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10 Marzo 2025
Giustizia e vendetta nella Russia del futuro
L’ultima, intrigante opera dello scrittore satirico russo Roman Arbitman, che unisce il politico al poliziesco.
«Quando i cardini arrugginiti si sono sfaldati e tutto un mondo abietto è finito nel nulla, i suoi padroni di ieri e i loro fedeli servitori si sono abilmente dileguati sparpagliandosi per tutto il globo e infilandosi in profonde fessure. Hanno cambiato nome, passaporto, numero di conto corrente, sperando in sanatorie legali, e ancor più nella memoria corta della gente comune e nella magnanimità dei vincitori. Sembra che avessero ragione: i mesi passavano, e la patria ufficialmente non perseguiva furfanti e sanguisughe fuggiti… Ma questo significava davvero che erano stati del tutto dimenticati?…».

Lev Gurskij, Il Ministero della giustizia, ed. Vremja 2020.
Così si apre la narrazione ne Il Ministero della Giustizia, romanzo uscito nell’autunno 2020, situata in un immaginario futuro, subentrato in Russia alla «Fausta rivoluzione» sviluppatasi dopo il mortale infarto del Capo supremo Pavel Pavlovič Dorogin (evidente allusione a Vladimir Vladimirovič Putin: i cognomi infatti hanno alla radice i termini put’ e doroga, con il medesimo significato di «strada»), che apre la strada a una nuova era, fatta di legalità e giustizia.
Ma si può costruire un tale futuro senza esercitare una reale giustizia sulla casta che ha perpetrato cinicamente e impunemente tanti delitti? E, d’altra parte, come la giustizia può evitare di trasformarsi in vendetta, in una spirale di violenza che si estende sempre più?
Su questo tema si sviluppa una «favola» (così l’autore l’aveva definita in una lettera a un amico), un’avvincente narrazione, un giallo in cui si uniscono umorismo, satira, avventura, una serrata critica del sistema politico vigente e drammatiche riflessioni sul passato e sul presente del paese.
Nel romanzo entrano in gioco una serie di personaggi della politica, dell’industria e della magistratura che per il lettore russo sono trasparenti, sia per la somiglianza dei nomi, sia per l’ambito di attività e le caratteristiche personali: non a caso, con lo humour che gli è proprio, «ai lettori che si sono riconosciuti tra gli eroi del libro, l’autore augura cordialmente di offendersi».
Dall’altra parte della trincea troviamo la squadra al servizio del Ministero della Giustizia, un gruppetto di «supereroi» (il mago dell’informatica, il forzuto, la ragazza che parla con disinvoltura tutte le lingue e i dialetti del mondo), i quali sotto la guida del protagonista, Roman Il’ič, si mettono al servizio della Giustizia Universale liquidando una serie di efferati criminali che stanno godendo indisturbati il frutto delle proprie scelleratezze in ogni parte del mondo.
«Noi non siamo killer»: è questo il motto della squadra in azione, e in effetti ad agire, a scegliere la pena – che può andare da una morte orribile a qualche trauma senza gravi conseguenze, a seconda della colpevolezza del «cliente» – è la misteriosa «bilancia interiore» del protagonista, che scatena incidenti, terremoti, inondazioni, tornado, eruzioni vulcaniche, i quali hanno la particolarità di colpire capillarmente i malviventi scovati senza causare danni ad altri.
Accanto a Roman Il’ič scendono in campo anche altri personaggi, come lui possessori di straordinarie doti sensoriali, e che per questo – come il protagonista – sono stati torturati per anni come cavie di crudeli esperimenti nelle carceri del passato regime. Il registro umoristico e scanzonato delle avventure della squadra della Giustizia Universale si intreccia qui con la rievocazione di un mondo in cui predominava l’orrore di torture, assassinii, corruzione, arbitrio e impunità.
In realtà, bene e male non hanno contorni così netti e delimitati fra loro. Indagando sulla morte del fratello Lev, che aveva le sue stesse doti e lavorava per lo stesso ente, il protagonista giunge a risultati inattesi… Ma il lettore non rinuncerà all’happy end: l’ultimo ad avere il fatto suo – inghiottito da uno squalo gigante – sarà lo stesso Dorogin, che in realtà non era morto come aveva fatto credere, ma si era semplicemente ritirato nell’ombra manovrando i fili come il Grande burattinaio, nell’illusione di poter usare per i propri scopi la stessa Giustizia Universale.
All’autore del romanzo, Roman Arbitman (Gurskij è uno dei suoi tanti pseudonimi), non è andata altrettanto bene del suo protagonista: è morto infatti poche settimane dopo l’uscita del libro, per complicanze del covid, nel dicembre dello stesso 2020.

L’autore del romanzo Roman Emil’evič Arbitman. (Wikipedia)
Arbitman, nato nel 1962, insegnante, critico letterario e scrittore di Saratov, è autore di tutta una serie di testi satirici a sfondo politico e poliziesco. Leggendo il romanzo nel contesto attuale sembra impossibile che solo pochi anni fa abbia potuto essere pubblicato e messo in circolazione, come del resto molte delle opere precedenti dello scrittore.
D’altro canto, nella narrazione restano impliciti o inespressi molti interrogativi: sui criteri della giustizia, sul rapporto tra una «giustizia superiore» che si assume ogni responsabilità di giudizio e la responsabilità personale degli individui, che possa determinare sia il giudizio sul passato, sia l’ordinamento della società nel presente e nel futuro.
Arbitman resta al livello di una riuscitissima satira politica, senza la pretesa di una proposta alternativa. Anche se, ad esempio, nel confronto diretto tra Dorogin e Roman Il’ič a cui assistiamo nelle ultime pagine del testo, le due logiche del potere e della libertà personale sono esplicitamente espresse nella loro contrapposizione: la prima, disposta addirittura a determinate concessioni, a prezzo però di un sostanziale asservimento della persona; la seconda, disarmata e forte soltanto del proprio interiore convincimento di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto… E la realtà, alla fine, paga proprio questa disarmata ed integra posizione umana.
(Immagine d’apertura: Pexels)
Giovanna Parravicini
Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
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