«Le nostre idee e i nostri canti non moriranno» • Il caso Kozyreva

4 Giugno 2025

«Le nostre idee e i nostri canti non moriranno» • Il caso Kozyreva

Anna Kondratova

La giovanissima Dar’ja Kozyreva, riconosciuta prigioniera di coscienza, è stata condannata a 2 anni e 8 mesi di carcere per aver protestato contro la guerra in Ucraina. Espulsa dall’università, aveva scelto di restare in Russia, decisa a non tacere nonostante le conseguenze.

Dar’ja Kozyreva, nata a San Pietroburgo nel 2005, è una giovane attivista che si è distinta per il suo deciso impegno civile contro l’invasione russa dell’Ucraina, ed è stata riconosciuta da Amnesty International e dall’associazione Memorial come prigioniera di coscienza.

Il suo attivismo è iniziato a soli 17 anni nel 2022, quando a San Pietroburgo è stata arrestata dopo aver scritto frasi contro la guerra sull’installazione «artistica» I due cuori, che simboleggiava l’amicizia tra San Pietroburgo e Mariupol’. Per Dar’ja si trattava in realtà di una «mostruosa menzogna» dato che i soldati russi avevano bombardato proprio il teatro di Mariupol’ dove si erano rifugiati donne e bambini. Per questo episodio è stata inizialmente condannata a una multa per danneggiamento, ma successivamente la sua posizione si è aggravata ed è stata accusata di discredito dell’esercito per aver tentato di strappare un annuncio per il reclutamento a contratto, e successivamente per aver asportato i simboli «Z» e «V» (che accompagnano la cosiddetta «operazione speciale») nel Parco «Patriot» a Kronštadt, insieme al fidanzato.

Dar’ja aveva iniziato a studiare medicina, ma nel gennaio 2024 è stata espulsa dall’università proprio a causa del suo impegno civile. Da questo punto di vista, il suo non è un caso isolato: dall’inizio della guerra vi sono state diverse espulsioni di studenti e licenziamenti di docenti che si sono espressi pubblicamente contro la guerra.

Un mese dopo è stata arrestata per aver deposto un brano della poesia Testamento del poeta ucraino Taras Ševčenko sotto il monumento a lui dedicato a San Pietroburgo, accompagnandolo con dei fiori. Aveva scelto quei versi in occasione del secondo anniversario della guerra, rendendo omaggio alla forza del poeta che soffriva per il suo popolo oppresso.

Il tribunale distrettuale di San Pietroburgo ha interpretato il gesto come «ripetuto discredito delle forze armate», reato introdotto nel marzo 2022 per sanzionare le proteste contro la guerra e punibile con pene detentive tra i 5 e i 10 anni. Secondo la legge, la responsabilità penale per «discredito» scatta se la persona è stata precedentemente sanzionata in via amministrativa per un reato analogo. Dar’ja è stata detenuta per quasi un anno nel carcere «Arsenalka» in attesa del processo. Nel febbraio scorso è stata rilasciata in libertà vigilata, in condizioni simili agli arresti domiciliari: le è stato vietato di uscire dal suo appartamento la sera o la notte, di usare internet e di rilasciare commenti pubblici. Il tribunale ha incaricato la procura di riesaminare il suo caso e l’ha sottoposta anche a valutazione psichiatrica.

Tuttavia, il 18 aprile l’hanno condannata a 2 anni e 8 mesi da scontare in una colonia penale a regime comune per «discredito delle forze armate» (par. 1 dell’art. 280.3 c.p.), a fronte di una richiesta di pena di 6 anni da parte del procuratore. I motivi specifici della condanna includono, oltre alla citazione di Ševčenko, anche un post e un’intervista a Radio Liberty (considerata in Russia «agente straniero»). Calcolando il tempo che ha già passato nel centro di detenzione preventiva, la sua permanenza nella colonia sarà di 1 anno e 3 mesi. Dopo il suo rilascio, le sarà proibito amministrare siti web per due anni e mezzo.

«Le nostre idee e i nostri canti non moriranno» • Il caso Kozyreva

In aula accanto alla madre e circondata dagli amici. (Nastojaščee Vremja)

Nonostante le difficoltà, Dar’ja ha dimostrato grande determinazione, e nei suoi interventi ha sottolineato di aver agito consapevolmente. Inoltre, nonostante il rischio di incorrere in procedimenti penali, ha sempre dichiarato di voler rimanere in Russia, sostenendo che tacere non sarebbe dignitoso, e che la sua coscienza rimarrà pulita per non aver taciuto negli anni della guerra. Se dovesse lasciare il paese sarebbe solo per lo sfinimento di vederе il trionfo assoluto della propaganda, e ha sottolineato di considerarsi una «patriota nel senso giusto», che continua a sperare in un cambiamento che porti la fine della «notte».

Il suo caso evidenzia la costante soppressione dei diritti civili in Russia, dove anche le espressioni individuali di dissenso, oltre che nell’ambito di studio e lavoro, possono portare a gravi conseguenze, legali. La sua decisione di rimanere nel paese, nonostante i rischi, sottolinea la complessità della situazione e la presenza di una resistenza interna, seppur limitata e sotto forte pressione.

Nella sua ultima parola pronunciata in aula il 18 aprile scorso, Dar’ja ha citato alcuni versi del poeta ucraino Taras Ševčenko, tratti dalla poesia dedicata allo scrittore Osnovjanenko, suo contemporaneo e fondatore della prosa ucraina moderna. Ševčenko riflette sul destino del paese, sulla sua storia e sulla forza della parola poetica e della memoria nazionale di fronte all’oppressione:

«Ridi pure, nemico spietato! / Ma non troppo, perché tutto perisce. / La gloria non soccomberà; / Non soccomberà, ma narrerà (…). / Il nostro pensiero, la nostra canzone / Non moriranno, non periranno (…) / Ecco dov’è, gente, la nostra gloria: / Gloria all’Ucraina!».

Se Ševčenko si ritrovasse improvvisamente nella nostra epoca, ha osservato Dar’ja, «non manifesterebbe alcuna sorpresa: lo scenario che si ritroverebbe davanti, infatti, gli risulterebbe fin troppo familiare: la Moscovia che invade ancora una volta.

(…) Si potrebbe supporre che, dopo tanti secoli, avremmo dovuto imparare la lezione: che dobbiamo lasciarli in pace. Sì, Mosca ha vinto, ha vinto molte volte, ma non ha mai ottenuto una vittoria definitiva. E non la otterrà. Il popolo ucraino non glielo permetterà più. Ne ha avuto abbastanza.

Eppure, gli occupanti non l’hanno ancora capito (…). Nessuno li ha autorizzati a parlare del passato e del futuro dell’Ucraina, non capiscono che gli ucraini non hanno bisogno di alcun fratello maggiore, men che meno di un «popolo russo triunitario» 1. (…)

È chiaro che Putin non riesce a capire che l’Ucraina è una nazione sovrana. C’è molto altro che non riesce a farsi entrare nella testa, come ad esempio i diritti umani e i principi democratici. Ma neanche quelli che, apparentemente, si oppongono al suo potere, lo capiscono sempre. Ad esempio non sempre capiscono che l’Ucraina, avendo pagato col sangue la propria sovranità, farà le proprie scelte. Naturalmente vorremmo credere che con l’arrivo della democrazia prima o poi questo atteggiamento cambierà. Vorremmo credere in un futuro così bello, dove la Russia avrà rinunciato a qualsiasi imperialismo, sia quello predatorio e assetato di sangue sia quello strisciante, celato nei pensieri della gente. Che Dio lo voglia davvero!

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Fuori dal tribunale, circondata dagli amici. (R7)

Ho già detto quanto sarebbe ridicolo parlare di catene nel contesto ucraino attuale: gli ucraini non si lasciano più incatenare. Ai tempi di Taras [Ševčenko], purtroppo, le catene erano una dura realtà. (…) Da tempo i ceppi sono stati tolti, e nessuno li rimetterà più all’Ucraina. Per secoli il popolo ha versato sangue per la propria libertà. Non cederà più questa libertà a nessuno. Gli ucraini ricordano perfettamente come i loro antenati combatterono un tempo, ma ci chiediamo: lo ricorda anche il suo vicino orientale? I comunisti non ci sono più, fortunatamente, né tantomeno gli zar, ma le tradizioni imperiali sembra siano rimaste.

Sì, Putin pare non riuscire a capire la sovranità ucraina. Gli andrebbe benissimo, in linea di principio, una Piccola Russia docile, senza voce, preferibilmente un governatorato privo di volontà e pronto a obbedire a ogni sua parola, che parla una lingua straniera dimenticando gradualmente la propria.

(…) Putin ci ha provato, e con insistenza: ha annesso la Crimea nel 2014, ha acceso la guerra nel Donbass con gli stessi obiettivi. Nel 2022 evidentemente ha deciso che era ora di completare l’opera. Era un buon piano: la guerra lampo e Kiev presa in tre giorni. Non sorprende che non siano bastati tre anni, ma non basterebbero nemmeno tre decenni! (…)

Sogno, naturalmente, che l’Ucraina recuperi ogni palmo della sua terra, compreso il Donbass e la Crimea. Credo che un giorno il mio sogno si realizzerà. Un giorno la storia giudicherà tutto con giustizia. Ma l’Ucraina ha vinto comunque. Ha già vinto».


(foto d’apertura: R7)

Anna Kondratova

Moscovita, laureata in sociologia. Ha seguito da vicino lo sviluppo del movimento d’opposizione in Russia. Giornalista e saggista.

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