13 Febbraio 2024
1915, una lettera a Prezzolini sull’Ucraina
Andrea Caffi, intellettuale italiano nato in Russia, ai primi del ’900 già descrive l’Ucraina come una nazione e una cultura autonome, e conculcate. Un giudizio competente e ancora attuale.
Andrea Caffi è stato un intellettuale italiano antifascista, attratto dal socialismo libertario. Quello che ci interessa in particolare è il suo stretto legame con la Russia, dov’era nato, a Pietroburgo, nel 1887 e dove aveva studiato.
Giornalista con un solido impianto di pensiero, Caffi non era stato un ospite casuale e distratto di questo grande paese, ma ne aveva condiviso le problematiche: da ragazzo aveva abbracciato il socialismo sognando il riscatto delle masse sfruttate; per questo aveva anche partecipato alla rivoluzione del 1905, che gli era costata due anni di prigione.
Dopo la liberazione era andato in Germania, poi in Italia, ma alla fine della Prima guerra mondiale era tornato in Russia, dove aveva maturato un giudizio chiaro e negativo sulla politica dei bolscevichi, cosa che gli era costata una nuova detenzione.
Infine, era rientrato in Italia nel 1923, per ritrovarsi questa volta ad affrontare il fascismo.
La lettera che pubblichiamo, scritta a Giuseppe Prezzolini nel 1915, dimostra un’approfondita conoscenza del «problema ucraino», mettendo sul tappeto questioni che servono anche a noi oggi per capire gli antefatti della guerra odierna.
18 maggio 1915
Caro amico,
le ho scritto due giorni fa da Ventimiglia. Oggi ho letto la nuova «Voce» e aderisco di tutto cuore alle tendenze e intenzioni che vi sono espresse. Negli ultimi quattro mesi ho avuto agio di vedere da vicino migliaia di uomini del popolo e diecine di intellettuali di Francia. Per Noi, teorici, l’impressione generale non risulta confortante: mai ho sentita così l’inutilità assoluta degli «intellettuali» per il popolo, e non mi aspettavo neppure a una abdicazione dell’«intellettualismo» come l’ho constatata tra i giovani francesi colti. Eppure il popolo francese è certo più affinato, più capace di riflessione intellettuale che la massa italiana. Speriamo almeno che per maggior sincerità e compattezza del piccolo nucleo di quelli «che non si lasciano travolgere» in Italia si riesca a conservare la fiamma viva di idealità complesse.
Ho visto nella «Voce» una brevissima recensione di un opuscolo sull’Ucraina e gli ucraini del Radnicki. Mi pare abbia avuto torto f. c., di sbarazzarsene con leggera ironia.
1) La lingua ucrainica non è un dialetto russo, ma una lingua differente dal russo e dal polacco quanto lo è la spagnola dall’italiano e dal francese. La letteratura ucrainica è ricchissima. Non soltanto in poesie popolari (superiori alle russe e forse anche alle serbe) ma in opere di grandi scrittori come Kotljarevs’kyj, Kvitka e soprattutto Scevcenko (non cito poi la legione di più recenti poeti, romanzieri, drammaturghi, perché citando di memoria potrei sbagliare nelle attribuzioni nonché nell’ortografia), di storici, eruditi, pubblicisti. La storia dell’Ucraina – in ucrainico – del prof. Gruscevski (ne ho visto i primi quattro volumi) è un’opera magistrale.
2) La nazione ucrainica conta proprio 35 milioni (e coi ruteni – dei quali dirò subito – potrebbero essere 39). Il nucleo dell’Ucraina è formato dalle provincie di Kiev, Cernigov, Volinia, Poltava, Charkov, ma effettivamente popolazioni ucrainiche si sono sparse fino in Crimea e fino al Mar Caspio (tra i cosacchi del Terek).
L’Ucraina è una nazione perché a) ha una storia politica propria b) ha sviluppato una civiltà differente dalla russa c) ha coscienza di essere nazione e rivendica già quasi da un secolo la sua completa autonomia.
Certo nell’impero russo per l’incertezza dei limiti territoriali nazioni e regioni non arrivano a identificarsi e molte sono le zone contrastate. Si ricordi di Korolenko, il quale racconta nelle sue memorie che durante tutta l’infanzia sua si sentì conteso da tre nazioni: la russa, la polacca, l’ucrainica.
3) Non sono «episodi medioevali» senza importanza il regno di Galizia nel XIII sec. (distante e avverso al granducato di Vladimir, donde nacque la Moscovia); il granducato lituano-ucrainico dal XIV al XVI sec. nel quale si formò la lingua e la mentalità dell’Ucraina; le libere comunità dei cosacchi che mai furono asservite, ma quale stato autonomo – l’Etmanato – furono unite da Stefano Bathory alla Polonia; le lotte accanite del XVI e XVII sec. parallelamente combattute dai cosacchi contro l’oppressione dello stato polacco, dal clero e Università di Kiev contro la «latinizzazione» che volevano imporre i gesuiti; la profonda delusione dell’Ucraina quando lo «Tsar liberatore» chiamato in aiuto da Bohdan Chmel’nyc’kyj contro i polacchi, invece di rendere all’Ucraina le antiche libertà la sottopose all’oppressione Moscovita, donde numerose rivolte, quella di Mazepa nota tra tutte, ma non unica nel suo genere, e durante tutto il secolo XVIII sforzi continui e sistematici del governo russo per convertire i liberi cosacchi in contadini servi, la nobiltà ucrainica in servitori dello Stato, etc.; la lotta lunga e non ancora terminata, condotta spesso con mostruosa ferocità per costringere la Chiesa “unita” (cattolici di rito greco) a rientrare nel grembo dell’ortodossia Moscovita (tentativi paralleli a quelli fatti contro la Chiesa georgiana e persino contro la Chiesa armena); il rigore ancora più grande dei governanti russi nel secolo XIX contro il «separatismo ucrainico»; processi, deportazioni, proibizione di usare la lingua ucrainica in pubblico; grandiosa rivincita nel 1905 quando sorsero da un giorno all’altro un centinaio di giornali e periodici ucrainici; la società «Grosvita» che tanto fece per l’istruzione del popolo (in ucrainico), partiti ucrainici che portarono alla Duma le rivendicazioni d’autonomia, professori che alle Università di Kiev, di Charkov, di Odessa cominciarono a fare i loro corsi in ucrainico. Poi repressioni, ma non più intera soffocazione così che la lotta continua si estende e si intensifica penetrando nelle masse contadine.
4) Mi sono già troppo esteso e del resto arrischierei troppe imprecisioni se facessi qui un abbozzo della civiltà ucrainica dal XV sec. al XX. Basta dire che lo spirito ne è completamente diverso da quella moscovita, che l’Università di Kiev sorse in un tempo (nel XVI s.) quando a Mosca non sapevano più neanche copiare i libri liturgici; che molte e curiose furono le relazioni dell’Ucraina coll’Occidente (anche con Venezia per tramite dei croati) e studenti di Kiev furono i primi civilizzatori «venuti dall’estero» a Mosca; che nel Settecento fiorisce un teatro nazionale ucrainico, poi si sviluppa la lirica romantica e poi l’erudizione.
Si ricordi poi che in Russia come in Ucraina fino alla Rivoluzione si aveva da fare con masse assolutamente analfabete, perciò a) esiguità dei ceti interessati alla questione nazionale b) difficoltà per i ucraini colti e patriotti di trovare un appoggio contro lo stato russificatore c) apparente assimilazione di quelli che studiavano nei licei russi. Diventavano funzionari russi e spesso dovevano esprimere persino le loro rivendicazioni ucrainiche in russo. Ricordo però professori di liceo che ci insegnavano in russo, ma tra loro parlavano sempre in ucrainico ed erano ferventi nazionalisti.
5) Non posso decidere con competenza quale sia il grado di parentela (per certuni sarebbe addirittura identità) tra il popolo ruteno e il popolo ucrainico. Certo la storia politica (i ruteni furono incorporati nel regno di Polonia, mentre l’Ucraina restò con la Lituania, poi furono d’una parte l’Austria, dall’altra la Moscovia) e le religioni (in Rutenia la «Chiesa unita» restò salda fino alle recenti barbare persecuzioni inaugurate dal conte Bobrinski appena i russi entrarono a Leopoli). Ad ogni modo ho conosciuto a Lvòv (Leopoli) persone serie e avverse all’Austria che cercavano di creare più saldi legami tra ruteni e ucraini, come si fa a Zagreb e Serajevo per unire serbi e croati.
6) Politica russa e politica slava non hanno nulla da fare l’una coll’altra. Si dimentica spesso, mi pare, che quella confusione di cose che in Occidente credono intendere dandogli il nome di «panslavismo» fu originata –nei suoi elementi più serii – dal movimento slavofilo.
Ora i slavofili furono (verso il 1840) ideologi recisamente avversi alla Russia autocratica, a ciò che loro chiamavano il regime tedesco di Pietroburgo. Contro lo stato russo, militare e poliziesco secondo il modello della Prussia e dell’Austria, i slavofili vagheggiavano una federazione di popoli slavi, ordinati secondo le genuine tradizioni di «comunità» affatto antistatali (e c’è un problema molto serio: forse veramente il destino storico dei slavi è di creare una forma di solidarietà nazionale differente da quella che abbiamo ereditato da Roma; la vita statale non è mai riuscita ai slavi).
Solo gli epigoni del slavofilismo patteggiarono colla burocrazia e snaturarono il loro ideale combinandolo grottescamente col programma imperialista russo. La politica slava della Russia non è mai stata che un bluff.
Tra i ruteni esisteva un partito di «moscali» (moscoviti) disprezzato per la sua notoria mercenarietà, e piuttosto atto a falsare il movimento nazionale che a svilupparlo. Adesso i sloveni trovano il massimo appoggio a Pietroburgo ed ho visto nei giornali russi stranissime elucubrazioni che ricordano molto quelle dei prezzolati «moscoviti» di Galizia e di Boemia.
7) L’Austria ha avuto velleità di una politica slava contraria alla Russia (confuse intenzioni di Badeny poi dell’arciduca F.F.), ma l’irreducibile opposizione dei tedeschi e dei magiari, come pure le troppo radicate tradizioni del Polizeistaat impedirono sempre la realizzazione sia pure di una minima parte di cotali velleità.
Però l’amicizia per lungo tempo conservata dell’Inghilterra per l’Austria stava forse in parte nella coscienza o nell’intuizione di questa possibilità d’una azione slava diretta contro il temibile zarismo.
Chi sa se l’Italia succedendo a l’Austria, ma molto più libera e favorita da tutte le circostanze non potrebbe mettersi risolutamente sulla via di una politica slava che rendendo la piena libertà e la possibilità di accentrarsi alla Serbia, Boemia, Polonia e anche a l’Ucraina porterebbe l’europeismo e la democrazia fino nel cuore dell’«impero knuto-germanico» di tutte le Russie.
Scusi il disordine e la lunghezza di queste frettolose osservazioni. Mi stava assai a cuore che «la Voce» non incorresse in quei comuni errori che ornano tutta la stampa europea. Spero che tra qualche giorno sarà risolta la mia situazione militare. Vicino o lontano cercherò sempre di restare in contatto con Lei e con «la Voce».
Suo aff.mo,
Andrea Caffi, Milano
(fonte: Biblioteca Gino Bianco)