11 Febbraio 2016

VERSO CUBA: «Uno deve vegliare, uno deve essere presente»

Redazione

Lettera di una giornalista cattolica russa a un portale ortodosso.

Mi chiamo Margarita, sono cattolica.
Per cercare di scrivere qualche riga sull’incontro di Cuba e su quello che sto provando io, semplice parrocchiana della cattedrale dell’Immacolata Concezione, qui a Mosca, ho indossato persino una maglietta con l’immagine di papa Francesco. Ieri ho letto centinaia di commenti alla notizia dell’incontro e per tutta la notte sono rimasta incollata allo schermo baluginante, timorosa di scrivere una sola sillaba. Mi immaginavo già le risposte al mio testo.
Continuo a meravigliarmi di come le differenze d’opinione e di fede siano capaci di dividere le persone e trasformarle in avversari se non addirittura in nemici. Invece noi, cattolici e ortodossi, siamo fondamentalmente fratelli in Cristo. Le nostre Chiese si trovano nella piena comunione evangelica, riconoscono reciprocamente i sacramenti. E questo significa molto, moltissimo.
Su internet scrivono: «uniati!», «eretici!» e tante altre parole che non sta bene riferire in pubblico. Oltraggiano il patriarca per aver deciso di incontrare il papa.
Sapete, per una cattolica qualunque come me, di quelle che siedono sulle panche della cattedrale di domenica ad ascoltare le omelie, l’impressione è che anno dopo anno i sacerdoti abbiano sottolineato una cosa sola: che gli ortodossi sono nostri fratelli, sono i più vicini nella fede (…).
Spesso ho a che fare con persone lontane dalla fede che vengono per la prima volta nella nostra chiesa e alle quali la messa piace (fondamentalmente perché è breve ed è in russo, suppongo!). Quando cominciano a dire: «Ah, dagli ortodossi invece…», io tronco sempre simili discorsi sul nascere (…).
Io ero contenta come un bimbo quando ho saputo dell’incontro all’Avana, volevo mettermi a gridare e saltare di gioia fino a toccare il soffitto come se mi avessero detto, a me adulta, che Babbo Natale esisteva davvero. Cosa?! Non avrei mai pensato di vivere fino a questo giorno…

So che il papa e il patriarca parleranno di ciò che preoccupa anche me da almeno un anno: parleranno delle persecuzioni contro i cristiani. Contro i cristiani, capite? Non contro i cattolici, o gli ortodossi: no, no, contro i cristiani nel complesso. Dobbiamo sostenerci reciprocamente, specialmente ora quando le persecuzioni non sono più un episodio dei libri di storia, qualcosa che risale ai tempi di Diocleziano e che non c’entra in fondo con noi. Invece oggi sono diventate realtà quotidiana, il mondo è cambiato.

Ed ecco finalmente l’incontro! Ai massimi livelli. Mi dà quella speranza di cui scriveva Kafka nel breve racconto Di notte, che è una specie di parafrasi evangelica dell’arrivo dello Sposo: «Sprofondato nella notte. Essere sprofondato nella notte come talvolta si abbassa la testa per riflettere. Gli uomini intorno dormono. Una piccola commedia, una innocente illusione che dormano nelle case, nei letti solidi, sotto un tetto solido, stesi o rannicchiati su materassi entro lenzuola, sotto coperte; in realtà si sono trovati insieme, come a suo tempo e come più tardi in una regione deserta, accampati all’aperto, un numero incalcolabile d’uomini, un esercito, un popolo sulla terra fredda, sotto un cielo freddo, coricati dove prima erano in piedi, la fronte contro il braccio, il viso contro il suolo, col respiro calmo.
E tu sei sveglio, sei uno dei custodi, trovi il prossimo agitando il legno acceso nel mucchio di stipe accanto a te.
Perché vegli? Uno deve vegliare, dicono. Uno deve essere presente».

Fonte: pravmir.ru

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