7 Novembre 2025
La resistenza nella musica: Arvo Pärt e Valentin Sil’vestrov
In Francia è uscito un libro di Konstantin Sigov che delinea i percorsi incrociati di due grandi compositori del XX secolo, l’estone Arvo Pärt e l’ucraino Valentin Sil’vestrov. La loro ricerca di una nuova forma musicale è stato il modo per liberarsi dal nichilismo ideologico che disprezza e teme la forma.
Chi ha paura del formalismo? «La forma non è più la “sorella gemella” della libertà, ma piuttosto il suo nemico giurato». Antoine Garapon ha lanciato questa tesi provocatoria poco prima della chiusura del suo programma «Esprit de justice», che è andato in onda per oltre vent’anni su France Culture. Nel suo programma «Che cosa significa il trumpismo?» ha sintetizzato in questi termini la tendenza delle ideologie che hanno preso il potere negli Stati Uniti e che si stanno diffondendo in Europa: «Un tratto che sembra accomunare tutte queste ideologie è lo stesso disprezzo per le forme… Il diritto e le istituzioni sono percepiti come ostacoli alla “vera” democrazia; ogni forma è vissuta come un “espediente giuridico”…».
Questa terminologia e questa concezione nichilista della forma mi ricordano una tendenza analoga nell’Unione Sovietica. La lotta contro il «formalismo» era lo sport preferito della nomenklatura. I campioni neo-sovietici della lotta contro il «formalismo» del diritto internazionale e della cultura democratica diffondono oggi la loro ideologia sui social network da una parte all’altra dell’Atlantico. L’anomia di una società in cui le istituzioni vengono minate una ad una offre ai sostenitori del caos un terreno fertile per procedere ai loro esperimenti. Il tono della lotta radicale contro il «formalismo» risale all’epoca staliniana.
Coloro che accusavano sistematicamente Pärt e Sil’vestrov di «formalismo» seguivano la linea dei loro maestri staliniani. Non è un caso che il formalismo fosse proprio l’accusa principale mossa dai censori contro la generazione di Pärt e Sil’vestrov. I soldati del fronte culturale sovietico si appoggiavano saldamente alle loro retrovie staliniane. Guardavano con sospetto qualsiasi difesa dei principi formali, che si trattasse del diritto all’arte o di qualsiasi forma di cultura.

Arvo Pärt (facebook).
La strategia di Stalin e Ždanov era contenuta nella risoluzione del Comitato centrale del Partito comunista del 10 febbraio 1948 A proposito dell’opera di Vano Muradeli La grande amicizia, pubblicata sulla «Pravda» l’11 febbraio 1948, che recitava: «… si tratta di compositori il cui orientamento è di natura formalista e ostile al popolo. Questo orientamento ha trovato la sua espressione più compiuta nelle opere di compositori come D. Šostakovič, S. Prokof’ev, A. Chačaturjan, dove emergono con particolare evidenza perversioni formaliste e tendenze musicali antidemocratiche estranee al popolo sovietico e ai suoi gusti artistici…».
Nel continente europeo non si trova praticamente un altro Stato che abbia discusso con tanto accanimento del gusto e che si sia impegnato ufficialmente a dimostrare che la musica accettabile doveva essere «libera da ogni formalismo e rozzo naturalismo […]. I nostri formalisti compongono una musica mostruosa, dissonante, interamente permeata di emozioni idealistiche…»1.
La generazione dei maestri di Pärt e Sil’vestrov raccoglieva le critiche negative sulle proprie opere, consapevole delle possibili conseguenze negative che ne potevano derivare. Sil’vestrov invece non ha mai conservato le recensioni, negative o positive, relative alle sue opere. Egli osserva che il silenzio e l’assenza di qualsiasi reazione da parte della stampa erano diventati la norma dell’establishment nei confronti delle opere della sua generazione. Inoltre, durante le riunioni o nei colloqui personali, le autorità facevano pressione usando questo giudizio autorevole: «Nessuno ha bisogno della vostra musica. Peggio ancora, è dannosa perché attira l’attenzione dell’Occidente».
Ovviamente Tallinn era più «a ovest» di Mosca, ma anche lì non lesinavano i richiami al compagno Pärt sul fatto che si era allontanato dal terreno nazionale e riprendeva un «formalismo occidentale» estraneo al popolo sovietico.
A proposito del suo insegnante Eller, Pärt osserva che «il suo problema era che componeva solo musica strumentale, il che era fonte di guai perché a quel tempo ogni compositore doveva scrivere almeno qualcosa su testi che glorificassero il regime politico. Eller non lo aveva mai fatto, cosa che alla fine destò dei sospetti2. La strategia deliberata di Pärt ha attirato ancora più sospetti. Del suo Necrologio dirà in seguito: «Ogni nota è scritta come con un pugno chiuso in segno di protesta»3.

Valentin Sil’vestrov (facebook).
Pärt e Sil’vestrov infastidivano i loro colleghi impegnati a fare carriera iniettando torrenti di emozioni positive nelle forme accettate dallo Stato (questo tipo di servizio è tornato ad essere prezioso per il Cremlino). A che pro far sentire forme diverse? All’Unione dei compositori dicevano a Sil’vestrov: «Le teste delle tue note sono rivolte verso Occidente».
La tensione non era dovuta solo all’evidente autonomia del nuovo linguaggio musicale. Il problema principale era quello che definirei l’intraducibilità del discorso ideologico in questo linguaggio, e viceversa. Ciò rimetteva in discussione il linguaggio dominante del potere e la sua pretesa di universalità.
La musica puramente strumentale delle prime opere di Pärt e Sil’vestrov non faceva che sottolinearlo. La forza della sua provocazione derivava dal fatto che offriva al pubblico qualcosa a cui, letteralmente, non ci si poteva aggrappare né con gli slogan, né con le parole d’ordine del partito. La grammatica e la sintassi di questa musica vivevano in un tempo altro, di cui erano diventate manifestazione.
Le dissonanze di questa musica esprimevano senza mezzi termini una dissonanza essenziale, ovvero una resistenza radicale a qualsiasi tentativo di tradurre in questo linguaggio le parole chiave del discorso dell’ideocrazia. Questo discorso veniva così relegato al ruolo marginale che occupava nella storia. Oggi, la forza e la giustezza di questo gesto ci appaiono evidenti. Ma al momento delle prime – quanto mai rischiose – opere giovanili di Pärt e Sil’vestrov, si trattava di una vera e propria rivoluzione semantica.
I precedenti tipi di relazione tra suoni musicali e parole sono stati messi tutti in discussione. È interessante notare che, nonostante la diversità dei generi e delle forme delle loro opere, né Pärt né Sil’vestrov hanno mai scritto un’opera lirica. Questo rifiuto è molto significativo se si considera il vasto repertorio lirico dei loro contemporanei e della generazione precedente di compositori. Ciò che caratterizza la creazione di Pärt e Sil’vestrov in tutte le sue fasi è un approfondito riesame e un rinnovamento delle relazioni tra musica e parole. Ciascuno ha cercato un linguaggio musicale proprio, passando attraverso periodi di silenzio, di distanziamento tra musica e parole, poi di nuovi e inaspettati incontri tra loro.
La parola è assente dalla maggior parte delle prime opere dei due compositori, che sono puramente strumentali. Citiamo le prime opere di Arvo Pärt e Valentin Sil’vestrov alle quali non corrisponde alcun testo. Di Pärt abbiamo Necrologio (1960), Perpetuum mobile (1963), la Prima Sinfonia (1964), la Seconda Sinfonia (1966), Collage su B-A-C-H (1968) e la Terza Sinfonia (1971). Di Sil’vestrov, le Tre composizioni per pianoforte (1958), il primo Quartetto per archi (1961), la Prima Sinfonia (1963), la sinfonia da camera Spectres (1965), la Seconda Sinfonia (1967) e Hymne (1970).

Arvo Pärt (facebook).
Le esperienze d’avanguardia con le forme sonore hanno ampliato radicalmente lo spazio di indipendenza rispetto alla retorica ufficiale. Quest’ultima è stata ridotta a nulla dall’intraducibilità delle nuove trasformazioni musicali. Pärt e Sil’vestrov hanno rifiutato tutto il vocabolario del regime, i suoi simboli sacri, le sue date commemorative, i suoi scenari eroici e, soprattutto, l’insieme dei toni e delle intonazioni canoniche. Per loro questo linguaggio intrinsecamente menzognero non esisteva. Proprio per questo motivo era loro impossibile conformarvisi. Certo, non pensavano di scrivere «contro»; ciò avvenne come effetto collaterale del loro naturale percorso sulla propria strada.
Il superamento dei canoni della cultura sovietica andò di pari passo con l’uscita dai canoni del classicismo musicale in quanto tale. In che misura i critici occidentali hanno percepito questo duplice movimento? Filosofo tra i musicologi e musicologo tra i filosofi, Theodor Adorno ha accolto con grande sensibilità le opere del giovane Valentin Sil’vestrov. In una lettera4 indirizzata al musicologo Fred Priberg il 25 maggio 1964, Adorno scrive:
«Sil’vestrov mi ha dato l’impressione di una persona di grande talento; non condivido l’obiezione di alcuni puristi che trovano la sua musica troppo espressiva, e sarebbe un peccato se cercasse semplicemente di riprodurre in modo più o meno meccanico ciò che è accaduto in Europa occidentale negli ultimi vent’anni. Certo, ho l’impressione che abbia davvero un forte bisogno di espressività». E più avanti: «A Brema ho sentito dire che si troverebbe in una situazione particolarmente difficile. Poiché “scrive dissonanze”, gli verrebbero semplicemente negati i mezzi di sussistenza. Sono cose terribili, anche se non sono più accompagnate da violenze dirette… Ma cosa si può fare? Anche la pubblicazione delle opere di questi compositori, perseguitati nei loro paesi da segretari di alto rango, può, in determinate circostanze, metterli in pericolo. Ma se lei pensa che il signor Sil’vestrov sarebbe felice di sapere che lo considero un compositore di indubbio talento, le lascio naturalmente tutta la libertà di farglielo sapere.
Cordiali saluti,
Il suo devoto T. V. Adorno».
C’è voluta molta pazienza per chiarire il posto dell’Ucraina sulla mappa culturale dell’Europa. L’emancipazione del linguaggio musicale dell’avanguardia di Kyiv dagli effetti della moda è avvenuta molto più rapidamente. In seguito, Sil’vestrov riassumerà così la situazione: «L’avanguardismo può essere interpretato come “spirito di una libertà rischiosa”; di conseguenza, se si segue questo spirito, non ci si può stabilire in un “campo fertile”. Sono tutti “campi” che bisogna attraversare rapidamente. L’avanguardia è anche il superamento dell’avanguardia. È stato necessario superare “l’automatismo della novità” affinché la novità potesse penetrare più in profondità. Ecco perché considero tutto ciò che è seguito come la continuazione di questo spirito»5.
Adorno era giustamente preoccupato dell’influenza delle tendenze che conosceva; ma nel caso di Sil’vestrov, questo pericolo era chiaramente esagerato, e il tempo ha dimostrato la forza del non conformismo del compositore.

Valentin Sil’vestrov (facebook).
Nella prefazione al libro di Sil’vestrov, Philippe de Lara sottolinea «il ruolo unico di Sil’vestrov nel destino della musica dopo l’avanguardia. Ciò che i suoi colleghi riconoscono e che tutti noi dobbiamo comprendere è che Sil’vestrov non è né postmoderno né antimoderno. Forse amoderno? Il suo atteggiamento è quello di chi fa un passo di lato». Questa osservazione molto pertinente vale anche per Pärt. Il musicologo italiano Enzo Restagno gli ha chiesto se desiderasse dare un volto umano alla tecnica d’avanguardia. Ripensando alla sua ricerca di forme nelle sue prime due sinfonie, Pärt ha risposto: «Oggi sono diventato più tollerante, anche nei confronti di questo stile. Non sono i dodici toni in quanto tali ad essere in discussione: tutto dipende dal compositore e dal modo in cui utilizza questi dodici toni, dal risultato che desidera ottenere, se miele o veleno. Webern, ad esempio, non ha mai prodotto veleno. Esistono limiti chiari all’uso di questo materiale; prima di tutto, è necessario avere un’idea dei frutti concreti che questo sistema può produrre»6.
Con sorprendente originalità, Pärt e Sil’vestrov hanno espresso, ciascuno a suo modo, la verità secondo cui la forma è la «sorella gemella» della libertà, nonostante tutti gli sforzi degli ideologi per escludere dalla «famiglia sovietica dei popoli» queste due sorelle perseguitate.
(Immagine d’apertura: Kirsten Kluge/Unsplash).
Konstantin Sigov
Docente di storia delle idee teologiche e filosofiche all’Università statale Accademia Moghiliana di Kiev, dirige il Centro di ricerche umanistiche europee. Nel 1992 ha fondato l’Associazione culturale ed editoriale «Duch i litera», di cui è direttore.