28 Dicembre 2024
Processi assurdi contro la verità
Il prigioniero di coscienza Aleksej Gorinov è stato condannato ad ulteriori tre anni di carcere con un processo in cui l’assurdo ha avuto la meglio sulla realtà dei fatti. Ma la sua ultima parola mostra la speranza con cui continua a lottare con le forze che gli rimangono.
«Eh, l’hanno fatto saltare [il ponte di Crimea]… siamo in guerra», «beh, che male c’è? [a nominare il battaglione Azov] Sono forze armate…».
Due frammenti di frasi che definiscono la realtà per quella che è, senza commenti personali o giudizi di valore. Quattordici parole, risposte a provocazioni estenuanti, estrapolate da una registrazione di oltre 13 ore, determinano la condanna di un uomo. Il 29 novembre si è concluso il nuovo processo contro Aleksej Gorinov, ex consigliere municipale del quartiere Krasnosel’skij di Mosca e attivista del movimento democratico «Solidarnost’», che per queste dichiarazioni dovrà scontare ulteriori 3 anni di colonia per «apologia del terrorismo».
Condannato per aver chiamato le cose con il proprio nome: potrebbe sembrare una follia, ma non è più una novità nella Russia di oggi e soprattutto non lo è per lui, in prigione dal 2022 per «diffusione di false informazioni sull’esercito russo», dopo che durante un consiglio comunale aveva affermato che «tutti gli sforzi della società civile devono tendere esclusivamente a fermare la guerra e ritirare le nostre truppe».
Di fatto l’intero processo è aberrante, tanto che chi non vi ha assistito direttamente fatica a credere a quanto viene riportato. Come testimoni dell’accusa vengono interrogati altri detenuti, compagni di cella o di convalescenza (nell’ospedale del carcere, dove Gorinov è stato ricoverato a causa di gravi problemi di salute), che a stento nascondono il loro ruolo di fantocci, ripetendo calunnie imparate a memoria.
Nonostante i continui interventi del giudice per interrompere i commenti e le domande incalzanti della difesa, a volte sono i testimoni stessi a tradirsi, ad esempio quando Andrej Ganjašin, spazientito, sbotta: «Forza, ditemi cos’altro serve», come se la collaborazione con l’amministrazione della colonia penale fosse non solo conclamata, ma anche normalizzata.
L’osservazione della difesa riguardo alla scarsa originalità delle loro dichiarazioni, che coincidono quasi parola per parola, resta infatti ignorata. Alla sceneggiata partecipano anche gli specialisti incaricati di analizzare (a porte chiuse) le conversazioni tra i detenuti, segretamente registrate nell’arco di venti giorni, traendone conclusioni del tutto arbitrarie, come sottolineato dall’avvocato di Gorinov e dall’imputato stesso:
«Sono lontano dall’ideologia del terrorismo, non sarei capace di fomentarla in altre persone, contrariamente a quanto affermato nell’atto d’accusa. Non ci vedo nessuna attrattiva, né la considero una cosa giusta. Parliamoci chiaro: nel corso dell’indagine non sono state trovate altre prove, qui è scritta solo della roba a caso. Non conosco le organizzazioni ucraine “Kraken” e “Settore di destra”, non ho mai detto nulla al riguardo. Gli analisti per qualche motivo hanno aggiunto questi nomi alle loro deduzioni di propria iniziativa. All’inizio di settembre 2023, gli ufficiali dell’FSB sono venuti da me due volte alla colonia FKU n. 2 e mi hanno chiesto se conoscessi l’organizzazione “Kraken”. Io ho risposto negativamente».
Come commenta l’attivista per i diritti civili Marija Rjabikova, presente alle udienze, «è spaventoso che così poche persone siano a conoscenza di questo e di altri processi demenziali» e che ancora una volta resti sconosciuta ai più la fermezza con cui Gorinov, reggendo il cartello «Basta uccidere. Fermiamo la guerra», ha pronunciato la sua ultima parola:
«Per tutta la vita mi sono opposto all’aggressione, alla violenza e alla guerra, dedicandomi esclusivamente ad attività pacifiche come la formazione, l’insegnamento, l’educazione, i compiti amministrativi e impegnandomi pubblicamente per la difesa dei diritti umani come deputato, membro di commissioni elettorali e scrutatore. Non avrei mai pensato di vivere tanto a lungo da vedere il sistema politico e la politica estera del mio paese degradarsi al punto che comuni cittadini, migliaia dei quali sono a favore della pace e contro la guerra, sono accusati di calunniare le forze armate e di giustificare il terrorismo e vengono processati.
Si sta concludendo il terzo anno di guerra, il terzo anno di vittime e distruzioni sul territorio europeo, di privazioni e sofferenze per milioni di persone che non si erano più viste dopo la Seconda guerra mondiale. Non possiamo tacere. Alla fine di aprile, il nostro ex ministro della Difesa ha annunciato che le perdite di parte ucraina nel conflitto sono state 500mila. Pensate a questa cifra!»
Breve interruzione del giudice, che gli intima di non divagare.
«Ma allora quali perdite ha subito la Russia, che, stando alle informazioni degli organi ufficiali, avanza costantemente con successo lungo tutto il fronte? Questo ancora non lo sappiamo. E chi ne risponderà? A cosa serve tutto questo?
Il nostro governo e coloro che sostengono le sue aspirazioni militariste hanno tanto voluto questa guerra, ed ecco che è arrivata, anche sul nostro territorio.
Mi viene voglia di chiedere: la nostra vita è diventata migliore? È così che concepite il benessere e la sicurezza del nostro paese e della sua popolazione? O nei vostri calcoli non avevate previsto un simile sviluppo della situazione?
Per ora vengono chiamati a rispondere non coloro che hanno architettato la guerra, che continuano a uccidere, che la promuovono e si impegnano nel finanziarla, bensì noi, comuni cittadini russi, che alziamo la voce contro la guerra e per la pace. Ci tocca rispondere, pagando con la nostra libertà, in alcuni casi anche con la nostra vita.
Appartengo alla generazione i cui genitori hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale o sono sopravvissuti ad essa e a tutte le sue difficoltà. La generazione passata ci ha raccomandato di preservare la pace con tutte le forze, come fosse la cosa più preziosa sulla Terra, per tutti i suoi abitanti. Ma abbiamo trascurato i loro precetti e calpestato la memoria di queste persone e delle vittime di quella guerra.
La mia colpa, in quanto cittadino del mio paese, è di aver permesso questa guerra e di non averla fermata. E vi chiedo di sottolinearlo nella sentenza.
Ma vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche dagli ideatori, dai partecipanti, dai sostenitori della guerra e dai persecutori di coloro che sostengono la pace.
Continuo a vivere nella speranza che un giorno questo avvenga. Nel frattempo, chiedo al popolo ucraino e ai miei concittadini che soffrono per la guerra di perdonarmi.
Ogni volta che sono stato accusato e chiamato a processo per aver espresso la mia opinione sulla necessità di porre fine alla guerra, ho dichiarato apertamente la mia posizione nei confronti di questa ignobile attività umana. Posso solo dire che la violenza e l’aggressione generano solo violenza reciproca e nulla più. Questa è la vera causa dei nostri problemi, delle nostre sofferenze, delle vittime insensate, della distruzione delle infrastrutture civili e industriali e delle nostre case.
Fermiamo questo sanguinoso massacro, che non serve a nessuno, né a noi, né agli abitanti dell’Ucraina. Non è forse giunto il momento di lasciare in pace i nostri vicini e di occuparci dei nostri problemi interni, che stanno crescendo come una valanga? Abbiamo già dimostrato da tempo al mondo intero quanto siamo coraggiosi, resistenti e amanti della pace. Forse adesso può bastare?
Lev Tolstoj scrisse in una lettera al figlio nel 1904: “Per me la follia, la criminalità della guerra è così chiara che, a parte follia e criminalità non riesco a vederci nient’altro”. Anch’io mi associo e sottoscrivo queste parole del nostro grande connazionale. Unitevi anche voi!».
Anche dopo aver ascoltato la verità espressa in modo così limpido e razionale, al termine di questo insensato processo il verdetto stabilisce di prolungare la prigionia di Gorinov, e questa volta a regime severo.
Dal giorno della sentenza sono iniziate le prime vessazioni: Aleksej è stato infatti trasferito in una cella senza riscaldamento, apparentemente spento per un guasto, e non gli è stata ancora concessa una coperta. E sebbene le autorità giudiziarie assicurino che gli vengono consegnati interi pacchi di lettere, lui non ne ha ancora ricevuta nemmeno una.
Date le sue condizioni di salute già precarie, c’è chi spera nello scambio come unica possibilità di salvezza, ma l’ex consigliere comunale si sente legato alla sua terra e non sembra prendere in considerazione l’opzione. «Nessuno ci ha promesso una vita prospera – ha riconosciuto lui stesso al termine dell’udienza, – questo è il tipo di paese in cui siamo nati: dobbiamo lottare per i nostri diritti e difenderli». Solo così spera che «ognuno di noi, quelli che sono contro la guerra per la pace, diventi un’isola di salvezza per le persone».
(Foto di apertura: Aleksandra Ostakova, Mediazona)
Miriam Zanoletti
Nata nel 1999, ha studiato all’Università Ca’ Foscari di Venezia e Albert-Ludwig di Friburgo, conseguendo la laurea magistrale in Lingue e Letterature tedesca e russa.
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