5 Dicembre 2024

La Russia perduta di Elena Kostjučenko

Redazione

Nell’affetto per la «mia Russia» si intrecciano lo strazio e l’orrore per un «paese perduto».

La Russia perduta

La copertina del libro.

Una Russia sfaccettata e complessa, lontana dai centri urbani più importanti o dalle vicende politiche più note, è la Russia che Elena Kostjučenko, autrice de La mia Russia. Storie da un Paese perduto, racconta nel volume edito da Einaudi nel 2023. Questa giornalista, nata a Jaroslavl’ e trasferitasi da giovane a Mosca per studiare alla facoltà di giornalismo e lavorare alla Novaja Gazeta, affronta questioni scottanti, per certi versi estreme. E lo fa con lucidità e disincanto, introducendo il lettore a vicende altrimenti marginali o impossibili da conoscere.

Storie di un paese perduto, appunto. Perduto perché lontano, perché Mosca non è la Russia come Kostjučenko intitola uno dei suoi reportage, ma anche perché le storie, i dialoghi che riporta senza censure o filtri restituiscono uno spaccato umano a volte degradato e sofferente.

Elena Kostjučenko fa giornalismo sul campo, il che significa, ad esempio, che trascorre alcune notti con le prostitute ai lati di un’autostrada; visita le regioni del nord abitate dagli Nganasan, una popolazione che vive di caccia ma che sta scomparendo, falcidiata da suicidi e alcol; vive due settimane in una clinica psichiatrica; incontra «la vita ai lati del Sapsan», il treno ad alta velocità che collega in pochissimo tempo Mosca a San Pietroburgo, ma che taglia fuori dal progresso molti villaggi situati ai lati dei binari; passa alcune settimane in mezzo alla corruzione di una stazione di polizia. Sono luoghi, spiega Kostjučenko, dove lo Stato non esiste, perché la Russia è un enorme paese e ci sono territori vastissimi che Mosca non raggiunge. Nelle pagine di Kostjučenko, in effetti, anche il potere rimane sullo sfondo, lontano.

La mia Russia. Storie da un Paese perduto è un libro per chi vuole addentrarsi nella vita e nelle angosce di una parte della Russia tutt’altro che irrilevante. Un libro che documenta vicende scomode a più livelli; denuncia ingiustizie sociali, crimini statali o ambientali e lo fa grazie alla concretezza di storie personali.

In realtà, è un tessuto umano che si racconta da sé, perché l’autrice fa parlare i personaggi attraverso moltissimi dialoghi annotati con empatia, fedeltà e dovizia di dettagli, talvolta al limite della durezza. La grande capacità narrativa di Kostjučenko rende vive e pulsanti le sue pagine, e alcuni passi del libro si leggono a fatica perché spingono il lettore dentro situazioni feroci di desolazione, solitudine, ingiustizia. Come, ad esempio, il racconto di una delle prostitute che Kostjučenko incontra: «Mentre li scopo mi faccio i calcoli in testa – Penso a come dividere i cinquecento rubli. Un tot per il pacco da mandare a mio padre in prigione, un tot per mia madre che è in ospedale con l’ictus, un tot per la casa, un tot per i vestiti. Ho un fratello piccolo… la matematica fa passare prima il tempo. Mantengo io tutta la famiglia. L’unica gioia è che sono sterile. Non posso avere figli. Che vuol dire che non dovrò mai farmi carico anche di loro».

Una parte significativa del volume è dedicata all’amore e all’essere donna in Russia, ai tentativi di violenza di cui l’autrice, come molte donne russe, è stata vittima, alle lotte LGBT di cui è attivista, alle aggressioni e ai fermi nelle stazioni di polizia di cui è stata oggetto.

Sono tutte esperienze raccolte in più di vent’anni di attività giornalistica: il punto di arrivo è la guerra in Ucraina, quello di partenza è la redazione della Novaja Gazeta. Elena ci arriva a sedici anni nel 2006 dopo aver letto i reportage di Anna Politkovskaja sulla guerra in Cecenia. Capisce che fino ad allora non aveva saputo veramente niente di ciò che accadeva nel suo paese. Di lì a poche settimane Politkovskaja verrà assassinata e alla giovane Elena rimarrà il rimorso di non averle mai confidato la sua gratitudine.
«Il 7 ottobre 2006 (…) avrebbero ammazzato Anna Politkovskaja – ricorda Kostjučenko. – Sparandole nell’ascensore di casa sua. Cinque colpi. È stato grazie ai suoi articoli che sono finita nel mondo del giornalismo. Era il mio idolo indiscusso. Il mio ufficio era a una porta di distanza dal suo. Ogni tanto le lasciavo qualche mela sulla scrivania, ma non avevo mai scambiato una parola con lei. Sono ancora piccola e stupida, pensavo. C’è tutto il tempo per parlarle, pensavo. Il fatto che fosse mortale non era contemplato. Quando la uccisero, passai ore e ore a contrattare con la morte. Se prendono subito subito il suo assassino, mi dicevo, lei risorge? E se prometto di dirle quello che avrei sempre voluto dirle ma avevo troppa paura di cavarmi di bocca – e cioè che ha cambiato la mia vita e le vite di tanti altri, e quanto le sono debitrice – la fai risorgere? Non è successo. Il dolore mi torturava, mi bruciava dentro, era feroce. Poi di colpo è diventato odio. Un odio gelido, di ghiaccio».

Quello di Elena Kostjučenko è anche un giornalismo d’inchiesta che talvolta denuncia situazioni occultate o insabbiate, come le conseguenze di uno sversamento di tonnellate di gasolio in un lago della tundra vicino a Noril’sk, sede del più importante impianto metallurgico della Russia. O le giornate di una gang di ragazzi che abita l’edificio dismesso dell’ex ospedale di Chrovino a nord di Mosca tra droga, violenza e abusi sessuali.

Elena Kostjučenko ospite del canale YouTube “Vdud'” a cura del giornalista Jurij Dud’. (YouTube)

Nonostante la durezza delle sue pagine, paradossalmente il titolo originale del libro è I love Russia. E amare la Russia per Elena Kostjučenko significa documentare come stanno veramente le cose. I tredici reportage raccolti nel libro, oltre a essere particolarmente significativi per la storia recente della Russia, sono introdotti da racconti di carattere autobiografico e intimo.

Tutto il libro di Kostjučenko mostra un legame indissolubile tra la storia del suo paese e la sua storia personale, un legame che si coglie in modo tutto particolare nelle pagine dedicate alla guerra. O meglio, alle guerre. L’autrice passa infatti in rassegna tutti i momenti in cui la guerra ha fatto capolino nella sua vita. Scrive ad esempio: «Ho diciassette anni, studio alla facoltà di giornalismo e sono al Torneo di diritto internazionale. Partecipano le squadre di diverse facoltà di giornalismo. La squadra della Cecenia è composta da due ragazze belle e serie, Asja e Malika. Mi avvicino a loro a torneo finito e le invito da me. Andiamo allo studentato, metto su il tè. Ho molta voglia di piacergli. Dico: vi porto a vedere Mosca? E in quel momento, fuori dalla finestra, neanche a farlo apposta, scoppiano dei fuochi d’artificio. I fuochi! Guardate! Da noi ci sono spesso, dico godendomeli. Nessuna risposta. Mi giro, sono sparite. Dove sono? Sotto il tavolo».

Nei suoi reportage Kostjučenko si occupa di diritti umani, monitora la guerra nel Donbas seguendo, ad esempio, la vicenda delle salme dei soldati russi partiti volontari per l’Ucraina e rimpatriati clandestinamente, perché non si venisse a sapere che contingenti militari russi si trovavano in territorio ucraino. Si reca a Beslan in occasione del dodicesimo anniversario della tragedia e documenta l’assurdo arresto delle madri che protestano per la morte dei loro figli.

Fino allo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022: «Perché non dormi? Stanno bombardando Kyiv. Cosa? Stanno bombardando Kyiv e tutte le maggiori città ucraine. Noi le stiamo bombardando? Sì. Dormo altre due ore. Mi costringo a dormire. Mi vesto, vado in redazione. Mi chiedono se sono pronta. Certo che sono pronta.

A dire il vero è impossibile essere pronti all’idea che i fascisti siamo noi. Non c’è modo.»

La mia Russia. Storie da un Paese perduto non parla di eroi, ma di persone comuni. Fra tutti i volti di cui il libro racconta emergono però con forza i tratti di chi ha pagato la verità con la vita. Primi fra tutti i volti dei colleghi giornalisti di Novaja Gazeta di cui i muri della redazione conservano i ritratti: «Le fotografie di Igor’ Domnikov, Jurij Ščekočikin, Anna Politkovskaja, Stanislav Markelov, Anastasija Baburova e Natal’ja Estemirova sono appese sopra il tavolo che usiamo per le riunioni di pianificazione e per quelle più operative. Ogni volta cerchiamo di appendere l’ennesima foto in modo che non rimanga altro spazio sul muro. Quando non hai modo di difendere te stesso e i tuoi, diventi superstizioso. Ma poi c’è sempre un nuovo omicidio, e i volti in bianco e nero devono stringersi. Il posto per il nuovo arrivato si trova sempre».

Oggi Elena Kostjučenko collabora con la redazione online di Meduza. Dopo la chiusura di Novaja Gazeta si è trasferita in Germania, dove è stata vittima di un «presunto avvelenamento».

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