26 Febbraio 2025
Stephan Lipke: una vocazione nata dalla gratitudine
Il 2 febbraio scorso nella cattedrale della Trasfigurazione di Novosibirsk è stato consacrato vescovo il gesuita tedesco Stephan Lipke, nominato il 12 settembre vescovo ausiliare della medesima diocesi.
Nel corso del suo ministero sacerdotale, padre Stephan ha lavorato a Mosca negli ultimi sei anni, dopo aver iniziato la «missione russa» nel 2011 in Siberia – a Novosibirsk e successivamente a Tomsk – poi, dal 2020 è stato segretario della Conferenza dei vescovi cattolici della Russia; lo si incontrava ogni domenica nella chiesa di San Luigi, dove celebrava in inglese per la folta comunità filippina, a cui si mescolano studenti africani e diplomatici di vari paesi, oltre naturalmente ai cittadini britannici.
Così è diventato rapidamente un punto di riferimento non solo per la comunità cattolica ma anche per la società civile e il mondo ortodosso, con cui ha saputo creare dei ponti sia personalmente, attraverso i suoi interessi letterari, sia attraverso l’attività culturale sviluppata dall’Istituto San Tommaso, di cui è stato rettore dal 2018.

(sib-catholic.ru)
In questo, indubbiamente il nuovo vescovo ha seguito fin dagli inizi il carisma della Compagnia di Gesù e in particolare la linea della vecchia generazione di gesuiti formati dal Russicum (si pensi in particolare al Foyer St. George di Meudon), entrando nel vivo della cultura russa e svolgendo il suo ministero in costante dialogo con essa.
Padre Stephan ha conseguito il dottorato in filologia all’Università statale di Tomsk, scegliendo come tema «L’antropologia della prosa di Anton Čechov»; non sorprende che, con questa formazione, fosse conteso fra i centri culturali moscoviti interessati alla problematica religiosa, dove lo si poteva ascoltare sui temi più disparati, dalla lettura alla luce del cristianesimo di autori «laici» come Čechov o Turgenev, alla rievocazione dei martiri del XX secolo; dai rapporti storici tra Santa Sede e Unione Sovietica, al valore ecumenico dell’amicizia che diede origine, in pieno regime hitleriano, al movimento di resistenza della «Rosa bianca».
Ha scritto per varie riviste scientifiche russe, ha promosso attraverso l’editrice dell’Istituto San Tommaso importanti pubblicazioni in lingua russa e, dal febbraio 2021, ha curato l’edizione russa online della «Civiltà cattolica».
In un contesto ecclesiale ancor giovane e non sempre preparato a cogliere il valore del cammino sinodale, come quello della comunità cattolica in Russia, ha sottolineato più volte l’importanza del nuovo passo a cui papa Francesco chiama la Chiesa, a partire dalla constatazione della crescente secolarizzazione della società ma soprattutto dalla coscienza della missione di ogni battezzato. Così, in un’intervista al canale televisivo «Cana», nel novembre 2021 si interrogava:
«Che contributo può dare ciascuno di noi, affinché grazie alle nostre opere e parole il lieto annuncio giunga a tutti gli uomini, affinché la Chiesa continui ad essere una realtà viva?». E pur riconoscendo l’importanza di strutture e normative, richiamava alla presenza nei contesti di vita quotidiana, sollecitando la responsabilità personale: «Bisogna innanzitutto riflettere a che scopo esiste la Chiesa. Gesù Cristo, “luce delle genti”, l’ha fondata per radunare tutti gli uomini intorno a sé, recando loro il lieto annuncio che Dio è il nostro unico Signore. Per questo, l’unica domanda che dobbiamo porci è se, grazie agli sforzi della Chiesa, questo annuncio riesca a giungere a tutti, soprattutto ai piccoli, ai poveri e agli emarginati.
Per questo papa Francesco chiede se, nella nostra esperienza, nella Chiesa regni davvero la comunione, se essa stessa sia una comunità. E chiede anche se tutti (o almeno, molti) prendano parte attiva alla sua vita. Infine, chiede se ci sentiamo inviati alle persone intorno a noi, se ci sentiamo in qualche modo “missionari” dell’amore di Dio là dove lavoriamo, trascorriamo il tempo libero, sui social ecc. Testimoniamo questo amore attraverso il nostro agire e il nostro parlare?».

La comunità cattolica di Novosibirsk riunita per la consacrazione del vescovo. (Kana)
Insieme alla «gratitudine» che accompagna necessariamente il processo sinodale, nella misura in cui si prende coscienza dei doni ricevuti da Dio – continuava padre Stephan – un sincero «fervore missionario» si accompagna alla coscienza del proprio peccato, dell’«umana pochezza», la quale si manifesta, solo per fare qualche esempio, «nel “monopolio” del clero nella Chiesa, come pure nella passività dei laici»; nel fatto che spesso
«si è certi di possedere la retta dottrina, ma non si è capaci di entrare in rapporto con le persone, oppure si sa stare con le persone, ma non ci si preoccupa di approfondire i propri contenuti di fede»;
in «frustrazione, stanchezza, solitudine», che spingono alcuni «sacerdoti addirittura all’alcolismo, non perché siano cattiva gente ma perché non sono preparati a svolgere il ministero in condizioni tanto difficili, e non c’è nessuno che parli loro, per confortarli, sostenerli o correggerli».
Da questo umile e coraggioso riconoscimento, sulle orme del metodo suggerito da sant’Ignazio di Loyola, padre Stephan passava alla certezza che proprio questo è il «momento favorevole, il giorno della salvezza» (cfr. 2Cor 6,2), e in virtù dell’amore di Cristo, morto per noi, esortava a prendere coscienza che non siamo oggetti, «pedine», ma esseri «preziosi agli occhi di Dio», «pietre vive» della vita ecclesiale. Un processo «doloroso», concludeva padre Stephan, quello sinodale, perché implica la conversione personale, ma «proprio per questo ricco di grazia».
Dal buio alla luce
Un percorso di morte e resurrezione che è stato anche all’origine della «vocazione russa» di padre Stephan. Nell’ottobre 2008 a Mosca vennero barbaramente uccisi nel loro appartamento due sacerdoti gesuiti, Victor Betancourt e Otto Messmer: una pagina buia nella vita della piccola comunità locale, che disorientò e gettò nello sgomento molti fedeli.
Tutt’altra la reazione che l’episodio suscitò in Lipke, che a quel tempo stava facendo il noviziato come gesuita in Germania: venuto a sapere della tragedia si sentì chiamato a prendere il posto di questi suoi confratelli (come ha ricordato in una recente intervista all’agenzia blagovest-info): «Ho pensato che qualcuno doveva pur offrirsi volontario al loro posto, e comunicai la mia disponibilità». La risposta dei superiori fu cauta e realistica: bisognava studiare la lingua e aspettare tre anni per capire se questa era davvero la strada tracciatagli dal Signore. Così, il 1° settembre 2011 padre Stephan partiva alla volta di Novosibirsk.
Nato a Essen nel 1975 in una famiglia cattolica praticante, la vocazione di padre Stephan nasce, fin dall’adolescenza, dalla gratitudine: «Sui 14 anni si è fatta strada in me la percezione di aver ricevuto molto da Dio attraverso la Chiesa, e di voler in qualche modo rendergli grazie. Sentivo profondamente la gratitudine a Dio per il bene ricevuto, per la Sua presenza nella mia vita. E mi sembrava che la mia strada fosse quella di esprimere questa gratitudine nel sacerdozio».
Ordinato sacerdote diocesano nel 2002, inizia il noviziato nella Compagnia di Gesù a trent’anni, e pronuncia i voti solenni quando è già nella missione moscovita, il 18 maggio 2019.

Il vescovo con la madre, il padre e una zia. (Kana)
Alla consacrazione del nuovo vescovo titolare di Arena, che ha scelto come motto la frase paolina Obsecramus pro Christo («Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo», 2Cor 5,20), presieduta dall’ordinario diocesano Joseph Werth, hanno presenziato tutti i vescovi della Federazione russa, insieme al nunzio apostolico, a due vescovi del Kazachstan Tomasz Peta ed Evgenij Zinkovskij, e ad Antuan Ilgit, vescovo ausiliare dell’Anatolia.
Una festa per la comunità cattolica locale, e una festa anche per monsignor Stephan, che a questa Chiesa in Siberia, come ha detto subito dopo la consacrazione episcopale, si sente legato dall’anello che porta al dito come uno sposo alla sua sposa.
Una Chiesa che ben conosce, per gli anni di ministero e di studio che vi ha trascorso; una Chiesa formata da minuscole comunità disperse su un vastissimo territorio, i cui fedeli sono in buona parte i discendenti dei deportati staliniani – russi, tedeschi del Volga, bielorussi e ucraini: non è un caso che proprio in questa diocesi vi siano le più grandi comunità greco-cattoliche della Federazione russa, di cui monsignor Werth è l’ordinario.
Come ha detto ancora monsignor Stephan: «Oggi nella Siberia occidentale, territorio della nostra diocesi, esistono all’incirca 25 località in cui risiede stabilmente un sacerdote. Ma vi sono anche molti luoghi dove i sacerdoti si recano di tanto in tanto. Esistono anche circa 25 comunità religiose femminili – non le definirei conventi, perché sono comunità molto piccole, di tre-quattro-cinque suore. A Novosibirsk, sulla riva sinistra dell’Ob’, esiste una comunità francescana maschile, e a Tomsk una comunità di gesuiti. Sono comunità sparute, ma svolgono un servizio molto attivo, noi le chiamiamo “apostoliche”».
«Credo che la prima cosa, la più importante, sia testimoniare al mondo che l’amore di Dio è reale e concreto, che non opprime l’uomo, che non conosce l’indifferenza
– ha sottolineato infine. – Questo amore è profondissimo e Dio, per esprimerci in termini umani, comprende bene che cosa c’è nel cuore dell’uomo, e non lo abbandona mai. Credo che questo sia il messaggio essenziale che possono testimoniare non solo ortodossi e cattolici, ma tutti i cristiani, insieme. E io vorrei che potessimo esprimerlo in termini concreti, creando ponti tra persone di vedute diverse, tra le Chiese che pure hanno alle spalle tradizioni diverse».
(Immagine d’apertura: Sibirskaja katoličeskaja gazeta, sib-catholic.ru)
Giovanna Parravicini
Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
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