1 Aprile 2023
In Russia l’arte parla della vita. L’almanacco «Dary».
Un almanacco che parla di architettura, icone, scultura in modo aderente alla vita e al suo dramma. È uscito il settimo numero di «Dary».
Il settimo numero dell’annuario «Dary» (Doni), pubblicato ormai da vari anni da Sergej Čapnin e Irina Jazykova, e ideato come espressione di «Artos», un sodalizio di artisti impegnati in varie sfere dell’arte sacra, ha dovuto rinunciare all’edizione cartacea.
Ma non solo. Negli ultimi mesi il conflitto con l’Ucraina ha sparigliato le carte, diviso anche fisicamente, geograficamente il collettivo, ha costretto ciascuno a prendere posizione, a esplicitare scelte che fino a qualche tempo fa potevano mantenere una certa ambiguità. Come si legge nell’editoriale: «Distruzioni, sofferenze e la morte stessa sono state giustificate anche da persone che fino a ieri costruivano e decoravano chiese, e commissionavano agli iconografi immagini sacre… Una falsa retorica, anche religiosa, ha contagiato e avvelenato moltissimi». Ne è un emblema il «santuario delle Forze armate», costruito nel 2020 in provincia di Mosca, che, come fa notare ancora l’editoriale, «ha sviluppato un nefasto spirito militarista sulla base di progetti solo formalmente cristiani, mentre per contenuto parlavano di violenza, di nemici, e inneggiavano alla vittoria a qualunque prezzo… Partecipi volontari o involontari ne sono diventati architetti, scultori e iconografi».
Gli articoli di questo numero erano già stati programmati e commissionati da tempo, perciò gli editori – come segnalano nel testo introduttivo – si riservano di dedicare ai temi della guerra il prossimo numero, sottolineando però la tragicità della situazione attuale in copertina, attraverso la raffigurazione di una croce e la preghiera di san Silvano del monte Athos:
«Signore, dona la tua pace agli uomini che sono tuoi. Signore, dona ai tuoi servi il tuo santo Spirito, affinché riscaldi i cuori con il tuo amore e li ammaestri in ogni verità e bene… Riscalda i cuori afflitti degli uomini, affinché con letizia ti rendano gloria, dimenticando le afflizioni terrene… Concedi a tutti i popoli della terra, che sono tuoi, di intendere il tuo amore e la dolcezza dello Spirito Santo. Possano gli uomini dimenticare il dolore della terra, lasciare tutto ciò che è male e aderire a Te con amore, e vivere in pace, facendo la tua volontà a gloria del tuo nome. Amen».
Come è ormai tradizione, una prima parte della pubblicazione è dedicata a riflessioni teologico-filosofiche sull’arte: un lungo articolo sulla concezione artistica di Paul Tillich; un raffronto tra la visione dello «spirituale» in padre Sergij Bulgakov e in Vasilij Kandinskij; un’analisi dell’«ortodossia kieviana» che, ancorché scritta nel 2021, prima dello scoppio del conflitto (e quindi ben lontana dalla situazione attuale), ha il merito di fissare una lunga storia e tradizione, che ora sembra essere stata spazzata via nell’arco di pochi mesi, ma le cui profonde radici non potranno non influire sugli sviluppi futuri.
Seguono poi alcune esperienze artistiche particolarmente interessanti (e talvolta dibattute): quella dell’artista bielorusso Viktor Dovnar, che ha seguito un interessante percorso formativo da disegnatore di fumetti a iconografo, e che insieme alla sua famiglia ha costituito una vera e propria bottega, Ikonique, che ha realizzato numerose opere monumentali, tra cui nel 2020 le pitture che decorano la chiesa della Protezione della Vergine a Melide (Canton Ticino); una riflessione sul tema della luce nella concezione pittorica dell’iconografo polacco Jerzy Nowosielski, ormai entrato a far parte dei «classici» del nostro tempo: in particolare, sul rapporto tra luce e architettura, sulle sue caratteristiche di bagliore, irradiazione e trasparenza, elementi teologicamente fondanti la concezione dell’icona.
Interessante l’esperimento delle «icone di scampoli» realizzate da Maria Vukosavlevič, un’artista serba che ha maturato questa scelta attraverso una lunga esperienza (circa sei anni) in un monastero ortodosso. La serie delle «Donne sante» realizzata in una tecnica mista (ricamo e applicazioni di tessuto), è nata, anzi le è «stata donata», come dice l’artista, quasi per caso, indubbiamente dentro la tradizione iconica ma anche con una grande libertà:
«Gioco con gli scampoli come giocavo nell’infanzia a vestire le bambole. Come allora mi sentivo in compagnia delle bambole, ora mi sento in compagnia delle sante, a cui desidero avvicinarmi attraverso la vita di preghiera, la liturgia e la creatività che mi è stata donata. Desidero vivere in loro compagnia, in questa vita come in quella futura, perché siano mie amiche, se così si può dire. Grazie a Dio l’icona non è solo un fatto estetico (colori, forme)… L’icona è fatta di un qualcosa di cui a volte non abbiamo neppure coscienza e che non dipende da noi».
Di fatto, la sua mostra, destinata inizialmente – per espressa volontà dell’artista – a gallerie d’arte civili, ha raggiunto una certa notorietà nel paese anche negli ambienti ecclesiastici, generalmente diffidenti nei confronti delle «innovazioni». Un percorso, sottolinea Maria Vukosavlevič, non programmato da lei, ma ancora una volta dettato dalle opere stesse, dalla loro «vocazione»:
«Per qualcuno devono diventare un incentivo alla preghiera, per altri forse è sufficiente avvertire la presenza dei santi. Ho donato alcune mie opere a persone che magari non sentono l’esigenza di avere un’icona vera e propria… Ma potrebbe venire il momento in cui percepiranno nella loro vita la presenza del santo raffigurato sulla mia tela».
Troviamo, infine, un dibattito su prospettive e modalità espressive dell’iconografia contemporanea, a partire dal caso delle pitture realizzate da Dmitri Margolin (villaggio Roždestvo, in provincia di Pskov, pp. 98-114), rifiutate alla conclusione dei lavori dal parroco e dalla comunità. La motivazione del committente ha un certo peso: le pitture, così realizzate, non aiuterebbero a pregare ma, al contrario, «opprimerebbero» il fedele. Non è stata trovata una soluzione, ma ragioni e obiezioni di entrambe le parti sono state espresse nel corso di una tavola rotonda, riportata sull’annuario.
La terza parte dell’almanacco è dedicata a problematiche attinenti la vita della Chiesa, della cultura e della società: tra i materiali, alcuni progetti di illustrazione tradizionale e non della Bibbia; una rivisitazione di «Jesus Christ Superstar» a cinquant’anni dal suo apparire; l’esposizione degli affreschi di suor Ioanna Rejtlinger nel Museo del centro moscovita «Russia all’estero».
Infine, alcuni articoli in memoriam, tra cui un saggio di Yves Hamant dedicato alla figura di padre Aleksandr Men’, a trent’anni dalla morte; un ricordo di Michail Abramov (1963-2019), grande mecenate tragicamente scomparso a cui si deve l’istituzione dell’innovativo «Museo dell’icona russa». Questi anni hanno visto anche la morte di due iconografi, ricordati nelle pagine dell’annuario: il monaco Alipij (Oborotov, 1960-2021), allievo di padre Zinon, vissuto per anni nel monastero di Mirož a Pskov e poi nel monastero di Valaam; Evgenija Koleznikova (1988-2021), giovanissima artista e iconografa moscovita, piena di passione per la sperimentazione e l’incontro con l’invisibile nella profondità delle cose.
Giovanna Parravicini
Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
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