Il tempo degli eroi

27 Agosto 2025

Il tempo degli eroi

Anna Kondratova

Il Programma di sviluppo professionale per i reduci dal fronte rappresenta la modalità con cui il governo russo cerca di coltivare un’élite affidabile e obbediente da inserire nelle leve del potere. Con la benedizione della Chiesa.

«I nostri non li abbandoniamo», recita uno degli slogan della cosiddetta «operazione militare speciale» contro l’Ucraina. Non li molliamo nemmeno dopo, al ritorno dal fronte, anzi gli proponiamo di far carriera nella pubblica amministrazione: nel marzo 2024 infatti è stato varato il Programma di sviluppo professionale per i partecipanti all’operazione militare speciale, ribattezzato «Tempo degli eroi», con l’intento di coltivare una «vera élite» per la Federazione. L’aveva anticipato Putin il 29 febbraio parlando ai politici: «La vera élite è costituita da tutti coloro che servono la Russia, dai lavoratori e dai soldati, persone degne e di comprovata fedeltà, che hanno dimostrato con i fatti la loro fedeltà al paese».

Il programma opera sotto il patrocinio diretto del Cremlino, con la supervisione di alti funzionari come il vice-capo di gabinetto dell’amministrazione presidenziale ed ex-premier Sergej Kirienko, e Aleksej Komissarov, imprenditore e rettore dell’Accademia presidenziale dell’economia nazionale e della pubblica amministrazione, direttamente implicata nel percorso formativo.

Il «Tempo degli eroi» sfrutta la narrazione nazionalista, valorizzando il servizio militare come percorso verso la leadership civile, e presentandolo come un contributo cruciale alla sicurezza e allo sviluppo nazionale. Sebbene attragga decine di migliaia di candidati, il programma è altamente selettivo, e finora è stato ammesso solo un piccolo gruppo attentamente selezionato. La sua continua espansione attraverso analoghi programmi regionali indica lo sforzo per integrare la nuova élite ideologicamente allineata in tutta la Russia, rafforzando così la base di potere del regime e garantendo la continuità delle sue politiche e «la sicurezza nazionale» in mezzo alle attuali sfide geopolitiche. L’idea della società civile e della responsabilità democratica cedono il passo all’etica da clan militare.

Il tempo degli eroi

Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza Medvedev incontra i partecipanti. (Telegram)

La presenza di Putin in tv, a interagire direttamente con i partecipanti, è un altro segnale del valore dato all’iniziativa e del legame diretto tra i candidati e i vertici del potere. Dunque non si tratta solo di un processo di talent scouting, ma di un meccanismo per riversare nell’apparato statale individui la cui lealtà è provata dalla loro partecipazione diretta alla guerra. Si crea così una sinergia tra costoro e la perpetuazione dell’attuale corso politico: il Cremlino mira a coltivare una nuova classe amministrativa obbediente, ideologicamente allineata e personalmente debitrice. Questa strategia funziona anche come strumento di reclutamento per le forze armate, dato che offre uno sbocco oltre il servizio militare, economicamente e socialmente allettante, e serve da contromisura al potenziale malcontento che può crearsi all’interno dell’establishment.

Tuttavia «uno su mille ce la fa» – come cantava Morandi, tanto amato anche in URSS: per partecipare al «Tempo degli eroi» servono infatti rigorosi criteri di idoneità; innanzitutto bisogna possedere la cittadinanza russa, una laurea, aver dimostrato esperienza manageriale, aver partecipato alla guerra e non avere precedenti penali. Il processo di selezione privilegia il personale militare che dimostra spiccate qualità di leadership, ha accumulato almeno sei mesi di esperienza di combattimento, ha la fedina pulita (dal punto di vista russo) e ha già ricevuto riconoscimenti statali per «gesti eroici» oppure è stato ferito in battaglia.

L’iniziativa ha suscitato sin da subito un notevole interesse: durante la prima tornata sono state ricevute oltre 44.000 domande, da cui è stato scelto un gruppetto di 83 fortunati; il secondo giro ha visto un aumento maggiore dell’interesse, con 65.500 domande presentate ma soli 85 prescelti che hanno iniziato la loro formazione il 7 giugno scorso.

Il tempo degli eroi

In spedizione al Polo Nord. (telegram)

È un approccio che si distingue da metodi di reclutamento potenzialmente meno controllati, e riflette l’atmosfera venutasi a creare da quando, dopo il pasticcio con l’agenzia Wagner, la lealtà dei gruppi affiliati all’esercito è diventata una preoccupazione per il Cremlino. Si cerca cioè di incanalare le eventuali ambizioni di elementi militari potenzialmente «incontrollabili» in percorsi di promozione sociale ben precisi, prevenendo così l’emergere di centri di potere alternativi e della cosiddetta «sindrome afghana», quel fenomeno di criminalità, tossicodipendenza e disaffezione sociale che si manifestò tra i reduci sovietici dall’Afghanistan.

A questo proposito, val la pena aggiungere che il ritorno di decine di migliaia di reduci (inclusi un gran numero di criminali già condannati che hanno potuto sostituire il periodo di detenzione con il servizio militare) sta provocando un’impennata di violenza e instabilità sociale: tra gennaio e giugno di quest’anno, si sono registrati oltre 300mila reati gravi che rappresentano un balzo del 32,3% rispetto ai dati pre-bellici, e non meno di 750 persone sono state uccise o gravemente ferite in incidenti in cui gli aggressori erano veterani del fronte.

Il programma invece integra gli «eroi» nelle strutture statali, enfatizzando il loro coraggio e la loro devozione alla patria sul campo di battaglia. Basta scorrere le notizie sul sito ufficiale per rendersene conto: «Per me essere qui è un grande onore e una grande fiducia», si legge nelle righe introduttive della videoregistrazione che presenta Andrej Frolenkov, partecipante alla seconda edizione del «Tempo degli eroi». Frolenkov è un ufficiale che ha fatto carriera negli Omon, e nel primo giorno di guerra ha partecipato alla presa (temporanea) della centrale atomica di Černobyl’, evitando lo scontro aperto con i soldati ucraini colti impreparati. Pazienza se i soldati russi sono passati senza protezione attraverso una zona altamente radioattiva (la «Foresta Rossa»), sollevando nuvole di polvere… Frolenkov è stato insignito del riconoscimento di eroe della Federazione Russa, e poi debitamente sanzionato dalla UE proprio per l’assalto alla centrale.

Frolenko

Le gesta di Frolenkov narrate in un fumetto online (героиспецоперации.рф)

O ancora l’«eroe» Timur Kurilkin, nome di battaglia «Bajkot», generale di origine tatara e comandante della 9ª Brigata fucilieri motorizzata, ricercato dai servizi ucraini perché sospettato di aver commesso azioni «compiute con l’obiettivo di modificare i confini del territorio e le frontiere statali dell’Ucraina (…) e che hanno causato la morte di persone e altre gravi conseguenze».

Naturalmente vengono sbandierati anche i testimonial di successo, molti dei quali hanno persino una scheda biografica su wikipedia, nonostante il portale sia inviso alle autorità russe: il «Cavaliere dell’Ordine del Coraggio» Vladimir Anisimov ha avuto una nomina di rilievo nell’amministrazione di Nižnij Novgorod; un altro «Cavaliere», Igor’ Jurgin, è stato nominato direttore di dipartimento presso il Ministero dell’Istruzione. Jurij Abaev da eroe è diventato Ministro del lavoro e dello sviluppo sociale dell’Ossezia settentrionale e contemporaneamente in Ucraina è sospettato di complicità nell’esecuzione di quattro prigionieri di guerra nel maggio 2024.
Roman Balašov è diventato vicegovernatore della regione di Lipeck per le politiche giovanili, mentre Vitalij Drozdov, insignito di ben due «Ordini del Coraggio», è stato nominato vicepresidente di Rostelecom. Anna Il’jasova, invece, volontaria di Doneck, era già «famosa» nel 2014 per aver organizzato manifestazioni a sostegno della Russia. Considerata dagli ucraini una traditrice della patria, è nota anche in Italia dove ha organizzato incontri pubblici per promuovere la sedicente Repubblica popolare di Doneck in collaborazione con formazioni di estrema destra.

Il politologo Nikolaj Petrov ha osservato tuttavia che le posizioni a cui finora vengono assegnati questi ex-militari non hanno un reale peso politico: al manager pubblico infatti si chiede solo di ricevere ordini dall’alto e di trasmetterli.

Il discorso di Kirill

Nel «Tempo degli eroi» c’è spazio anche per la Chiesa, almeno nelle sue espressioni ufficiali. Nel novembre scorso il patriarca Kirill ha rivolto un discorso ai partecipanti, confermando la complessa intersezione tra potere spirituale e potere temporale nella Russia contemporanea. Il suo intervento è un esempio di come l’autorità religiosa possa essere mobilitata per legittimare azioni militari.

Nel discorso il patriarca ha alternato registri linguistici diversi, passando da quello pastorale («fratelli») a quello politico («superpotenza») e militare («prima linea»), mescolando funzioni sia da leader religioso che da cittadino e funzionario statale.

È significativo che sin dall’inizio non abbia parlato semplicemente di soldati, bensì di «eroi», preludio alla sacralizzazione del loro ruolo. Oltretutto, mentre l’eroe della cultura cristiana è colui che sacrifica se stesso per salvare altri, qui l’eroismo viene ridefinito come servizio al potere, cioè si costruisce un ponte diretto tra esperienza bellica e vocazione al servizio pubblico, presentando la guerra come «tappa fondamentale della vita» che apre alla formazione di futuri leader pronti «a servire disinteressatamente la patria», perché «sangue e sudore sul campo di battaglia (…) sono talenti donati da Dio».

Per l’occasione Kirill ha ribadito la giustificazione teologica del conflitto: da un lato presentando la guerra come prova spirituale («È impossibile fingere sotto i proiettili»), dall’altro inquadrandola come battaglia esistenziale tra valori tradizionali e degenerazione occidentale.

Significativo è anche il modo in cui il patriarca utilizza la memoria storica facendo riferimento alla Seconda guerra mondiale e ai reduci incontrati in giovinezza, e ripetendo la consueta continuità narrativa del Cremlino tra la «grande guerra patriottica» di allora e il conflitto attuale: così si sfrutta il capitale emotivo della vittoria sul nazismo per giustificare l’aggressione dell’Ucraina.

Centrale nel discorso la contrapposizione tra la Russia vista come «roccaforte dei valori morali tradizionali» e l’Occidente, «civiltà malata» e fonte di «terribili vizi». In questa lettura la guerra diventa non solo giustificabile ma necessaria, e non c’è possibilità di dialogo o di riconciliazione: il conflitto è lo scontro apocalittico tra bene e male.

Kirill

L’incontro con il patriarca nel 2024. (telegram)

Tra l’altro, è paradossale che Kirill presenti la Russia come «isola di libertà» quando siamo davanti a un crescente autoritarismo interno e alla politica di aggressione esterna. Chiamando in causa il santo principe Aleksandr Nevskij, lo ha trasformato da eroe medievale in profeta del conflitto russo-ucraino, e la sua celebre affermazione che «Dio non sta nella forza ma nella verità» viene usata proprio al contrario, ossia per benedire l’attuale uso della forza.

Certo, Kirill invita a non dimenticare la dimensione verticale della vita, «la capacità di perfezione spirituale e morale», capacità che comunque non si acquisisce necessariamente solo in battaglia. Quando riflette – seppur in modo strumentale – sui reduci della Seconda guerra mondiale, al patriarca va riconosciuta anche una componente di genuina sensibilità umana mentre ricorda la presenza dei mutilati che in epoca sovietica si trascinavano sui marciapiedi, e che con la loro presenza interrogavano le coscienze.

Ma il fattore che rende inaccettabile queste riflessioni sta nella capacità di Kirill di trasformare l’esperienza traumatica della guerra in un capitale simbolico per il futuro. I reduci non sono presentati come vittime da curare, ma come risorsa da utilizzare. La loro sofferenza diventa curriculum per arrivare alla leadership, il loro sacrificio viene metabolizzato dal sistema di potere. Questa operazione di appropriazione del dolore rivela una concezione strumentale dell’essere umano che lascia poco spazio a una concezione cristiana.


(foto d’apertura: Telegram)

Anna Kondratova

Moscovita, laureata in sociologia. Ha seguito da vicino lo sviluppo del movimento d’opposizione in Russia. Giornalista e saggista.

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