8 Gennaio 2024
Padre Uminskij sospeso a divinis. Perché?
L’antivigilia del Natale ortodosso, il patriarcato di Mosca ha sospeso «a divinis» padre Aleksej Uminskij, uno dei parroci più autorevoli della capitale. Uno shock per i suoi fedeli e una grande perdita per la Chiesa.
Il 5 gennaio, antivigilia del Natale ortodosso, padre Aleksej Uminskij, uno dei parroci più famosi e autorevoli di Mosca, è stato doppiamente colpito dall’autorità ecclesiastica: privato della parrocchia che reggeva da 30 anni è stato anche sospeso «a divinis». Una misura gravissima, in pratica l’azzeramento di un’intera vita pastorale e del ministero sacerdotale. Un colpo simile potrebbe distruggere un sacerdote.
A rendere ancora più pesante, e quasi derisoria la sanzione, è stata la scelta del suo sostituto, che già il giorno seguente ha preso in mano le redini della parrocchia: quel padre Andrej Tkačev sacerdote ucraino transfuga in Russia dal 2014, noto per gli ardenti sermoni televisivi, militarista e sostenitore della «triunità» di russi, bielorussi e ucraini. Lo strappo è tanto più grave perché colpisce non solo la persona di padre Uminskij, ma con lui anche le migliaia di fedeli, malati e loro parenti che a lui si affidavano (padre Aleksej era tra l’altro molto impegnato nel sostegno di varie iniziative di solidarietà sociale): «La vicenda di padre Uminskij è innanzitutto un’immensa tragedia personale per un gran numero di persone», ha detto il biblista ortodosso Andrej Desnickij.
Ancora manca il documento ufficiale della diocesi che definisca le «colpe» del sacerdote a giustificazione di una misura tanto pesante; il suo amico Aleksandr Archangel’skij scrive che «gli hanno consegnato personalmente in mano un biglietto della cancelleria sotterranea, timbrato e protocollato».
Qualcuno (come l’agenzia Rosbizneskonsalting) ritiene che la causa siano le sue dichiarazioni pacifiste e antimilitariste, altri citano specificamente l’intervista rilasciata da Uminskij a Venediktov, ex direttore di radio Echo Moskvy e «agente straniero», l’11 novembre scorso, in cui padre Aleksej suggeriva ai fedeli in crisi di coscienza di fronte alla propaganda bellicista di cercare dei sacerdoti che non facciano dichiarazioni militariste e non preghino per la vittoria. Pare che il vescovo Pitirim di Skopin e Šack abbia definito queste parole come «metastasi dell’infezione terribile del liberalismo che è penetrata nella nostra Chiesa e uccide la nostra patria». Del resto nel recente passato il pacifismo è già stato dichiarato «incompatibile con la dottrina ortodossa».
Nell’impossibilità di pubblicare commenti sui media russi (il portale ortodosso Pravmir si limita a dare la notizia e a fare un asciutto elenco delle qualità di Uminskij, astenendosi da qualsiasi giudizio), la rete invece si è subito riempita di invettive verso il patriarcato ma soprattutto di commenti elogiativi e grati verso il sacerdote sospeso: «Uno dei sacerdoti più intelligenti e lucidi della Chiesa ortodossa russa attuale» scrive Nikolaj Podosokorskij. «Per 30 anni – ha commentato Viktor Sudarikov – è stata edificata una casa dello Spirito, e in un sol giorno una volontà malvagia ha distrutto tutto. Quello del patriarca Kirill è un gesto ignobile e ingiusto, a prova che disprezza i fedeli della Chiesa ortodossa e non tollera la libertà di spirito».
E ancora Archangel’skij: «Il nostro caro padre Aleksej Uminskij è stato licenziato come parroco e sospeso “a divinis”; questo solo fatto ferisce un numero enorme di persone. Ma coloro che hanno preso la decisione hanno cercato di ferire ancora di più, programmandola per Natale, in modo da rovinare la festa, e hanno sostituito padre Aleksandr con Tkačev, persona incompatibile con la parrocchia, per cercare di rovinargli il fegato. Inutile domandarsi se il sadismo morale sia compatibile con la predicazione di Cristo».
Il giornalista Leonid Vinogradov ha scelto per il suo post un’epigrafe drammatica ma appropriata: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10), aggiungendo più sotto che «padre Aleksej è un vero pastore che attraverso i social e i media invita sempre i suoi parrocchiani, e chiunque, a cercare Dio. E non invita soltanto, ma dà l’esempio per primo».
In effetti, oltre alle doti di predicatore, alla grande cultura e alle capacità comunicative, sono note a molti la fede e la carità di padre Aleksej; la stessa Lida Moniava, attivista ortodossa che ha fondato gli hospice pediatrici in Russia, ha voluto raccontare alcuni aspetti «privati» del sacerdote, come il suo costante impegno per i sofferenti: «Per oltre 10 anni padre Uminskij ha viaggiato su e già per Mosca e provincia a portare la comunione a domicilio ai bimbi morenti. Ogni anno nella sua parrocchia della Trinità celebrava un servizio funebre per i bimbi morti all’hospice. Vi partecipavano genitori, nonni, fratelli, sorelle, anche gli operatori sanitari. Tutti piangevano, poi rivolgevano a padre Aleksej delle domande difficili: perché Dio ha permesso questo? Perché non ha ascoltato le nostre preghiere? Ed ora che faremo?
Padre Aleksej trovava le parole giuste… Lui non era di quelli che danno risposte pie e confortanti, come fanno spesso i preti, la melassa non aiuta quando il dolore è autentico. Io voglio molto bene a padre Aleksej anche per il coraggio che aveva di guardare la verità negli occhi e di non scantonare mai… Lo ascoltavano, lo seguivano, i bambini morenti lo mandavano a chiamare, in lui cercavano conforto i genitori dopo la morte del figlio. Molti di loro, genitori e figli, sono stati portati alla fede, a Dio, alla Chiesa da padre Aleksej».
In cambio, conclude attonita Moniava, «per qualche ignoto motivo, invece di dare a padre Aleksej qualche riconoscimento ecclesiastico, il patriarca Kirill ha firmato la sua sospensione “a divinis”. Il suo decreto interrompe l’immenso lavoro che padre Aleksej compiva anche tra i bambini dell’hospice e i loro genitori. Ora gli è proibito portare la comunione a casa, gli è proibito portare la comunione all’hospice, gli è proibito celebrare la liturgia. Questo decreto fa soffrire molti, e fa molto male alle persone».
Ma forse il giudizio più generale è stato dato da Svetlana Panič, che ha colto nell’attuale provvedimento il frutto della cultura civile ufficiale, che non pare capace di indicare una via di uscita dalla dialettica odio-umiliazione, una dialettica che nasce da un senso di umiliazione per la fine dell’impero e della sua potenza e non sa rispondere all’umiliazione se non con l’odio del nemico:
«Per quanto ne capisco, è stato accusato di aver concesso un’intervista a un “agente straniero”. Ma è probabile che il motivo sia più profondo. A chi ha preso la decisione di sospendere “a divinis” padre Aleksej Uminskij non gliene frega niente della teologia dogmatica dei primi Concili, sulla quale, per altro, si regge l’«ortodossia» universale. Del resto, ho il sospetto che questa gente non la conosca neppure la teologia, o la conosca come l’impiegato sovietico medio conosceva le opere di Marx. …Questa gente se ne frega delle Costituzioni apostoliche e delle norme canoniche, eccezion fatta per un limitato numero di norme utili per la loro malleabilità, che servono a coprire la sua vergogna.
Se ne frega anche della teologia liturgica, altrimenti leggerebbe attentamente i testi natalizi, che dissacra col solo pronunciarli, e, magari, compirebbe la semplice operazione mentale che permette di individuare l’incoerenza con gli inni del Natale in cui si parla di “luce della ragione”…
Padre Aleksej Uminskij non solo ha creato una delle migliori parrocchie di Mosca, libera, davvero evangelica, ma ha compiuto quella che madre Marija Skobcova chiamava “la liturgia nel mondo” che usciva dai confini delle mura del tempio e abbracciava tutta la realtà, e prima di tutto i più vulnerabili, come i bambini dell’hospice…: non si trattava di un semplice “servizio sociale”, e neppure della beneficenza prescritta, ma ricostituiva, affermava la dignità di quanti entravano nell’orbita della sua vita prodiga e radiosa.
Da alcuni decenni l’attuale governo russo ha formato (e forma tuttora), prima furtivamente poi apertamente, la cultura dell’umiliazione. La Chiesa ufficiale vi prende parte attiva, sostituendo il culto dell’umiliazione alla libertà evangelica, alla beatitudine dei poveri di spirito, dei miti, degli afflitti, come pure ai concetti evangelici di obbedienza e umiltà. Dal punto di vista teologico si tratta di pura eresia che contraddice in pieno il dogma dell’Incarnazione; dal punto di vista sociale è una manipolazione criminale. Padre Aleksej è stato tra i pochi che si sono costantemente opposti a questa contraddizione: ad esempio, si è ribellato fattivamente contro l’umiliazione della sofferenza sostenendo l’hospice e la sua lotta per le cure palliative…
E tutto questo l’ha fatto con semplicità, in modo luminoso, impavido, toccante, generoso, confortante, come un immenso abbraccio. Penso che la cultura dell’umiliazione imputi a padre Aleksej proprio questa vita in pienezza che si dona evangelicamente senza misura, questo rifiuto di trasformare il messaggio di speranza nella religione tribale di un lugubre idolo guerriero. Questa cultura guarda con sospetto l’abbraccio, anzi lo considera reato perché solleva dall’umiliazione, ridona dignità ai “figli di Dio”. L’intervista concessa all’”agente straniero” è solo una scusa.
Ora questa cultura sembra quasi onnipotente, ma il male metafisico che la genera nelle sue forme fisiche e visibili non è capace di creare qualcosa di nuovo. È stupido, sterile e dunque condannato».
Marta Dell'Asta
Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».
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