Nazionalismo o patriottismo?

20 Ottobre 2025

Nazionalismo o patriottismo?

Vladimir Solov’ëv

L’orgoglio nazionale e la chiusura, nel singolo come nelle nazioni, lede gravemente l’identità personale. Riconoscere un dovere morale superiore apre allo sviluppo positivo della personalità. Continuiamo la pubblicazione del saggio Il problema nazionale in Russia.

II PARTE

La nazione, o il principio nazionale, è una forza positiva e ogni nazione, per il suo carattere specifico, è deputata a un servizio altrettanto specifico. I diversi popoli sono organi diversi nel corpo dell’umanità reso nel suo complesso: per un cristiano si tratta di una verità evidente. Ma se le membra del corpo fisico litigano tra loro solo nella favola di Menenio Agrippa, nei popoli, organi dell’umanità, costituiti non solo da elementi naturali ma anche da elementi coscienti e volitivi, può nascere ed effettivamente nasce una contrapposizione tra l’uno e il tutto, un’aspirazione a separarsi e isolarsi dal tutto. In questa aspirazione, la forza positiva della nazionalità si trasforma nella forza negativa del nazionalismo. Si tratta di una nazionalità astratta dalle sue forze vitali, educata a un esclusivismo consapevole e, con questo esclusivismo, rivolta contro tutto ciò che è altro. Il nazionalismo, portato alla sua tensione estrema, distrugge la nazione che se ne è lasciata conquistare, rendendola nemica dell’umanità, che si dimostrerà sempre più forte della nazione singola.

Il cristianesimo, abolendo il nazionalismo, salva le nazioni, perché il sovranazionale non è l’a-nazionale. E qui vale la parola di Dio: solo chi darà la propria anima la salverà, e chi la conserverà la perderà. E il popolo che vuole salvare la propria anima a tutti i costi in un nazionalismo chiuso ed esclusivo la perderà, perché è solo mettendo tutta la propria anima nella causa sovranazionale e universale di Cristo che la salverà.

L’abnegazione personale, la vittoria sull’egoismo, non è la distruzione dell’ego, della personalità stessa ma, al contrario, è l’elevazione di questo ego a uno stadio superiore dell’essere.

Esattamente lo stesso vale per il popolo: rifiutando il nazionalismo esclusivo non solo non perde la propria vita indipendente ma, anzi, solo qui viene investita dal suo vero compito vitale. Questo compito non gli si apre nell’aleatorio perseguimento di vili interessi, non nella realizzazione di una missione immaginaria e autoproclamata, ma nell’adempimento di un dovere storico che lo unisce a tutti gli altri in una comune causa universale. Elevato a questo grado, il patriottismo non è una contraddizione, ma la pienezza della moralità personale. Allora le migliori aspirazioni dell’animo umano, i più alti dettami della coscienza cristiana si applicano alle questioni e alle azioni politiche, senza opporsi ad esse.

Non bisogna farsi ingannare: la disumanità nelle relazioni internazionali e sociali, la politica cannibale, alla fine rovinerà anche la moralità personale e familiare, come in parte si vede già in tutto il mondo cristiano.

Nonostante tutto, però, l’uomo è un essere logico e non può sopportare a lungo questa mostruosa dissociazione tra le regole dell’attività personale e di quella politica. Ecco perché, anche solo per la salvezza della moralità personale, dobbiamo guardarci dal trasformare questo sdoppiamento in un principio e pretendere che un uomo, che tratta i suoi vicini più intimi da cristiano, e che per quanto riguarda gli altri suoi concittadini rispetta la legge almeno dal punto di vista giuridico, in quanto rappresentante dello Stato e degli interessi nazionali sia guidato da opinioni che sono proprie dei rapinatori di strada e dei selvaggi africani. È necessario, anche se inizialmente solo in teoria, riconoscere come principio guida supremo di tutta la politica non l’interesse e non la presunzione, ma l’obbligo morale.

Il principio cristiano del dovere, o del servizio morale, è l’unico principio valido, definito e completo, o perfetto, dell’azione politica. L’unico valido, perché, partendo dal sacrificio di sé, lo porta sino alla fine; richiede che non sia solo l’individuo a sacrificare la propria esclusività a favore del popolo, ma esclude ogni esclusivismo per ogni popolo e per tutta l’umanità, chiamando tutti ugualmente alla causa della salvezza del mondo, che nella sua essenza è il bene più alto e incondizionato e, quindi, presenta una base sufficiente per ogni sacrificio di sé; mentre sul terreno dell’interesse personale non si vede assolutamente perché il proprio interesse personale debba essere sacrificato, e similmente non si vede affatto perché io dovrei inchinarmi davanti all’amor proprio collettivo dei miei concittadini, quando tutti ritengono che il mio amor proprio personale sia una debolezza del mio carattere morale e non un principio normale di azione.

Nazionalismo o patriottismo?

(Edward Lear, Philae; wikimedia)

Inoltre, l’idea cristiana del dovere è l’unico principio definito in politica: perché, da un lato, l’interesse e il profitto sono di per sé qualcosa di assolutamente sconfinato e insaziabile, ma, dall’altro, l’opinione sulla propria vocazione superiore ed esclusiva non dà alcuna direzione positiva in ogni caso e questione particolare; mentre il dovere cristiano ci indica sempre come dobbiamo agire in ogni caso, e inoltre ci chiede solo ciò che possiamo certamente fare, ciò che è in nostro potere (ad impossibilia nemo obligatur), mentre l’aspirazione all’interesse materiale non garantisce affatto la possibilità di raggiungerlo e l’idea di una nostra vocazione esclusiva fa normalmente intravvedere delle vette inaccessibili. Abbiamo quindi il diritto di dire che i motivi del profitto e della presunzione sono chimerici, là dove il principio del dovere cristiano è qualcosa di completamente reale e saldo. Infine, è l’unico principio completo, che comprenda in sé tutti i contenuti positivi degli altri principi, che si risolvono in esso.

Mentre il profitto e la presunzione – che per il loro esclusivismo affermano la rivalità e la lotta delle nazioni – non ammettono in politica un principio superiore di obbligo morale, questo stesso principio non nega affatto gli interessi legittimi né la vera vocazione di ogni nazione, ma, al contrario, li presuppone entrambi. Se infatti noi ammettiamo che il popolo abbia un obbligo morale, sicuramente l’adempiere questo obbligo beneficerà anche i suoi reali interessi e la sua reale vocazione. Non si richiede che il popolo trascuri i propri interessi materiali e non pensi alla propria speciale missione; si richiede solo che non sia a questo che consacra la propria anima, che non sia questo il suo scopo ultimo, che non sia quello a cui serve. E allora, in ossequio alle più alte considerazioni del dovere cristiano, sia la ricchezza materiale che l’autocoscienza dello spirito nazionale diventano di per sé stesse forze positive, mezzi e strumenti efficaci di uno scopo morale, perché allora le conquiste di questo popolo vanno davvero a beneficio di tutti gli altri e la loro grandezza glorifica l’intera umanità.

Così, il principio del dovere morale in politica, che comprende gli altri due, è il più completo, in quanto è il più definito e internamente coerente. E per le persone che condividono la nostra stessa fede, ricordiamo che questo principio è l’unico cristiano.

La politica dell’interesse, l’aspirazione all’arricchimento e al rafforzamento personali sono propri dell’uomo naturale, è un atteggiamento pagano, e i popoli cristiani, quando si attestano su questo terreno tornano al paganesimo.

L’affermazione di una propria missione esclusiva, la divinizzazione del proprio popolo è un punto di vista che appartiene al giudaismo antico e, adottando questo punto di vista, i popoli cristiani ritornano al giudaismo dell’Antico Testamento.

Schiacciare e divorare gli altri per la propria crescita è qualcosa che dipende da un istinto esclusivamente animale, un atto disumano ed empio, sia che a compierlo sia un individuo isolato sia che si tratti di tutto un popolo. Vantarsi della propria vocazione superiore, attribuirsi di fronte agli altri diritti e privilegi speciali è, per un popolo come per una persona singola, una questione di orgoglio e di autoaffermazione, una questione umana ma anche poco cristiana. Confessare il proprio dovere, riconoscere il proprio obbligo, è una questione di umiltà e di autocoscienza cristiana, un principio necessario per chi voglia impegnarsi sulla via di un’alta moralità e di una vita autenticamente divinoumana, sia che si tratti di tutto un popolo, sia che si tratti di una singola persona.

Nazionalismo o patriottismo?

(Edward Lear, Negadeh; wikimedia).

Tutto qui si decide non in base alla propria opinione, ma confrontandosi con la propria coscienza, che è uguale per tutti, così che non vi possa essere spazio per impostori. Non ci possono essere nemmeno falsi profeti, perché la predicazione del dovere non implica nulla di fatale, nessuna predestinazione: indicare al popolo il suo dovere non significa ancora predire il suo destino futuro.

Il popolo, al pari della persona singola, può compiere o non compiere il proprio dovere, ma anche in quest’ultimo caso il dovere rimane e chi lo ha indicato non può essere accusato di mentire.

Nel momento attuale della storia dell’umanità non è ancora possibile, né per il popolo né per l’individuo, che la soddisfazione dei bisogni materiali e delle esigenze di autoprotezione derivi direttamente dai dettami del dovere morale. Per una nazione, poi, ci sono anche le questioni correnti, gli affari del momento storico non direttamente collegati ai suoi compiti morali superiori. E noi non siamo chiamati a parlare di questa attualità. Ma ci sono grandi questioni di vita, nella cui soluzione il popolo deve essere guidato soprattutto dalla voce della coscienza, mettendo in secondo piano tutte le altre considerazioni. In queste grandi questioni, ciò che è in gioco è la salvezza dell’anima di un popolo, e qui ogni popolo dovrebbe pensare soltanto al proprio dovere, senza preoccuparsi di cosa fanno gli altri popoli, senza pretendere o aspettarsi nulla da loro.

Non è in nostro potere costringere gli altri ad adempiere al loro dovere, ma possiamo e dobbiamo adempiere al nostro e, adempiendolo, serviremo con ciò stesso la causa comune universale; perché in questa causa comune ogni popolo storico, per il suo carattere e posto speciale nella storia, ha anche un suo servizio speciale da realizzare. Possiamo dire che questo servizio è imposto a un popolo dalla sua storia nella forma di grandi questioni di vita, che non può aggirare. Può tuttavia cadere nella tentazione di risolvere queste questioni non secondo coscienza, ma in base all’interesse particolare e ai suoi calcoli egoistici. Questo è il pericolo più grande, e il dovere del vero patriottismo è salvaguardarsi da esso.

(Traduzione e cura di Adriano Dell’Asta)

2 – continua


(Immagine d’apertura: Edward Lear, Korosko; wikimedia).

Vladimir Solov’ëv

Vladimir Solov’ëv (1853-1900) è uno dei filosofi russi più importanti di tutti i tempi. In lui sono già presenti, a livello di sistema, tutte le idee che saranno all’origine della rinascita spirituale russa dell’inizio del XX secolo. Tra le sue opere ricordiamo:  La Russia e la Chiesa universale, La crisi della filosofia occidentale» e «Islam ed ebraismo».

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