27 Luglio 2018
Uniti già nel cammino e nella conversione – 2
A Ginevra papa Francesco rilancia il cammino verso l’unità come modo di unire vocazione e missione, amore per il mondo e per Cristo. No a un ecumenismo che sia solo «strategia mondana». Seconda parte.
Il 21 giugno 2018 papa Francesco si è recato in «pellegrinaggio ecumenico» a Ginevra, in Svizzera, presso la sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC ), una istituzione fondata nel 1948 con lo scopo di promuovere il dialogo e l’unità tra i Cristiani. I due discorsi da lui pronunciati per l’occasione – il primo durante un incontro ecumenico di preghiera, il secondo durante un incontro con la leadership del CEC – ci offrono una sintesi interessante di ciò che il Pontefice pensa e insegna riguardo al cammino verso l’unità, e su quali siano gli atteggiamenti di fondo cui invita tutti i credenti in Cristo, ma che rivestono un valore tutto particolare per i cattolici.
L’invocazione per un cammino che sia rinvigorito dallo Spirito si unisce, nelle frasi finali del discorso mattutino di papa Franceso, al ricordo dei settant’anni del CEC, a causa dei quali è inevitabile che si possa sentire anche qualche stanchezza. Proprio alla simbologia biblica del numero settanta, papa Francesco si affida nell’iniziare il secondo discorso della giornata, tenuto nel pomeriggio davanti alla dirigenza del Consiglio Ecumenico delle Chiese.
«Cari fratelli e sorelle, sono lieto di incontrarvi e vi ringrazio per la vostra premurosa accoglienza. In particolare, sono grato al Segretario generale, reverendo dr. Olav Fykse Tveit, e alla moderatrice, dr.ssa Agnes Abuom, per le loro parole e per avermi invitato in occasione del 70° anniversario dell’istituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Biblicamente, settant’anni evocano un periodo di tempo compiuto, segno di benedizione divina. Ma settanta è anche un numero che fa affiorare alla mente due celebri passi evangelici. Nel primo, il Signore ci ha comandato di perdonarci non fino a sette, ma “fino a settanta volte sette” (Mt 18,22). Il numero non indica certo un termine quantitativo, ma apre un orizzonte qualitativo: non misura la giustizia, ma spalanca il metro di una carità smisurata, capace di perdonare senza limiti. È questa carità che, dopo secoli di contrasti, ci permette di stare insieme, come fratelli e sorelle riconciliati e grati a Dio nostro Padre.
Se siamo qui è anche grazie a quanti ci hanno preceduto nel cammino, scegliendo la via del perdono e spendendosi per rispondere alla volontà del Signore: che “tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21). Spinti dall’accorato desiderio di Gesù, non si sono lasciati imbrigliare dagli intricati nodi delle controversie, ma hanno trovato l’audacia di guardare oltre e di credere nell’unità, superando gli steccati dei sospetti e della paura. È vero quanto affermava un antico padre nella fede: “Se davvero l’amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l’unità” (S. Gregorio di Nissa, Omelia 15 sul Cantico dei Cantici). Siamo i beneficiari della fede, della carità e della speranza di tanti che, con l’inerme forza del Vangelo, hanno avuto il coraggio di invertire la direzione della storia, quella storia che ci aveva portato a diffidare gli uni degli altri e ad estraniarci reciprocamente, assecondando la diabolica spirale di continue frammentazioni. Grazie allo Spirito Santo, ispiratore e guida dell’ecumenismo, la direzione è cambiata e una via tanto nuova quanto antica è stata indelebilmente tracciata: la via della comunione riconciliata, verso la manifestazione visibile di quella fraternità che già unisce i credenti».
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Francesco Braschi
Sacerdote, dottore in Teologia e Scienze Patristiche, dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano e direttore della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana. È consultore della Congregazione del Rito ambrosiano e docente a contratto di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
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