31 Dicembre 2024
L’educazione ai diritti civili come antidoto alla guerra
Nell’ambito del Festival della Pace 2024 di Brescia, si è svolto l’incontro “Pace, diritti dell’uomo, giustizia”, con la testimonianza di O. Romancova, impegnata sul fronte dei diritti umani in Ucraina. Al centro, l’educazione ai diritti civili come antidoto a guerra e totalitarismo.
Riportiamo ampi stralci del dialogo tra Oleksandra Romancova e Filippo Perrini, presidente della Cooperativa cattolico-democratica che ha promosso l’iniziativa, insieme a Russia Cristiana e a Memorial Italia.
Perrini
Nel maggio dello scorso anno abbiamo avuto come ospite Tat’jana Bonner, figlia adottiva di Andrej Sacharov, che ha lanciato al pubblico italiano una sfida di grande attualità. Quando le hanno chiesto perché così pochi russi partecipano all’opposizione, Bonner ha risposto: «E gli italiani nel ventennio fascista cos’hanno fatto?».
La mia prima domanda riguarda pertanto quello che hanno fatto gli ucraini per rispondere alla violenza, e in particolare, come e quando è nato il Centro per le libertà civili di Kiev di cui lei fa parte? Di che attività si occupava prima dello scoppio della guerra? L’invasione russa dell’Ucraina iniziata nel febbraio 2022 ha cambiato il profilo della vostra associazione e il vostro lavoro?
Romancova
È per me un grande onore partecipare a questo Festival, il cui titolo è molto importante per ognuno di noi. Proprio qualche giorno fa contro l’Ucraina è stato sferrato uno dei peggiori attacchi dall’inizio della guerra, circa 190 razzi lanciati non su obiettivi militari, ma su abitazioni civili.
Oggi si dice che siamo al millesimo giorno di guerra, intendendo quella in corso dal 2022, ma in realtà è nel 2014 che ho registrato il primo caso di detenzione illegale di civili, tenuti prigionieri per oltre sei mesi nel Donbass. Per noi il vero anno di svolta, in cui di fatto è cominciata la guerra, è stato il 2014. Prima di allora, la nostra associazione si occupava dei diritti civili in generale che venivano violati in Ucraina: protestavamo contro gli atti di violenza della polizia, contro la violenza del regime di Janukovič e contro le repressioni delle manifestazioni che si svolgevano in quel periodo. Abbiamo anche collaborato con degli attivisti civili della Bielorussa e della Russia, dove erano evidenti le violenze già in atto. Abbiamo reagito alle situazioni createsi in Armenia, in Georgia, in Azerbajdžan e in Asia Centrale; abbiamo dimostrato la nostra solidarietà agli attivisti civili nei Balcani e anche nell’America del Sud, per cui, quando nel 2014 abbiamo iniziato a registrare i crimini di guerra commessi dai soldati russi, tutti gli attivisti civili ci hanno sostenuto.
Dal 2014 al 2022 abbiamo già registrato circa 20.000 crimini di guerra compiuti dai soldati russi in territorio ucraino e in Crimea, mentre dal 2022 a oggi ne abbiamo registrati più di 81.000. Di fatto, dal 2022 il nostro lavoro è aumentato sensibilmente, ma non è cambiato. Se dal 2014 al 2022 ci siamo occupati di circa 300 ostaggi detenuti dai russi, dal 2022 a oggi sono circa 10.000 gli ostaggi militari e civili che vengono tenuti prigionieri e per i quali stiamo lottando.
P.: In Ucraina ha potuto svilupparsi la resistenza civile, non violenta? E in che modo?
R.: Possiamo illustrare con un esempio come la società civile, in Ucraina, ha reagito di fatto a questa aggressione. Nel 2022 un collega, professore dell’Università di Kiev, ha indagato con i suoi studenti tutti i modi in cui la società civile ucraina ha resistito all’aggressione. In sei mesi hanno individuato 384 forme diverse di aggregazione e di resistenza non violenta.
In trent’anni di indipendenza, la società ucraina ha fatto tesoro della libertà di parola e di associazione. Queste sono i fondamenti della società civile, e devono agire al suo interno per scongiurare la guerra e la violenza. Di fatto, si sono rivelate anche un ottimo mezzo per resistere pacificamente a un’aggressione già in atto.
I volontari ucraini si sono adoperati per fornire all’esercito tutto quello di cui mancava e per aiutare a evacuare le persone dalle zone occupate: anziani, bambini e chiunque ne avesse bisogno. Si sono impegnati a recuperare gli edifici distrutti dalle bombe; a svolgere lavori edilizi per ristrutturare le città, per permettere ai ragazzi di continuare a studiare, a creare le condizioni perché le scuole potessero continuare a svolgere le lezioni, nonostante gli allarmi aerei; a fornire l’aiuto medico ai soldati feriti.
I volontari hanno anche cercato di documentare i crimini di guerra dei russi, e si può dire che la guerra in Ucraina è la più documentata della storia, è quasi descritta in tempo reale. Se avessimo aspettato che lo Stato organizzasse tutto questo o documentasse i crimini, Putin avrebbe già conquistato l’intero paese. Perciò, quando Putin dice che vuole distruggere il centro decisionale, ci fa ridere, perché in Ucraina questo centro si trova ovunque. Facciamo molta ironia, e anche questo è un modo per resistere all’aggressione.
Il Centro per i diritti civili per cui lavoro opera con una fitta rete di volontari, che non è nata oggi ma nel 2014, e che abbiamo semplicemente rinnovato dopo l’aggressione del 2022. Proprio questi volontari, dall’inizio della guerra, hanno cominciato a tradurre le notizie dall’ucraino in tutte le lingue che conoscevano e hanno permesso che la comunicazione fosse subito efficace e che partissero gli aiuti internazionali, ad esempio dall’Italia.
Credere in una guerra di tipo ottocentesco su larga scala in Europa, nel 2022, è molto difficile se non te lo racconta chi la sta vivendo in prima persona, soprattutto se il tuo aggressore ha milioni di dollari da investire in propaganda. Per cui l’unica possibilità che abbiamo è quella di rivolgerci alla giustizia internazionale e fare tutti i passi politici necessari per fermare l’aggressione, ed è per questo che cerchiamo di individuare i crimini di guerra e di documentarli.
P.: Tra le vostre numerose attività c’è anche quella di monitorare l’operato del governo ucraino. In che rapporto siete oggi con l’attuale governo? Vi sostiene? In questa fase della guerra, questa particolare attività si sta ancora svolgendo o è stata sospesa?
R.: Il governo ucraino non avrebbe nessuna chance se non fosse per la società civile, anzi, si appoggia molto alle associazioni di volontariato e solo ora sta cominciando a proporre, in modo ufficiale, dei progetti comuni per collaborare anche a livello internazionale.
Non è semplice, perché bisogna prendere delle decisioni per le quali non abbiamo la preparazione necessaria, e anche perché le risorse sono molto limitate, sia in termini di capitale umano, che economiche e di tempo. Siamo in dialogo attivo, avanziamo continuamente delle proposte, a cui lo Stato cerca di dare un ordine di priorità.
La democrazia ha bisogno di una grande trasparenza, mentre la guerra, al contrario, ha bisogno di zone oscure, ci sono tante notizie sensibili che non possono essere diffuse, e quindi il primo compito del nostro dialogo è trovare un equilibrio tra la segretezza, necessaria in guerra, e la trasparenza necessaria alla democrazia. In realtà il nostro modo di guardare all’Unione Europea, il nostro desiderio di farne parte, è il corridoio principale entro cui ci stiamo muovendo e che fa da motore a tutte le nostre proposte.
P.: Questo è un esempio di democrazia in atto, perché la democrazia è partecipazione della gente, non si esercita solo al momento delle elezioni. Il sostegno dei paesi europei ha molto peso in questo scontro tra Ucraina e Russia. In che rapporto siete oggi con il Consiglio d’Europa e i partner europei, si mostrano disponibili ad ascoltare le vostre richieste?
R.: Per noi l’Europa è una grande famiglia di paesi molto diversi. In questo periodo abbiamo intensificato i nostri contatti con i vari paesi, soprattutto perché tanti di questi hanno accolto moltissimi ucraini in fuga dalla guerra.
Certo, è un’occasione triste per incontrarsi, però questi contatti umani che avvengono attraverso l’immigrazione degli ucraini sono un ottimo modo per scoprire il nostro paese non dai libri, ma tramite persone in carne e ossa. Questa diplomazia dei rapporti umani crea molta più integrazione che non i contatti ad alto livello. Tanti attivisti civili di diversi paesi ci hanno aiutato, ci hanno insegnato a documentare i crimini di guerra. Ci sono diversi investigatori e procuratori di altri paesi che sono venuti in Ucraina per indagare e documentare questi crimini, e ora alcuni casi che abbiamo presentato alla Corte penale internazionale, vengono studiati anche nei tribunali nazionali in Europa.
Attualmente in molte zone dell’Ucraina lavorano dei volontari e ci sono delle missioni di varie confessioni provenienti da paesi diversi. Per noi è un esempio di straordinaria solidarietà, che ci sostiene molto.
La nostra economia non riesce a sostenersi da sola, riusciamo a coprire solo il 40% del bilancio nazionale perché è molto difficile far lavorare le imprese sotto gli attacchi missilistici, per cui ora gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone coprono il 60% del nostro fabbisogno economico. Senza i nostri amici europei non sopravvivremmo.
Ci sono moltissime persone che vengono ad aiutarci, che vivono e spesso muoiono nelle condizioni di pericolo in cui si trovano gli ucraini. Nella piazza centrale di Kiev abbiamo un piccolo monumento popolare in cui viene posta una bandiera per ogni volontario o soldato morto, e circa il 20% di queste bandiere non sono ucraine.
P.: Nel 2022 avete ricevuto insieme ad altre importanti associazioni il prestigioso premio Nobel per la pace per la vostra opera. Questo vi ha aiutato a ottenere qualche risultato in più, o non è cambiato molto?
R.: Ricevere il Nobel ci ha dato grande visibilità, anche se il nostro messaggio non è cambiato, è sempre lo stesso dal 2014. Oggi, quando incontriamo i presidenti di varie nazioni e comunichiamo loro ciò che ci sta a cuore, ci dicono: «Questa sì è un’idea nuova!».
Siamo contenti che finalmente sentano il nostro messaggio, e l’aver ricevuto il Nobel ci ha permesso di parlare per la prima volta con alcuni paesi con cui tradizionalmente non avevamo alcun dialogo. Nelle aree come l’America latina, l’Africa o l’Asia è molto più semplice comunicare con un’organizzazione insignita del Nobel, piuttosto che con personaggi politici che dagli anni ‘90 non hanno mai aperto un consolato in quelle zone. Il nostro lavoro è diventato più complesso dal punto di vista geografico, ma in compenso possiamo trasmettere il nostro messaggio a più persone.
P.: Oggi sull’Europa spirano venti autoritari e sovranisti. La democrazia e la fiducia in essa sembrano essere sempre più in crisi. Come risvegliare la passione per la libertà che si fonda sul valore della persona umana?
R.: In Europa da quasi cent’anni non c’è più una guerra, ed è un lusso: pensiamo che la pace sia lo stato naturale dell’uomo e che si possa sopravvivere senza la guerra.
In realtà scatenare una guerra, innescare un conflitto e distruggere la democrazia è molto facile. Invece, conservare la democrazia e il rispetto fra le persone nonostante la loro diversità è un lavoro da riprendere ogni giorno.
Forse la nostra crisi particolare potrebbe rianimare il desiderio di libertà in tutta Europa. Quanto sta accadendo oggi in Ucraina è un campanello d’allarme per scongiurare una vera e propria crisi nel cuore stesso dell’Europa. È meglio studiare quanto sta accadendo a un vicino, cercando magari di aiutarlo, piuttosto che aspettare che il conflitto si estenda fin dentro l’Europa.
Ho un’amica che nel 2014 è fuggita a Kiev per scampare alla prima fase della guerra nel Donbass, poi, nel 2022, da Kiev si è spostata a Tel Aviv. La guerra non è qualcosa da cui puoi scappare, ma che bisogna fermare insieme.
P.: La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo può essere considerata una piattaforma comune e vincolante per gli Stati? Quali strumenti abbiamo per difendere i diritti umani?
R.: L’anno prossimo sarà il cinquantesimo anniversario della Conferenza di Helsinki, durante la quale la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è stata riconosciuta come base fondante per ogni Stato. Se venticinque anni fa Putin non avesse iniziato a calpestare i diritti umani universali in Russia, nel 2014 non sarebbe incominciata la guerra nel Donbass; la Dichiarazione non è una regola di galateo o un codice morale, dovrebbe essere un sistema per evitare le guerre. È importantissimo cercare di ritornare a questa Dichiarazione.
In Europa viviamo in uno spazio dove le persone che hanno meno di trent’anni non hanno mai dovuto lottare in vita loro per i proprio diritti, non è mai stato vietato loro di leggere certi libri, né è mai stato impedito loro di frequentare certi luoghi perché avevano il colore della pelle sbagliato. Cosa sono stati la discriminazione e il fascismo lo leggono semplicemente dai libri, per cui sono convinti che si tratti di qualcosa che oggi non può più riaccadere. Bisogna capire che i diritti umani sono come una pratica igienica: quando non ti lavi i denti, cominciano a farti male, se non rispetti i diritti umani, cominciano le guerre. Non c’è niente di male a lavarsi i denti e a rispettare i diritti umani. È importante insegnarlo.
P.: Che futuro vede per l’Ucraina e come si immagina un percorso di pace giusta? Che futuro augura al vostro Centro?
R.: Idealmente sogniamo un paese in grado di difendersi, in cui viva una società sana. Per questo oggi parliamo moltissimo di salute mentale, perché abbiamo già da ora la necessità di riabilitare milioni di bambini: non solo i bimbi ucraini che sono stati deportati in Russia, ma quelli che sono stati obbligati a evacuare o stanno vivendo sotto le bombe e quindi non possono studiare, e i tanti che hanno già perso i genitori.
Inoltre, per noi è molto importante la giustizia, perché siamo consapevoli che, se gli atti del governo e dell’esercito russo non verranno giudicati, come è avvenuto per il regime di Stalin, dopo Putin verrà un altro presidente che racconterà, come sta accadendo ora, che Stalin è stato un ottimo manager e che la guerra non è una tragedia, ma motivo di grande orgoglio.
Gli ucraini lo stanno sperimentando sulla propria pelle per la seconda volta, e in Ucraina si sente la forte necessità di un processo giusto. L’Ucraina ha anche capito che dev’essere protagonista attiva sulla scena internazionale. Vogliamo essere partner dell’Unione Europea, perché pensiamo di poter dare un buon contributo. Il Centro per le libertà civili continuerà a lavorare per un processo giusto ma anche per le riforme nel nostro paese.
Guarda l’incontro integrale sul canale del CCDC.
Domande dal pubblico:
Abbiamo bisogno delle parole che ci sta dicendo, perché anch’io non conosco la guerra, e i miei diritti non sono mai stati messi in discussione. La vedo sorridere, da dove le viene questa forza?
Un buon psicoterapeuta aiuta! Ma oltre al sostegno psicologico, devo dire che la storia della mia famiglia, che non è stata facile, mi dà un certo sostegno. Conosco la storia della nostra famiglia da sei generazioni e nonostante tutto quello che è successo io sono nata e sono qui, per cui sono convinta che, per quanto la guerra sia terribile, non può fermare la vita.
L’esperienza dice che le guerre prolungate provocano violenze da ambo le parti, ho sentito parlare, ad esempio, della strage di Odessa. Siete a conoscenza di crimini di guerra commessi da soldati ucraini, e in questo caso, li segnalate?
Probabilmente lei si riferisce al caso del 2 maggio 2014 a Odessa. [L’incendio della Casa dei sindacati di Odessa, seguito agli scontri tra militanti filorussi e sostenitori dell’Euromaidan, che causò la morte di 42 persone – ndr]. La società civile ha reagito investigando sull’accaduto; c’è stata un’inchiesta non ufficiale, promossa da un’organizzazione non statale. I risultati sono pubblicati in inglese su internet.
Riguardo ai crimini di guerra commessi dai soldati ucraini, noi i crimini li documentiamo tutti. Possiamo solo documentarli perché, per svolgere un’indagine, servono un procuratore o un rappresentante delle forze dell’ordine. Quando raccogliamo documentazione dai testimoni che identificano gli aggressori, se scopriamo che si tratta di soldati ucraini, trasmettiamo il caso al procuratore generale, perché l’esercito ucraino oggi è composto da milioni di persone, e può darsi benissimo che qualcuno di loro commetta un crimine. La percentuale dei crimini commessi da soldati ucraini è del 2%. Probabilmente ci sono dei casi che non conosciamo ancora, che scopriremo e di cui ci occuperemo in seguito.
Vorrei aggiungere che abbiamo organizzato, insieme a partner internazionali, dei corsi sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo per i nostri militari. È importante svolgere opera di prevenzione, far conoscere il diritto internazionale.
La differenza fra la situazione dell’esercito russo e quella dell’esercito ucraino si può illustrare con l’esempio di tre soldati russi che per tre volte sono stati presi prigionieri dagli ucraini, e non avevano paura di venire torturati. Ciò non significa che tra i nostri soldati non esista la violenza, però, ad esempio, l’esercito ucraino può rivolgersi alla Croce Rossa, mentre quello russo non può.
Mi capita spesso di sentire persone che, per compassione verso il popolo ucraino, dicono che la guerra va fermata immediatamente, che si deve fermare il sacrificio dei giovani. Lei cosa ne pensa?
Se gli ucraini avessero un’alternativa per difendersi senza ricorrere alle armi, la accetterebbero subito. Preferiamo di gran lunga fare affari, lavorare e vederci con gli amici, che non andare in guerra. Purtroppo, per noi arrenderci significherebbe venire occupati, e per me personalmente sarebbe la morte. I nostri colleghi russi ci hanno trasmesso un elenco delle persone che, in caso di occupazione, dovranno essere eliminate, a cominciare dai politici per finire con tutti i volontari delle organizzazioni per i diritti. Il capo della mia organizzazione ed io siamo in questo elenco.
Non si tratta semplicemente di cambiare bandiera su un pezzo di terra: otto anni di occupazione della Crimea e del Donbass ci hanno mostrato che l’occupazione russa non tratterebbe i nostri territori come quelli della Federazione. Il governo della Federazione russa non rispetta i diritti umani neppure dei propri cittadini. Ad esempio, spesso non rimpatria i corpi dei suoi soldati uccisi in territorio ucraino.
Arrenderci ora non porterà alla pace, le persone che difendono il paese al fronte, fra cui circa sessantamila donne, sono insegnanti, cassieri, tassisti, perché in Ucraina non c’era un esercito di professionisti vero e proprio, da dieci anni in Ucraina combatte un esercito di civili.
Gli ucraini sono ovviamente stanchi, ci servono armi, ma non per conquistare qualche palmo di terra russa, bensì per difendere il nostro territorio. È vero che ci sono dei soldati ucraini nella zona di Kursk, ma nessuno di noi vuole che vi rimangano. Vorremmo non combattere, essere difesi, ma la Russia non ci ha lasciato altra scelta. L’unica alternativa che abbiamo è difenderci, e la pace sarà possibile solo quando la Russia smetterà di aggredirci.
(foto d’apertura: Novini.live, YouTube)
Oleksandra Romancova
Ucraina, laureata in Relazioni internazionali, è direttrice esecutiva del Centro per le libertà civili di Kyiv, associazione insignita del Nobel per la pace 2022 insieme all’associazione russa Memorial e al Centro bielorusso per i diritti umani «Vjasna».
LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI