Al cuore di un cambiamento epocale

5 Maggio 2025

Al cuore di un cambiamento epocale

Adriano Dell’Asta

Una raccolta di saggi tenta un primo bilancio delle trasformazioni a catena che l’invasione dell’Ucraina ha portato con sé, in Europa e nel mondo.

Al cuore di un cambiamento epocale

La Guerra d’indipendenza ucraina.  (Scholé, Morcelliana, 2025).

La Guerra d’indipendenza ucraina. Come il conflitto ha cambiato il Paese. 2014-2024 (Scholé, Morcelliana, Brescia 2025) è un’agile ma densa raccolta di saggi (curata da S.A. Bellezza e altri) il cui titolo suggerisce già una chiave interpretativa a mio parere difficilmente discutibile: quella che si sta combattendo dal 2014 in Ucraina (sia pur in forme e intensità diverse) è una vera e propria lotta per la difesa dell’«indipendenza di una società»: una lotta caratterizzata da parte russa da una serie di crimini gravissimi (dall’assedio di Mariupol’ alle stragi di Buča), che hanno portato con sé una trasformazione radicale della società stessa (identità, religione, ecc.) e hanno avuto ripercussioni fondamentali all’estero (in Russia e nei paesi dell’ex impero sovietico, oltre che, ovviamente, nel resto del mondo che è stato trascinato in questa guerra).
Oltre a questa chiave interpretativa, va sottolineata una osservazione capitale, posta alla fine dell’introduzione e troppo spesso non presa sul serio: lo studio dell’Ucraina è «più importante che mai perché non è possibile avanzare proposte di pace se non si conosce la realtà della guerra».

E così il libro inizia con una precisa ricostruzione della guerra e dei suoi orrori, con i bombardamenti contro i civili che non sono mai stati una casualità o un’eccezione, ma hanno rappresentato sempre «una precisa strategia» applicata «in modo indiscriminato», contro un popolo per il quale l’essere nazista costituirebbe «un elemento intrinseco dell’identità nazionale ucraina» che andrebbe di conseguenza eliminata; e si può dire quel che si vuole sul carattere estremistico di queste affermazioni, ma il fatto che siano state e vengano ripetute con una regolarità impressionante e che vengano riprese anche a casa nostra con una leggerezza disarmante le rende ancora più gravi.

Al cuore di un cambiamento epocale

Due civili osservano la distruzione della loro casa. (telegram)

L’immagine di uomo che si manifesta in certi comportamenti (con violenze sessuali le cui vittime rientrano in una fascia di età compresa fra i 4 gli 82 anni) va oltre la tragica brutalità delle guerre e rivela un progetto di vera e propria «disumanizzazione», la cui denuncia non può essere relativizzata come se fosse il frutto di un semplice scontro di propagande.

Questo rischio, sempre esistente, è ben indicato da una delle autrici, ma parlare di opposte propagande non ha più senso quando è lo stesso «comandante in capo delle forze armate russe [che] si permette una battuta pubblica sullo stupro, rappresentando l’Ucraina come una donna sottomessa e la Russia come un uomo dominante».

È evidente che simili comportamenti hanno poi delle ricadute tragiche là dove non si tratta più di battute ma di una realtà in cui la violenza sessuale diventa arma di guerra e, ancor più, «mezzo di comunicazione tra uomini di campi opposti». Disumanizzazione delle vittime immediate, de-mascolinizzazione degli uomini costretti ad assistere a certi «spettacoli» senza poter difendere le vittime: si raggiungono abissi dove l’umanità viene distrutta a livelli impensabili, persino negli autori di certi crimini nei quali è sempre più difficile rintracciare un barlume dell’immagine di Dio così deturpata.

Molto ricche e particolareggiate sono poi le analisi sulle trasformazioni prodotte da questa catastrofe a livello sociale, politico ed economico, ma vorrei soffermarmi in particolare su alcune considerazioni relative all’aspetto culturale che sta dietro i comportamenti dell’attuale potere russo, con la sua evidente nostalgia della «sovieticità»; se questo aspetto è innegabile, altrettanto innegabile è, però, la necessità di uscire da una logica di pura contrapposizione: la necessità di difendere e articolare la propria identità deve essere assolutamente fuori discussione e costantemente sostenuta da chi desidera un processo di pace autentico nel quale all’Ucraina siano garantite tutte le sue prerogative di nazione indipendente, e tuttavia «per sconfiggere il fascismo, l’Ucraina non dovrebbe aspirare a diventare una Grande Cultura, il centro della cultura europea, perché la Grande Cultura è un progetto imperiale che conserva sempre i germi del fascismo. La vera strategia di emancipazione è la strategia decoloniale di diventare minori, eludendo la fantasia della grandezza coloniale».

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Distruzione causata dai bombardamenti russi su Kiev nel dicembre 2024. (telegram)

Quella cui deve mirare l’Ucraina, «al fine di prevenire derive etno-nazionaliste e fenomeni di chiusura», è evidentemente una grandezza ben diversa da quella degli imperi, delle potenze e delle loro giustificazioni ideologiche, dove il carattere altisonante di certe affermazioni, che vorrebbero trasformare un’aggressione imperialista in una «guerra santa», non riesce a nascondere il vuoto che si cela dietro certe formule e che si manifesta poi nella crisi in cui cade chi le fa proprie, come ha fatto il patriarca Kirill che, con il suo sostegno per nulla cristiano a una guerra di aggressione, ha prodotto una divisione difficilmente sanabile all’interno della stessa Chiesa ortodossa.

Altra, e sempre ben diversa, è evidentemente la grandezza dell’umanità autentica, dove la diversità non è mai un pericolo o una perdita, ma deve sempre essere recepita come una ricchezza sia che si tratti delle donne o del movimento per i diritti LGBTQIA+.

Non meno interessanti sono poi gli studi dedicati al fenomeno delle migrazioni e delle diaspore, che ripercorrono la questione ucraina alla luce della responsabilità internazionale (e poi personale), considerata non al livello delle pur interessanti questioni geopolitiche, ma riportandola al suo cuore ultimo, là dove si tratta dell’accoglienza autentica e dove l’altro, con la sua presenza concreta, non può più essere occasione per uno sfoggio di generosità esteriore, ma costringe a una mobilitazione autentica, faticosa e continuativa; e qui vale la pena di sottolineare come il libro ricordi un fenomeno che è diventato imponente nella sua generalità: «Un’ondata di mobilitazione sociale senza precedenti e l’emergere di un nuovo tipo di attivismo sociale e di una nuova qualità della società civile».

Decisamente significativo in questo senso è anche il permanere di una resistenza della società civile, si manifesti questa resistenza in uno Stato come la Moldova, letteralmente sotto attacco, o come la Russia, troppo spesso raffigurata come appiattita sulle posizioni putiniane e qui presentata invece nella sua multiformità; in questo senso, se il tentativo delle autorità è sicuramente quello di usare «la guerra come scusa per schiacciare il dissenso e “ripulire” completamente la società civile», non meno certo è il fatto che fenomeni di opposizione come quelli di Naval’nyj (e di tanti altri testimoni e vittime meno conosciute) dimostrano anche l’impossibilità di realizzare fino in fondo «il modello di Putin (…) di una società civile dominata dallo Stato e al servizio degli interessi della nazione russa».

Adriano Dell’Asta

È docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica. Accademico della Classe di Slavistica della Biblioteca Ambrosiana, è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana.

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