8 Dicembre 2025
Oggi difendere i diritti umani è più difficile
Parlando a un convegno, il rappresentante di Memorial Ucraina confronta i difensori dei diritti umani degli anni ’60–’80 con quelli contemporanei. Oggi la necessità di trattare con lo Stato rende meno rigorosi nel difendere i valori. Ma soprattutto la differenza sta nel nazionalismo. Una disamina spietatamente onesta, frutto di una posizione veramente etica.
La maggior parte dei «vecchi» difensori dei diritti umani, intendo quelli degli anni ’60-80, era cristiana e considerava i dieci comandamenti dei valori fondamentali. La difesa dei diritti umani moderna raccoglie molte più persone, è più multiforme e variegata, vi confluiscono molti membri di altre religioni, agnostici e atei. Alcuni difensori dei diritti umani hanno ritenuto e ritengono tutt’ora che i diritti umani costituiscano, di fatto, una sorta di religione o di filosofia.
Il valore principale della difesa dei diritti era e rimane la libertà, in quanto sinonimo dell’intero complesso dei diritti umani.
La dignità è e rimane il secondo valore chiave nella difesa dei diritti umani. Si intende la dignità umana universale, che appartiene a tutti, dall’infante al criminale, e non solo la dignità personale.
Libertà e dignità erano i valori più importanti per Anatolij Marčenko e in generale si può dire che i valori e i principi della difesa dei diritti umani gli stavano molto a cuore, per lui erano naturali come il respiro.
L’onestà, ossia la massima attendibilità e obiettività dell’informazione, era un altro principio e implica innanzitutto l’impossibilità di pensare una cosa, dirne un’altra e farne un’altra ancora; inoltre, implica l’impegno a seguire la formula dei tribunali inglesi: «dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità». Questa è una delle differenze principali tra la difesa dei diritti umani e la politica. Un politico nel migliore dei casi dice la verità, ma non tutta: di solito tende a tacere le informazioni che potrebbero rivelarsi dannose per il suo partito.

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Tuttavia, per i «nuovi» difensori dei diritti umani questo principio, secondo la mia opinione, è rimasto lettera morta, perché spesso costoro instaurano rapporti con lo Stato tentando di arrivare a un compromesso anche quando qualsiasi compromesso è impossibile. Infatti, dovrebbero mirare all’obiettività dell’informazione anche quando questa obiettività non depone a loro favore, ma di frequente non ne sono capaci. Ad esempio, ora chiudono gli occhi davanti ai crimini di guerra eventualmente commessi dalle forze armate ucraine.
Questo modo di essere nella sua espressione più alta era invece tipico di Anatolij Marčenko che tassativamente non sopportava la falsità verso nessuno, nè le persone, nè gli organi statali.
I difensori dei diritti umani degli anni ‘60 e ‘80 rifiutavano i principi dell’attività clandestina o armata, la loro azione era pacifica, aperta e fondata sul diritto. Anche oggi tutte le organizzazioni contemporanee per la difesa dei diritti umani sono aperte, non violente e si basano sul diritto, soprattutto quello internazionale. L’impiego dei meccanismi giuridici europei ha conosciuto un particolare sviluppo, soprattutto attraverso la Corte europea dei diritti dell’uomo. Negli anni ‘60-‘80 non si poteva nemmeno sognare una simile possibilità: perfino la Dichiarazione universale dei diritti umani era considerata un documento antisovietico e veniva sequestrata durante le perquisizioni.
Un valore importante per i difensori dei diritti umani era ed è l’indipendenza: dall’opinione politica, dall’opinione pubblica e dallo Stato. In relazione allo Stato, i «vecchi» difensori dei diritti umani seguivano una versione leggermente riadattata del cosiddetto codice di Šalamov dei detenuti staliniani («Non credere, non avere paura, non domandare»): non credere agli agenti dello Stato, non avere paura, non chiedere nulla.
Oggi l’indipendenza assume un significato ancora più rilevante, poiché è molto più minacciata rispetto agli anni ’60–’80 e le tentazioni sono maggiori. Essa implica un’apartiticità rigorosa, il rifiuto di sostenere qualunque forza politica, di aderire automaticamente a stereotipi consolidati o di appoggiare qualsiasi forma di assistenza da parte dello Stato. Preoccupa il tono accusatorio adottato da molti attivisti nei confronti dello Stato, la loro tendenza ad attribuire al potere ogni responsabilità. È più costruttivo adottare una filosofia della responsabilità piuttosto che del risentimento: dovremmo cercare le radici dei nostri mali in noi stessi, non negli altri.

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I principi «Non avere paura!» e «Non chiedere!» rimangono attuali per i nuovi difensori dei diritti umani, mentre «Non credere!» non lo è più. Dato che i diritti umani corrispondono al dovere dello Stato di garantirli e rispettarli, i difensori dei diritti devono mantenere il dialogo con le istituzioni, finché queste sono in grado di sostenerlo. Per questo la vecchia formula dei difensori dei diritti umani degli anni ‘60-’80 – «difendere i diritti umani contro la violenza organizzata dello Stato» – oggi deve essere completata da «e assistenza allo Stato nel garantirli e proteggerli».
Anche la giustizia è un tema di dialogo tra i difensori dei diritti umani e lo Stato. Bisogna distinguerne due tipi: la giustizia «processuale», legata al corretto funzionamento dei meccanismi giuridici; e la giustizia «morale», che si richiama a quei valori che non sono ancora pienamente tradotti nel diritto.
I valori di imparzialità e tolleranza oggi sono molto più minacciati rispetto agli anni ’60–’80. Il difensore dei diritti umani deve essere tollerante verso le opinioni altrui, in particolare verso quelle opposte alle sue. Vietare determinate posizioni non fa che impoverire l’influenza dell’informazione sul processo decisionale politico.
Nel momento dell’aggressione militare della Russia e del predominio della falsa propaganda russa, questi valori, insieme alla libertà di opinione, di parola e di informazione, entrano in conflitto con i valori della sicurezza nazionale e dell’integrità territoriale, nonché con i sentimenti nazionali e patriottici. Nulla di simile esisteva negli anni ’60–’80.
Analoghe difficoltà sorgono con i valori di umanità e misericordia, i «vecchi» difensori erano degli umanisti a priori, anche se parlare di misericordia con lo Stato sovietico non aveva senso. Oggi, in tempo di guerra, tali discorsi sono ancora più difficili, tanto più che buona parte della società, col crescere della violenza e dell’odio, non li appoggia ma ha desiderio di vendetta. Eppure, per un difensore dei diritti, la misericordia dovrebbe essere superiore alla giustizia: la compassione per le vittime può contare più della legittima volontà dello Stato di fare giustizia.

(pastvu)
Uno dei miei impegni, dal marzo del 2022, è dirigere un progetto di raccolta e documentazione dei crimini commessi dai militari russi contro i civili e gli obiettivi non militari in Ucraina, qualificabili come crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio.
Abbiamo registrato dati su decine di migliaia di civili morti e feriti, su obiettivi civili distrutti o gravemente danneggiati, su persone detenute illegalmente o rapite nei territori occupati, su individui torturati in prigionia. Alle vittime dei crimini e alle loro famiglie forniamo non solo assistenza legale, ma anche supporto psicologico, finanziario, medico e umanitario.
È chiaro che vivere anche solo una parte di questo orrore sulla propria pelle genera inevitabilmente odio verso i vertici di governo e l’esercito russi. Spesso tale odio si estende a tutto ciò che è russo — il Paese, i cittadini, la lingua, la letteratura, l’arte — fino a diventare totalizzante.
E proprio in questa atmosfera di odio nella coscienza collettiva oggi si avverte con forza l’assioma dei diritti umani: la verità è sopra la legge; sopra la verità sta la giustizia; sopra la giustizia la misericordia; sopra la misericordia l’amore. L’odio distrugge anzitutto chi odia, svuota l’anima.
Esso è naturale solo sul campo di battaglia, dove il soldato russo dev’essere eliminato; ma appena cade prigioniero, l’odio deve cessare, almeno per evitare di trasformarci in assassini di un uomo disarmato.
L’odio verso tutti i russi è irrazionale: non si possono giudicare le persone solo per la cittadinanza, ma secondo le loro azioni e le loro parole.
E non bisogna dimenticare che, sebbene gli oppositori dichiarati del regime putiniano non siano molti (circa il 5% della popolazione), essi condannano l’aggressione, aiutano i prigionieri ucraini rischiando fino a 25 anni di carcere. Queste persone spesso danno supporto ai profughi che vogliono andarsene dalla Russia, raccogliendo fondi per loro.
Sono convinto che noi dobbiamo proteggere i nostri prigionieri di guerra e i detenuti civili insieme ai difensori dei diritti umani russi, senza di loro, non potremo fare nulla. Voglio concludere il mio intervento con parole di gratitudine per questi uomini coraggiosi, che continuano la tradizione dei «vecchi» difensori dei diritti umani, in particolare di Anatolij Marčenko.
(Dal convegno In memoria di Anatolij Marčenko, Milano 3-5 novembre 2025, di cui sono in preparazione gli atti)
Evgenij Zacharov
Nato nel 1952 a Charkiv, ingegnere, in epoca sovietica è stato attivista per i diritti umani e giornalista del samizdat. Negli anni ’90 è stato deputato del Consiglio comunale di Charkiv, e dal 2011 è direttore del locale Gruppo per i diritti umani.
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