1 Marzo 2018
Elezioni: la tentazione di lavarsene le mani
Serpeggia tra gli elettori russi uno scoramento totale, che li allontana dalla politica. I politologi soppesano le percentuali e le chances, ma qualcuno ricorda che i dissidenti agivano in barba alle previsioni. Per amore a sé piuttosto che per paura.
Si avvicina la data delle elezioni presidenziali in Russia e nessuno, letteralmente nessuno, pensa che ci sia alcuna reale possibilità che possa vincere un altro candidato diverso da Putin.
C’è chi lo pensa con soddisfazione, chi con rassegnazione e chi con rabbia, ma il dubbio non esiste.
Il bilancio dell’ultimo mandato presidenziale non è oggettivamente esaltante: l’economia ferma, il tenore di vita della popolazione in discesa, la politica estera che passa da un conflitto all’altro e sta scatenando una corsa al riarmo che inghiotte un terzo delle spese in bilancio. Però, senza parità di spazi informativi, senza reali dibattiti fra le parti, oggi in Russia non c’è agone politico, nessuna concorrenza, e gli elettori che vorrebbero esprimere un voto di protesta non hanno strumenti e prospettive politicamente praticabili; non c’è un solo candidato dell’opposizione che si ponga l’obiettivo di superare Putin. Nei sondaggi il secondo piazzato è dato al massimo al 7,5%.
E allora per i delusi resta la domanda successiva: in queste condizioni perché andare a votare? Non è assurdo usare una procedura democratica in un paese che nella sostanza ha conservato molto poco di una dialettica democratica normale, dove non c’è alcuno spazio per dare un’espressione politica concreta al proprio desiderio di cambiamento?
In realtà attirare ai seggi i russi oggi è difficile anche per il partito di governo, perché il disinteresse per la politica è un habitus radicato, un’eredità dell’Unione Sovietica – dove le elezioni erano pura farsa – che oggi viene rafforzata dall’indifferenza post-moderna per la politica, che guarda più al week-end che al bene comune. Anche negli ambienti di governo si ha la chiara consapevolezza che sono una minoranza i putiniani così entusiasti da impegnarsi al voto; tutti gli altri sono putiniani passivi, da rimorchiare o da comprare.
Il rischio è che le percentuali di votanti siano così basse da distruggere il mito dell’ampio consenso popolare, e questa sarebbe una macchia anche dal punto di vista dell’immagine internazionale del paese. Per questo oggi la campagna pre-elettorale gioca molto sulla paura; girano in rete alcuni spot in cui si vede un cittadino qualunque, che non intende votare, preda di un incubo terribile in cui la moglie si trasforma in una vamp-megera, il figlio è gay, e degli strani militari di pelle nera reclamano il suo arruolamento; allora il cittadino medio capisce che solo il governo può salvarlo e conclude: «Andiamo a votare, finché non è troppo tardi!».
La clip «Andiamo a votare, finché non è troppo tardi!».
Questo ed altri video simili dicono in sostanza che il partito di governo non ha nulla da proporre al di là della paura, e non riesce a offrire un orizzonte a cui guardare con tranquillità, un futuro privo di minacce, e persino un presente capace di liberarsi da una mentalità in cui i tanto vantati valori cristiani di accoglienza, comprensione e solidarietà sono in realtà soffocati dalla paura del diverso (la donna, l’omosessuale, il negro). L’unico sogno che sembra consolare questa mentalità è quello di un paese che mostra i muscoli ma perché è assediato e si difende da qualsiasi realtà esterna. La paura è l’orizzonte cui persino l’ex presidente Michail Gorbačëv, che negli anni passati aveva impersonato un’opposizione moderata, oggi cede quando ammette che, nell’attuale difficile congiuntura, in fondo è meglio non cedere a fughe in avanti e lasciare il timone nelle mani sicure di Putin, che si è meritato la fiducia popolare.
Quello di Gorbačëv è un atto di resa, che ci riporta alla domanda iniziale: e allora che senso ha votare?
Non a caso c’è un movimento dell’opposizione che propaganda il boicottaggio; oggi tutta la discussione preelettorale si concentra in pratica su quest’unica alternativa; Aleksej Naval’nyj tagliato fuori dalla corsa al Cremlino, ha indetto lo «sciopero degli elettori». La prospettiva di questa linea è però debole, anche in caso di «successo» potrebbe arrivare al massimo a coinvolgere il 10 % dell’elettorato, il che non avrebbe alcun effetto sul voto, visto che dal 2006 in Russia è stato abolito il quorum per la validità delle elezioni (di qualsiasi tipo); stando così le cose, il nuovo presidente verrebbe eletto comunque, anche a seggi semideserti, per cui il boicottaggio avrebbe solo un valore morale…
Una scelta, comunque
Votare o boicottare? La domanda non è formale, e vale del resto anche per altri paesi dove i cittadini chiamati a votare rinunciano per non saper cosa scegliere e per la presenza di una situazione di decadenza ideale che lascia all’esercizio della democrazia un valore molto spesso esclusivamente formale. E neppure è una domanda solo contingente e tattica, al contrario è quanto mai radicale, ne va della posizione personale e addirittura del destino del paese, liberato dalle tentazioni di una protesta violenta e di un ripiegamento scettico e impotente. Questo diventa evidente soprattutto in Russia, dove si sono già viste situazioni simili e anche peggiori, di totale impossibilità di azione e di incidenza; ai tempi del regime sovietico i dissidenti se l’erano posta seriamente questa domanda, e ne era nata una posizione civile minoritaria, disarmata, che alla lunga però era risultata efficace, e aveva influenzato il clima generale tanto da segnare in senso positivo la svolta del paese verso la democrazia. La loro posizione era quella poi enunciata filosoficamente da Václav Havel come «il potere dei senza potere», il partire dal piccolo, dal sé e credere che questa sia la base di ogni politica.
Un argomento forte a sostegno del boicottaggio è che il risultato elettorale è già deciso e non si può fare nulla per cambiarlo ma, suggerisce Boris Višnevskij su «Novaja gazeta», mai niente è già deciso definitivamente in anticipo, o meglio lo è solo se si lascia che lo sia: «La logica del “non bisogna votare chi non ha chances” non solo è perdente (si vota chi si ritiene meritevole a prescindere dalle chances, i dissidenti sovietici combattevano il regime ben sapendo quante poche chances avevano) ma è anche contraddittoria. Le chances dei candidati d’opposizione dipendono dal comportamento degli elettori d’opposizione, se questi non votano le chances resteranno sempre esigue».
Era tipico dei dissidenti vivere e agire nella consapevolezza di non avere chances, di essere una minoranza emarginata e senza spazi d’azione. Il brindisi d’obbligo che si faceva nelle famose serate in cucina fra dissidenti era «alla nostra causa senza speranza!». Ma per gente come loro, che si lasciava provocare personalmente dalla situazione politica, questa considerazione di impotenza non era una pietra tombale bensì il punto di partenza, dopo il quale c’era spazio per i tentativi.
Oggi l’elenco di tutte le forme che pensarono allora per creare brecce nel muro non è più attuale, naturalmente, ma è attualissima la posizione che generò quei tentativi. Così oggi, per esempio, non è lo stesso che Putin vinca con l’80 o con il 53%, la vittoria dell’opposizione sarebbe già dimostrare al paese che esistono dei cittadini che non condividono la linea del governo e non hanno complessi a dirlo per le vie istituzionali. «Le elezioni non sono imparziali? – continua Višnevskij – manca la giusta concorrenza? Ci sono enormi pressioni a favore del partito di governo? Impongono la censura politica ai programmi televisivi? perseguitano l’opposizione? Fanno brogli? Sì. Ma questo vuol dire che le elezioni sono assolutamente predeterminate? No… Non bisogna credere che “è tutto falsificato” e che le elezioni saranno un imbroglio al cento per cento. Anche le possibilità del governo, da questo punto di vista, non sono infinite, e in realtà trovano un limite nel grado di resistenza dei candidati dell’opposizione e della società civile… Molto dipende qui dalla tenacia, dalla competenza e dalla coerenza del singolo».
La cosa peggiore, dunque, è rinunciare volontariamente ai propri diritti civili invece di usarli. In tempi ben più duri il dissidente Aleksandr Esenin-Vol’pin escogitò di usare la stessa Costituzione sovietica per arginare gli abusi del partito. Ma per riuscire a farlo dovette studiare e impadronirsi della materia, non restare fuori dai giochi. Oggi ci sono persone che invece di scegliere il boicottaggio hanno deciso di partecipare come osservatori, esiste un’organizzazione che li raggruppa; la speranza di alcuni politici d’opposizione è che tra le loro fila maturi col tempo una coscienza civica attiva, capace di assumersi delle responsabilità, che prima o poi produrrà un nuovo leader, una nuova classe politica. Tutto questo apre a una prospettiva futura più costruttiva, a patto di non lasciarsi prendere dalle sterili esecrazioni del governo. Molto dipende dal fatto se c’è oggi in Russia chi sia disposto a imboccare questa via.
Giovanni Paolo II una volta aveva detto: «Vi diranno che non siete abbastanza. Non fatevi ingannare. Valete molto, molto più di quello che vi vogliono far credere».
I mandati di Putin
• Vladimir Putin viene eletto presidente per la prima volta il 26 marzo 2000, dopo le dimissioni di Boris El’cin. Vince al primo turno con il 52,94% dei voti. La carica dura 4 anni.
• Nel marzo del 2004 Putin viene rieletto presidente, raccogliendo il 71,31% dei voti.
• Alle elezioni presidenziali del 2008 Putin non corre, in quanto la Costituzione non ammette più di due mandati consecutivi. Viene eletto presidente Dmitrij Medvedev, Vladimir Putin è nominato primo ministro.
• Nel dicembre 2008 entra in vigore un emendamento costituzionale in base al quale a partire dalle elezioni del 2012 il mandato presidenziale durerà 6 anni invece che 4.
• Alle elezioni presidenziali del 4 marzo 2012 Putin viene rieletto presidente per la terza volta con il 63,6% dei voti. Ci sono forti proteste per i patenti brogli elettorali.
• 18 marzo 2018 Putin corre per il quarto mandato presidenziale.
Anna Kondratova
Moscovita, laureata in sociologia. Ha seguito da vicino lo sviluppo del movimento d’opposizione in Russia. Giornalista e saggista.
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