29 Marzo 2025
È urgente imparare dalla crisi
La storia può sempre sorprenderci, nel bene e nel male. Ma sta a noi scegliere la via da percorrere senza illudersi che altri risolveranno i problemi al posto nostro. Intervista di Marta Dell’Asta.
Approfittando del suo passaggio in Italia, abbiamo dialogato con padre Giovanni Guaita, monaco e sacerdote ortodosso che ha vissuto in prima persona tutte le drammatiche vicende della Chiesa russa negli ultimi decenni. Inevitabile affrontare con lui i temi della crisi e della speranza.
Se a te come confessore e guida spirituale chiedessero in cosa sperare oggi, dove porre la propria fiducia, cosa risponderesti?
Ovviamente la prima risposta è che la nostra fiducia dev’essere posta in Dio in ogni caso, perché è Lui che guida la storia, quella di ognuno di noi come quella con la S maiuscola. Ma, a parte le ragioni di fede, possiamo avere anche ragioni storiche, poiché abbiamo visto accadere tante cose che non avremmo mai creduto o sperato.
Anche la fine dell’epoca sovietica, pur con tante contraddizioni, ha sorpreso molti di noi. La storia ci mostra che le cose possono cambiare quando meno ce lo aspettiamo, con una velocità e modalità imprevedibili. L’implosione dell’Unione Sovietica e la fine del regime sono avvenuti in modo molto più pacifico di come avremmo potuto credere. Tutto questo ci conforta, vuol dire che i cambiamenti possono avvenire. Nello stesso tempo, va ricordato che la storia russa conosce tante accelerazioni e altrettante frenate.
Naturalmente sperare significa allo stesso tempo rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare, perché sicuramente una volta superata la crisi attuale, cioè una volta finita la guerra, ci sarà un lunghissimo percorso da compiere.
In particolare, per quanto riguarda la Russia al suo interno, credo che ci vorrà molto tempo per riprendersi dalle tante ferite provocate dagli avvenimenti degli ultimi anni.
Come si può stare davanti alla divisione nella Chiesa, quando con le stesse citazioni evangeliche si argomentano «verità» opposte? Come recuperare l’autenticità del Vangelo, della fede?
Purtroppo, non è la prima volta nella storia della Chiesa che il Vangelo e la fede vengono utilizzati per giustificare cose che non hanno niente a che fare con la fede cristiana. Da questo punto di vista ci vuole una grande serietà da parte dei teologi e di chi ha un ruolo nella Chiesa – in tutte le Chiese – per fare chiarezza.
Una delle frequenti strumentalizzazioni è contenuta nel riferimento al comandamento nuovo di Cristo «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» e al seguito di quelle parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,12-13).
Queste parole vengono utilizzate non solo dal punto di vista nazionalista e patriottico ma esplicitamente in favore della guerra, essendo il soldato colui che è «pronto a dare la vita». Su questo bisogna essere estremamente chiari: in tutta la patrologia non si trova un’interpretazione di questo tipo, essa si afferma nella Chiesa russa nel XIX secolo, in uno dei momenti di maggior collusione col potere politico. È una lettura che non ha riscontri neanche nella Bibbia stessa; infatti, nella logica interna di quel passo è evidente che Gesù parla del proprio sacrificio, quello che lui farà immediatamente dopo sulla croce. È sconcertante e abominevole che si possano usare le parole del Salvatore, disposto a dare la propria vita, per giustificare chi invece prende quella degli altri.
Credo che serva un pronunciamento molto chiaro, da parte delle Chiese ortodosse in toto, di chi ha un’autorità teologica al loro interno, cosa che in effetti già avviene, come nel caso dell’Istituto Saint-Serge di Parigi.
Ci sono segnali in questo senso per il prossimo futuro?
Direi che all’interno dell’ortodossia qualche segnale c’è, perché la situazione è effettivamente allarmante. Un conto sono le tensioni interne che nell’ortodossia esistono già da tempo, un altro è arrivare quasi allo scisma con la rottura della comunione con Costantinopoli. Anche in questo caso non bisogna dimenticare la storia della Chiesa: incomprensioni molto più futili di quelle di oggi sono all’origine della rottura tra la Chiesa d’Oriente e d’Occidente, di cui purtroppo continuiamo a pagare le conseguenze. Ma, da parte della Chiesa russa, la tensione [con Costantinopoli] in atto adesso è tale che già si comincia a chiamarla scisma, è una frattura autentica. Ogni giorno che passa io personalmente vivo la mancata comunione tra Mosca e Constantinopoli come un dramma.
Inoltre, si può usare la parola di Dio anche per giustificare un abominio, tuttavia questo non è già più né una tensione né uno scisma, ma è un’autentica eresia e va giudicata in quanto tale, senza equivoci. Credo che pian piano, all’interno di diverse comunità ortodosse, si stia arrivando a maturare la consapevolezza che occorre fare qualcosa.
Quando ci sono forti contrapposizioni, è necessario che noi stessi riusciamo a spogliarci delle nostre ragioni per cercare di capire le ragioni dell’altro. Oggi questo è possibile?
Bisogna sempre sforzarsi di capire le ragioni dell’altro, però quando queste ragioni portano alla disumanità, causano la perdita di vite umane, la distruzione, la povertà e hanno conseguenze catastrofiche per l’economia, la storia, la psicologia di due popoli – e tutto questo purtroppo si protrarrà per anni, – allora per capire le ragioni dell’altro bisogna partire dalle conseguenze che hanno i fatti, dalle azioni che compiamo.

Pescatore presso il ponte di Saratov. (M. Červjakov, GovoritNeMoskva)
Nei primi decenni del ‘900, madre Marija Skobcova [russa emigrata, martire] aveva fatto una riflessione sulle persecuzioni contro la Chiesa ortodossa russa, chiedendosi se non fossero provvidenziali, poiché l’avevano spogliata di tutto il superfluo accumulato nei secoli, riportandola a Cristo stesso. Questa presa di coscienza ha dato frutti visibili nella storia della Chiesa, oppure è stata dimenticata?
Dimenticata no, perché il fatto che a Mosca si continui a pubblicare le opere di madre Marija significa che l’interesse c’è. Madre Marija ha detto parole profetiche sulla Chiesa del futuro, che si sono drammaticamente avverate: su cosa sarebbe accaduto alla Chiesa quando fossero arrivati quelli che erano stati educati nell’ateismo sovietico.
Un’altra cosa che ha detto riguardava la vita monastica e la spoliazione che aveva subito la Chiesa russa, spoliazione che dava la possibilità unica di riconsiderare la vita monastica in quanto tale. Tra le pagine più belle che ho letto sulla vita monastica ci sono proprio quelle di madre Marija. D’altra parte, le circostanze ora sono molto diverse:
ciò che è avvenuto un secolo fa è simile nelle conseguenze, ma è esattamente opposto nelle cause;
infatti, mentre allora c’era un’ideologia atea e aggressivamente antireligiosa che attaccava la Chiesa e la condannava al silenzio, oggi c’è un utilizzo strumentale della Chiesa e della fede per giustificare e sostenere qualcosa che non ha niente a che vedere né con l’una né con l’altra.
A mio giudizio la situazione è molto più penosa oggi, perché finché si può distinguere il bianco dal nero, finché si dice: noi siamo atei, odiamo la Chiesa ed è per questo che vi condanniamo, è un conto; ma quando c’è un rimescolamento continuo, per tantissime persone non è più chiaro cosa stia succedendo, è una matassa molto più ingarbugliata, e temo che occorreranno ancora più tempo e maggiori energie per dipanarla. È sorprendente che dopo il dramma che la Chiesa russa ha vissuto nel XX secolo, ci troviamo davanti a situazioni che appaiono ancora più complesse.
Mi aggancio proprio alla storia della Chiesa russa nel XX secolo: si è parlato tanto di rinascita religiosa nei decenni tra il ’70 e il ’90. Che cosa ne è stato? È stato un generoso tentativo fallito, un fenomeno un po’ gonfiato e trasformato in mito? La situazione attuale è legata in qualche modo a quell’attesa di rinascita e di ritorno della Chiesa nella società?
Nella storia avvengono tante frenate e accelerazioni, tuttavia essa è sempre un continuum, quindi, quello che avviene oggi è comunque legato – in vario modo – a ciò che è avvenuto ieri.
A mio avviso, alla fine degli anni ’70 e ’80 l’interesse per la fede da parte dell’intelligencija sovietica era appunto un interesse intellettuale, spirituale, che riguardava in genere le persone più colte, quelle che leggevano e si informavano, e che ad un certo punto, vedendo l’irrilevanza dell’ideologia imposta allo Stato, si sono interessate alla fede.
In un certo senso, per alcuni era un ritorno alle origini, alle radici ortodosse, invece per altri è stato qualcosa di assolutamente nuovo, perché ormai non conoscevano più nulla della Russia prerivoluzionaria.
Negli anni ’90 la situazione era già diversa, infatti, l’interesse non riguardava più solo l’intelligencija ma si era diffuso nella massa, e da lì sono cominciati i battesimi di migliaia di persone. A mio avviso è stato un momento interessantissimo nella storia del paese e della Chiesa russa. Si potrebbe definire un nuovo battesimo, nel senso del ritorno in massa alla Chiesa e alla fede, e forse quanto succede oggi è legato, nel bene e nel male, anche a quel periodo.
C’è stato un ritorno, ma a che cosa? E che cosa abbiamo saputo proporre a coloro che spontaneamente venivano? A parte il battesimo, e a parte un cristianesimo ortodosso fatto soprattutto di ritualità e di costruzione di chiese, che cosa abbiamo proposto, sviluppato e realizzato? Dagli anni ’90 fino a oggi siamo stati capaci di educare una generazione di credenti ortodossi con basi solide, oppure abbiamo offerto dei surrogati?
La situazione di oggi mi sembra davvero allarmante perché tante persone ormai battezzate, ritornate o arrivate alla Chiesa, non distinguono il bene dal male, e giudicano in nome di qualcosa che contraddice totalmente la Buona Novella. Questo ci pone delle domande serie, almeno relativamente alla pedagogia ecclesiale. Ciò che sta avvenendo ora è anche conseguenza di alcuni errori che sono stati fatti allora, anche perché la rinascita degli anni ’90 è stata generalmente un fatto imprevisto per la Chiesa, non c’erano gli strumenti o la capacità di reagire adeguatamente.
Forse si è inserita anche l’idea, malintesa, che la Chiesa dovesse essere ripagata per tutto quello che aveva subìto.
Sì, e pochi sono riusciti a proporre qualcosa di valido. Il ritorno alla fede è stato visto come un ritorno semplicemente alle origini culturali e quindi etniche, e alla fine il discorso che rimane oggi è proprio quello di una forte autocoscienza culturale etnica, nel bene e nel male, ma non nella sostanza della fede cristiana, purtroppo.
Bisognerebbe chiedersi se sarebbe stato possibile agire diversamente, soprattutto chi era in grado di proporre qualcosa.
A mio avviso, la fede ortodossa, il cammino spirituale che, ad esempio, proponeva padre Aleksandr Men’ avrebbe potuto essere una risposta sostanziale.
Usando tutti gli strumenti della cultura e della storia, padre Aleksandr proponeva un cristianesimo che non era però solo cultura o autocoscienza nazionale, bensì il Vangelo, un’ortodossia evangelica.
Oggi cosa resta dell’insegnamento di padre Men’ e delle comunità che aveva disseminato?
A tutt’oggi, 35 anni dopo il suo martirio e a 90 dalla sua nascita, forse dobbiamo veramente chiederci che cosa rimane, che cosa può darci ancora per l’avvenire la sua proposta. Perché non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando della tragicità del passato e del presente, ma bisogna anche porsi la domanda su quello che sarà il futuro. Io sono profondamente convinto che la proposta di padre Aleksandr sia anche per l’avvenire. Tra l’altro, il futuro è una delle parole chiave della sua spiritualità, perché sosteneva che il cristianesimo è solo all’inizio, che ha fatto solo i primi passi, che è la religione del futuro, e noi siamo solo dei neanderthaliani dello spirito.
La sua è perciò una coscienza fortemente critica, che purtroppo conferma che abbiamo realizzato pochissimo. Tutto questo non è dovuto soltanto al fatto che siamo così malmessi, ma al fatto che il cristianesimo è qualcosa di estremamente serio ed esigente, che cambia radicalmente il modo di vivere e che effettivamente è ancora tutto da sviluppare.
Lo possiamo notare anche nel caso della Chiesa russa. Penso che dopo le enormi aspettative che ci sono state nel passato, ora la navicella di questa Chiesa si sia come incagliata e quindi sia necessario fare un po’ di retromarcia per capire dove abbiamo infilato il canale da cui non riusciamo ad uscire. E penso che una possibile risposta sia proprio in ciò che padre Aleksandr proponeva, si tratta di qualcosa di molto esigente e che impone una autoanalisi, un’autocoscienza. Per questo ritengo che la proposta spirituale di padre Aleksandr sia ancora da scoprire nella sua interezza.

(Komarof, wikipedia)
Si vede, in qualche luogo, qualche figura che sta agendo in questo senso?
Senza dubbio! Intanto non vorrei apparire troppo negativo: padre Aleksandr ha comunque avuto un’influenza enorme su tanti fedeli della Chiesa russa, e non soltanto lui direttamente con la sua predicazione e con le sue famose lezioni, ma anche con la sua eredità intellettuale, come i suoi libri, per esempio, che continuano ad essere ripubblicati in Russia. Io personalmente conosco tante persone che sono nate dopo la sua morte e che ne hanno sentito l’influenza. Quindi direi che la sua predicazione va avanti.
In che cosa consiste questa sua specificità e novità?
Nel rifocalizzare il cristianesimo, orientando correttamente la bussola. Per padre Aleksandr il fulcro dell’ortodossia è Gesù Cristo risorto, quindi prima di tutto la parola di Dio, il Vangelo. L’ortodossia per lui non era una mera appartenenza etnica, culturale.
Ortodossia significa vivere, è l’«Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo», è l’incontro con Cristo risorto. Al centro di questa ortodossia c’è l’incontro con Cristo che avviene, per esempio, attraverso la parola di Dio, la frequentazione dei sacramenti, e nella comunità cristiana riunita. Sono queste le primissime cose che sottolineava padre Aleksandr e da qui bisogna ripartire. La Chiesa è questo, e non le cupole dorate che sono puramente accessorie.
Le parole che hai usato: incontro, comunità, possono essere la risposta alla crisi odierna?
Io credo che l’avvenire dell’ortodossia tutta intera, come dell’ortodossia russa, stia nel riscoprire tutto questo, dunque nel riorientare la bussola, nel riprendere la rotta correggendola. Altrimenti le prospettive sono spaventose.
Io sono in Russia dall’ultimo periodo dell’epoca sovietica, sono un testimone oculare che ha vissuto tutti i cambiamenti del regime verso la perestrojka, poi verso El’cin fino a Putin… In Russia, nei decenni sovietici, c’è stata la lotta costante dello Stato ateo contro la Chiesa e la fede, sia pur con connotazioni ed episodi diversi. Eppure, a mio avviso, nell’animo del popolo russo non c’era una forte avversione contro la religione e la Chiesa. Nemmeno in epoca sovietica ho mai notato quello che in Occidente si chiama anticlericalismo. Ci sono stati senz’altro l’ateismo, l’agnosticismo, l’indifferenza religiosa, ma non l’avversione viscerale nei confronti della Chiesa e della fede.
Temo però che ora possa iniziare proprio questo, e ne vedo già le prime manifestazioni. Un tempo c’era una Chiesa di martiri che aveva scelto un modus vivendi con lo Stato ateo. Ma il fatto che oggi la Chiesa accetti che il patrimonio della fede venga sfruttato per scopi che non hanno niente in comune con il cristianesimo, è tutto un altro discorso. È una situazione che porta all’odio viscerale, la reazione non è più quella di chi magari non vedeva con simpatia la Chiesa ma almeno riconosceva che tanti suoi figli stavano patendo, o vivevano discriminati. Ciò che la gente vede oggi è tutt’altro, la reazione sarà molto diversa e può essere di molta maggior ostilità.
Se non vogliamo ritrovarci ad aver a che fare con un anticlericalismo viscerale, dobbiamo seriamente ripensare a cosa significa essere ortodossi in Russia. In questo padre Men’ può darci una mano.

(IrinaJa, wikipedia)
Pensi che la crisi della Chiesa russa attuale sia strettamente interna o abbia a che fare con la crisi che stanno attraversando le altre confessioni cristiane nel mondo? In altri termini: esiste la possibilità di un cammino comune fra tutti i cristiani?
Sono senza dubbio legate. Non credo che sia più pensabile un isolamento totale in nessuna regione del mondo, benché i fatti di questi ultimissimi anni sembrerebbero dirci che la chiusura può ritornare. Alcune delle sfide davanti alle quali si trova la Chiesa russa oggi sono comuni all’ortodossia in quanto tale, mentre altre sono comuni a tutto il cristianesimo. Dunque, essendo la situazione comune, anche la risposta dovrebbe essere comune.
Non avrei mai pensato, qualche anno fa, che il presidente degli Stati Uniti potesse fare dichiarazioni come quelle che ha fatto ultimamente riguardo ad altri paesi, a deportazioni di popoli e così via.
Questo vuol dire che la crisi è molto seria, e che l’incapacità di discernere il bene e il male non è un problema solo russo, è un problema generale.
Perciò credo che la riscoperta del Vangelo e di un’autentica vita cristiana occorra qui non meno che in Russia.
In cosa vedi una possibilità per te di poter essere utile, di poter restare in comunione con la tua Chiesa – a cui tieni – pur trovandoti emarginato?
Per me è sicuramente una priorità quella di rimanere nella Chiesa nonostante tutto. Io pensavo di rimanere in Russia sino alla fine, ma a un certo punto ho capito che non era possibile; comunque, c’è una discriminante precisa: la coscienza. È come giocare in una squadra che ha enormi problemi ma nella quale resti proprio per amore della squadra. Questo però è valido solo finché non si entra in totale conflitto con la propria coscienza. Quando questo avviene, occorre fare le opportune deduzioni.
A Parigi, dove vivo ora, esercito il mio ministero nella giurisdizione ecclesiastica cui appartengo, quella del Patriarcato di Mosca, intrattenendo però ottime relazioni con tutte le altre comunità ortodosse di tradizione russa e non, oltre che con fratelli e sorelle cattolici e protestanti. Qualcuno mi ha chiesto se io non mi senta in contraddizione con la mia coscienza… … Nonostante vari momenti e situazioni difficili, fino ad oggi direi di no. Né, fin qui, sento di essere nell’impossibilità di restare nella Chiesa di Mosca. Ma non posso dire niente per l’avvenire. Posso solo dire che se dovessi arrivare alla conclusione che è impossibile rimanere, non resterei un attimo di più.
Tutta questa dura esperienza ti ha dato qualcosa? Riconosci davanti a Dio che ti è servita a maturare la tua fede?
Cerco di capire meglio ogni giorno. Non ho ancora fatto un bilancio, continuo a credere nella bontà della mia scelta, certo non mi aspettavo ciò che sta avvenendo ora, anche se ero consapevole di tanti problemi.
Certamente oggi non abbiamo coscienza di quel che potrà ancora avvenire.
Credo che non esista nessuno più realista del cristiano, che è allo stesso tempo idealista e realista al cento per cento, cioè deve considerare tutto con assoluta sobrietà e trarre le conclusioni da ciò che avviene hic et nunc.
Io sono molto contento di condividere con il popolo russo e con la Chiesa russa questo momento storico così difficile, ritengo un privilegio il fatto di poterlo vivere dall’interno. Almeno, finché sarà possibile…
(Foto d’apertura: M. Červjakov, GovoritNeMoskva)
Ioann Guaita
Padre Giovanni Guaita è ieromonaco della Chiesa ortodossa russa. Nato in Sardegna, ha compiuto gli studi in Italia, Svizzera e Russia. Studioso del cristianesimo orientale (è autore di testi sulle Chiese russa e armena), ha vissuto per quasi 40 anni a Mosca, dove ha frequentato p. Aleksandr Men’, ha completato i propri studi teologici e insegnato in diverse università. Dall’inizio del conflitto russo-ucraino si è espresso contro la guerra. Da qualche mese esercita il suo ministero a Parigi.
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