostri che non ha mai smesso di pensare a lui e di occuparsi di lui. Nasce così questa fiaba, di cui Ella Markman scrive il testo in versi, Ljudmila Vasil’kovskaja realizza i disegni, mentre Marija Romančuk rilega il libretto e ricama il coniglietto in copertina.

S. Firsova, K. Markman e L. Vasil’kovskaja

Da sin.: S. Firsova, K. Markman e L. Vasil’kovskaja (archivio Memorial).

Una volta tornata in libertà nel 1954 (sarà riabilitata nel 1956 e potrà riprendere anche l’insegnamento in università), per Sof’ja continuerà la dura battaglia per riconquistare l’affetto del figlio.


Dall’orfanotrofio un ragazzino di dodici-tredici anni, Otto Zahl, scrive alla mamma in lager. La loro era una famiglia austriaca, i genitori erano socialisti trasferitisi da Vienna nel Paese dei Soviet per costruire il luminoso futuro. In questo caso la prima a essere arrestata fu la mamma, poi venne il turno del babbo:

«Un saluto dal tuo amato figlio, cara mammina, attraverso foreste, monti e steppe, attraverso lunghe distanze ti mando qualche mia notizia. Anche tu probabilmente aspetti una mia lettera, e io ricevo così di rado le tue. Peccato poterti scrivere solo una volta al mese.

Mi hanno finalmente consegnato le mie fototessere, mammina, sono venuto male ma abbastanza somigliante: così puoi farti un’idea di com’è il tuo figliolo, probabilmente è diverso da come l’hai lasciato nell’agosto 1937. Non so, mammina, se tu sia cambiata, nell’immaginazione mi è rimasta questa immagine: hai i capelli neri, un bel sorriso, la camicetta rossa, e discorri con il babbo.

Meeting 2022 • Uomini nonostante tutto

(archivio Memorial)

Cara mammina, spesso mi viene in mente la lontana grandiosa Leningrado, con le sue vie e canali diritti come frecce, la nostra casa, l’appartamento dove ho trascorso un’infanzia spensierata. Che tristezza mi assale in quei momenti! A volte mi sembra di sognare, e che sto per svegliarmi nel tepore delle tue braccia là a Leningrado. Ma poi mi guardo intorno e capisco che tutto questo non è un sogno.

Mammina, quando ero piccolo sognavo di fare l’aviatore, il marinaio, di diventare un artista. Se fossi vissuto con voi, avrei potuto diventare quello che volevo. Giusto, mammina? In orfanotrofio cerco di finire le medie, poi si vedrà. Ma in ogni caso vorrei sapere quale professione mi consigli.

Non preoccuparti per me, mammina. Riguardati, fallo per me.
Mammina, del nostro papà non hai saputo niente?
Mammina, abbi fede nel futuro. Andrà tutto bene. Stai in buona salute, cara la mia mammina.
Ti bacio forte forte. Tutti i disegni li ho fatti io. Non serve che mi mandi soldi. Otto».


Anteprima del catalogo:

Meeting di Rimini • 20-25 agosto 2022
Padiglione C1


(foto d’apertura: archivio Memorial)

Giovanna Parravicini

Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.

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