24 Dicembre 2025
Il Natale è un evento cosmico
Se Cristo si fa uomo il cielo non è vuoto, né l’uomo impotente, né la storia assurda. Una conversazione di padre Šmeman.
Il Natale è stato fin dall’inizio una festa cosmica, che possiede cioè un significato non solo per ciascuno di noi, ma per il mondo intero.
A differenza di tante altre religioni, antiche e moderne, il cristianesimo è irriducibile all’elemento privato, individuale, a me e al mio interesse (sia pur elevato, «religioso»), alla mia singola vita. Molte religioni si limitano a questo, come se dicessero all’uomo: «Cerca di raggiungere la perfezione, preoccupati della tua anima, goditi le tue emozioni religiose. Che ti importa di quello che succede nel mondo, che ti importa della sua storia, degli altri, di tutto quello che va sotto la definizione di “problemi”? Non preoccuparti, dunque, delle faccende terrene, vivi il cielo, non ti occorre nient’altro».
Ma se tale fosse il richiamo che il cristianesimo fa all’uomo, sarebbe totalmente incomprensibile, inspiegabile – e in fondo inutile – ciò che costituisce per l’appunto l’essenza della festa del Natale di Cristo, tutta la sua profondità, letizia e, direi, assoluta unicità.
L’essenza di questa festa consiste nel fatto che il cielo si è avvicinato alla terra, e non per svalutare la terra, per strapparci ad essa come se fosse qualcosa di inutile o addirittura negativo e dannoso per sua essenza, ma per svelarci il senso autentico della terra e di ciò che è terreno, per illuminarlo – come canta un inno natalizio – con il «Sole di giustizia», e comprenderne il significato attraverso la «luce della ragione»1.
Parlando del senso cosmico del Natale, mi riferisco al fatto che in greco questo termine, kosmos, indica il mondo come unità integrale e come riflesso della bellezza suprema, del senso supremo, del bene supremo; un mondo non più inteso cioè come caos, come disordinata interazione di forze materiali impersonali, ma come il dispiegarsi del disegno originario di Dio.
Portatore di questo senso, di questa bellezza, di questo bene è l’uomo. A lui, uomo, il mondo è dato, donato da Dio. E poiché l’uomo è stato creato libero, ha la libertà di usare questo dono a fin di bene o di male. L’uomo può trasformare la natura in cibo, in gioia e in vita. Ma può trasformare questa stessa natura anche in morte, sofferenza e orrore. Ebbene, dice la fede cristiana, nella sua superbia ed egoismo l’uomo ha trasformato il mondo della luce e della vita in un mondo di tenebre e di morte. Il mondo è divenuto caos, sofferenza, agonia. Per questo, per salvare quanto aveva creato,
per restaurare il mondo nella sua primigenia bellezza, per riportarlo a ciò che era secondo il disegno originario, viene al mondo Cristo, il Figlio di Dio, il Figlio dell’Uomo – il Dio che si dona interamente all’uomo e l’Uomo che si lascia interamente colmare dalla Vita divina.
Tutta la festa del Natale attesta e proclama la dimensione cosmica di questo avvenimento. Nel linguaggio delle figure e dei simboli il Vangelo mostra come vi partecipi il mondo intero – l’uomo e la natura, la materia e la ragione, il tempo e lo spazio – tutto ciò che intendiamo con la parola «mondo»: vi si narra del cielo notturno e della misteriosa stella che appare sopra la grotta di Betlemme, della mangiatoia, dei sapienti che vengono da Oriente, dei pastori sopraggiunti dalla campagna. «Cielo e terra si rallegrano»2, dice un inno natalizio. Il cielo si stringe alla terra, la terra si protende verso il cielo. Il cielo scende e la terra lo accoglie, innalzandosi a sua volta. «Cristo discende dai cieli, andategli incontro, Cristo è sulla terra, elevatevi!»3. In questa sublime poesia religiosa, in questi simboli e figure si svela il contenuto più profondo, essenziale della fede cristiana, che ai nostri giorni è più che mai necessario comprendere.
Sono infatti proprio questo senso cosmico del cristianesimo, la sua pretesa di abbracciare tutto il mondo, l’universo intero, tutto l’esistente, ciò che più di ogni altra cosa rifiuta il potere del mondo, aborrisce la limitata sapienza mondana, disposti ad ammettere al massimo, con una certa riluttanza, il cristianesimo come religione «privata»: «Chiudetevi nelle vostre chiese, cantate le vostre antiche incomprensibili preghiere, ma solo a condizione che il vostro Dio, i vostri riti, la vostra fede non abbiano nulla a che fare, nessun rapporto, nessun legame con la vita come tale!».
Ma finché sulla terra si celebrerà il Natale di Cristo, non ci sarà modo di eliminare questo rapporto, questo nesso! È qui, infatti, tutto il senso, tutta la gioia di questa festa, è qui la radice della certezza che, senza riferimento a Dio, non esistono né il mondo né la vita stessa.
Il mondo senza il Natale è solo tenebre e assurdo, caos e sofferenza. Senza il Natale la natura è muta, il cielo è vuoto e la terra è morta, e noi viviamo in un immenso cimitero cosmico, affannandoci, discutendo e litigando in attesa del perpetuo silenzio della morte.
Solo il «racconto d’infanzia» di un Bambino nato in una terra lontana duemila anni fa è in grado di colmare di senso questo assurdo, di illuminare il buio, di trasformare in letizia sofferenza e dolore: perché ci narra – o per meglio dire ci rivela – che il cielo non è vuoto, né la terra insensata, che non è materia inerte la natura, né l’uomo è impotente e la storia assurda. Intorno alla grotta illuminata dalla stella, intorno al Bambino adagiato nella mangiatoia, intorno alla Madre e all’anziano padre, ai sapienti e ai pastori – intorno ad essi e in riferimento ad essi realmente il mondo si ricrea, trasformandosi in cosmo, come dice il poeta: «splendente del fulgor degli astri / e di bellezza primigenia»4.
Tutto riacquista significato, tutto ritrova il proprio posto: ragione, cuore, anima, tempo, spazio, notte, giorno, e tutta la vita, l’universo. Perché sorge su di essi il Sole di giustizia, e li illumina con la luce della ragione.
Questo Bambino non ha ancora detto nulla, ma al solo vederlo noi troviamo una «grande gioia», come in questa notte cantano gli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14).
(Questo brano è tratto dal volume I passi della fede, edito dalla Casa di Matriona)
(Immagine d’apertura: particolare dell’icona “Cristo è nato – rendetegli gloria!” di Ol’ga Šalamova, maestra della Scuola Iconografica di Seriate.
Aleksandr Šmeman
Padre Aleksandr Šmeman (1921-1983) è tra i più grandi teologi russi ortodossi del XX secolo. Emigrato in Francia insieme alla famiglia in seguito alla rivoluzione russa, trascorre a Parigi la giovinezza, nel 1946 viene ordinato sacerdote e nel 1951 si trasferisce a New York per insegnare al seminario teologico San Vladimir. Importanti nella sua formazione anche teologi cattolici come Jean Danielou, Louis Bouyer e altri ancora, sostenitori della necessità di un «ritorno alle fonti» e di un rinnovamento liturgico. È autore di numerosi saggi e volumi, fra i quali I passi della fede.