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6 Febbraio 2025
La Russia di oggi e la paura della memoria
Negli ultimi mesi in Russia sono aumentate le restrizioni per chi tiene viva la memoria delle repressioni sovietiche, come la chiusura del Museo della storia dei GULag e l’opposizione alle targhe di «Ultimo indirizzo». Ma se il governo non gradisce che si faccia memoria della storia, alcune persone non si arrendono e reagiscono nell’anonimato.
Alla Russia di oggi la memoria fa paura. Diversi sono gli eventi che testimoniano questa attitudine: l’evento più eclatante è certamente la chiusura dell’associazione Memorial, dichiarata agente straniero nel 2016 e chiusa definitivamente il 28 dicembre del 2021, oppure la scelta di un libro di testo unico per le lezioni di storia in tutti i livelli d’istruzione che presenta una vera e propria riscrittura della storia sovietica.
Negli ultimi mesi questa tendenza è proseguita e sono in particolare due gli eventi significativi: la sempre più diffusa rimozione delle targhe dell’«Ultimo indirizzo» e la chiusura del museo del GULag.
«L’ultimo indirizzo» è un’iniziativa promossa nel 2014 da Sergej Parchomenko, giornalista e commentatore televisivo vicino a Memorial, con lo scopo di ricordare le vittime delle repressioni staliniane. Similmente a quanto accade per le pietre d’inciampo, queste targhe vengono affisse sulla facciata dell’edificio dove le vittime delle purghe degli anni Trenta abitavano al momento dell’arresto e dove non hanno fatto più ritorno.

Due targhe a Mosca. (Memorial)
Perché si possano appendere, serve che chi ne fa richiesta – parenti, amici, ma talvolta anche perfetti sconosciuti – riceva il consenso unanime dei condomini del palazzo e l’assenso dei proprietari. Solo dopo che la domanda viene inoltrata, Memorial si occupa di accertare le informazioni e confermare l’affissione della targa, il cui costo è a carico del richiedente (4.000 rubli, oggi poco meno di 40 euro). Una vera e propria «iniziativa dal basso», che contribuisce a rendere più consapevoli i cittadini comuni della storia della propria famiglia, del luogo in cui abitano e, di conseguenza, del proprio paese.
La proposta era stata accolta con favore sin dagli inizi: secondo i dati della pagina del sito di Memorial dedicata a questa iniziativa a oggi le targhe presenti in Russia sono 1303. Se da un lato le richieste per affiggere le targhe non si sono mai fermate, dall’altro abbiamo già raccontato della diffidenza verso queste «targhette della discordia», tale per cui già a partire dal 2020 si sono verificati frequenti atti vandalici e numerose richieste di rimozione di questi piccoli monumenti in memoria delle repressioni da parte di inquilini e autorità locali.
Col tempo questi episodi sono aumentati, tanto che dopo l’inizio della guerra in Ucraina si è assistito a una asportazione «di massa» di queste targhe. Tuttavia, a partire dall’autunno 2023, si è registrato un fenomeno inedito: le targhe deturpate venivano ripulite, quelle strappate venivano sostituite con copie di cartone.

Qui qualcuno ha divelto le targhe, e qualcun altro le ha rimesse. (Moskvič Mag)
Questa attività di restauro, nata spontaneamente tra gli inquilini del palazzo da cui le targhe venivano strappate o da cittadini che si impegnavano a sostituirle, è diventata sempre più sistematica. Qualcuno è arrivato perfino a pubblicare delle linee guida su quali prodotti utilizzare per non rovinare il metallo e su come riprodurre nuove targhe di cartone in sostituzione. Queste informazioni sono state raccolte e diffuse dai volontari di Memorial sui loro canali di comunicazione, ma il desiderio che queste targhe non vadano perdute trascende i confini dell’associazione vincitrice del premio Nobel nel 2022.
Infatti, sono diverse le testimonianze di volontari che sono stati aiutati dagli inquilini del palazzo o da passanti casuali mentre ripulivano o sostituivano le targhe strappate. Tutte queste persone agiscono nell’anonimato, poiché un’azione di questo tipo potrebbe costare diversi anni di prigione. Ad oggi, solamente di una conosciamo nome e cognome, poiché ormai è emigrata. Si chiama Evgenij Žumabekov, il quale in pochi mesi ha sostituito più di 30 targhe con l’aiuto dei suoi figli, ma poi è stato interrogato dai servizi segreti, minacciato di venire licenziato e ha così deciso di lasciare la Russia.
In un’intervista rilasciata alla rivista online Bumaga – anch’essa dichiarata agente straniero dal giugno 2023 – Evgenij ha raccontato le motivazioni che lo hanno spinto a interessarsi delle vittime degli anni Trenta e a riappendere le targhe in loro memoria. Dopo aver scoperto per caso che il suo bisnonno venne deportato ai tempi di Stalin, Evgenij si è interessato sempre di più alla storia, non accontentandosi di quello che sentiva alla televisione. Si è informato sull’annessione russa della Crimea del 2014, sull’attività di Aleksej Naval’nyj e, quando è cominciata la guerra in Ucraina, si è reso definitivamente conto di non poter esprimere liberamente le proprie opinioni.
Per Evgenij riappendere le targhe era un dovere, poiché tengono vivo il ricordo di persone di cui non si conosce neanche il luogo di sepoltura, e lasciare che il loro ricordo venga cancellato significherebbe «ucciderle una seconda volta».

Targhe di cartone sostitutive. (Canale Telegram «Poslednij adres»).
Alcune delle motivazioni che si celano dietro la richiesta di eliminare le targhe sono state raccolte sempre da Bumaga, che ha intervistato gli utenti del portale «La nostra San Pietroburgo» (piattaforma online dove è possibile fare segnalazioni alle autorità locali) che avevano chiesto di togliere alcune targhe dell’«Ultimo indirizzo».
Uno di questi, un certo Vadim, sostiene che le targhe produrrebbero una discriminazione tra i morti del passato e in più si dice scettico verso le riabilitazioni concesse negli anni Cinquanta, elargite con troppa leggerezza e indistintamente. Quasi a sviare la questione, ha affermato: «In cosa sarebbero peggiori coloro che abitavano a Leningrado durante l’assedio e sono morti per mano dei nazisti? Non meritano anche loro lo stesso tipo di commemorazione? Perché questa selettività? Inoltre, sappiamo molto poco di come è stata condotta la riabilitazione di massa».
Un’altra intervistata, una certa Ol’ga, ha raccontato che un suo amico, rivelando una difficoltà di fondo nel fare i conti con il proprio passato, sosteneva che se tutti avessero appeso queste targhe, le città sarebbero diventate simili a un cimitero a cielo aperto ed esprimeva il timore che la loro vista ricordasse ai giovani l’ingiustizia e la contraddizione che ha sempre caratterizzato il loro paese.
Anche di fronte a posizioni come queste, c’è chi non ha mai perso la speranza. Arsenij Roginskij, uno dei fondatori di Memorial ed esperto conoscitore del tema della memoria e delle repressioni in URSS, alla domanda, postagli in tempi ancora relativamente tranquilli, se temesse che lo Stato avrebbe cercato di impossessarsi della memoria del terrore sovietico rispose che certamente ci avrebbe provato, poiché si trattava di un tema troppo importante allo scopo di offrire una propria narrazione degli eventi storici; ma, aggiunse, che
la memoria è un tema così grande che avrebbe finito comunque per avere la meglio, dunque che ci provassero pure.
È quanto accaduto con la chiusura del Museo della storia dei GULag da parte del governo. Inaugurato nel 2001, questo museo municipale si proponeva di raccontare la storia dei lager sovietici dal 1918 al 1956 basandosi su materiali d’archivio sia statali, sia privati e di mostrare l’impatto che il sistema repressivo ha avuto sulla società.
Tuttavia, il 14 novembre 2024 il museo è stato chiuso fino a data da destinarsi. La motivazione ufficiale è un problema di sicurezza legato all’impianto antincendio, ma i giornali indipendenti riferiscono che si tratterebbe di una falsa giustificazione che nasconde il reale motivo della chiusura: la paura verso tutto ciò che racconta e tiene vivo il ricordo di una delle pagine più buie della storia sovietica e la conseguente impossibilità del governo di controllare iniziative di questo tipo.
A conferma di questo, il 30 di ottobre, Giornata della Memoria delle vittime delle repressioni e due settimane prima della chiusura, il museo aveva ospitato un momento di preghiera collettivo, forse la goccia che ha spinto il governo a porre fine all’attività del museo.

Sala del museo dedicata ai primi lager dell’era sovietica. (Wikipedia)
Questi due esempi si riallacciano a quanto accaduto negli anni precedenti: basti pensare alla cerimonia del Ritorno dei nomi in piazza Lubjanka, giudicata illegale a partire dal 2020, o all’eliminazione delle croci di Kuropaty in Bielorussia, simbolo delle fucilazioni di massa avvenute tra il 1937 e il 1941.
Eppure, questa memoria che fa così paura è l’unico modo affinché la Russia possa ritrovare se stessa. Lo sosteneva Solženicyn già durante la stesura di Arcipelago GULag: mentre riconosceva il timore dei suoi contemporanei a rivangare un passato scomodo, affermava che questa era l’unica strada necessaria per purificarsi «dalla sozzura che marcisce dentro il nostro corpo» e prendere coscienza della propria storia. Anticipando la preoccupazione che abbiamo riportato di alcuni russi dei nostri tempi, spaventati che ai giovani vengano ricordati i crimini perpetrati nel loro paese, lo scrittore diceva:
«Non si può, nel ventesimo secolo, continuare per decenni a non distinguere cosa sia l’efferatezza che va processata e cosa sia il “passato” che non bisogna “rivangare”! Dobbiamo condannare pubblicamente l’idea stessa della repressione compiuta da singoli individui sui loro simili! Tacendo sul vizio, ricacciandolo nel corpo perché non si riaffacci, noi lo seminiamo, e in futuro germinerà moltiplicato per mille. Non punendo, non biasimando neppure i malvagi, non ci limitiamo a proteggere la loro sterile vecchiaia, ma strappiamo dalle nuove generazioni ogni fondamento di giustizia. (…) I giovani imparano che la bassezza non viene mai punita sulla terra, anzi porta sempre il benessere.
Non sarà accogliente un tale paese, farà paura viverci!»
La paura, forse il sentimento più umano che si prova nella Russia di oggi. La paura, riconosciuta anche da Aleksej Naval’nyj che invitava i suoi compatrioti a non soccombervi – «Io non ho paura, non abbiatene neanche voi!». La paura, che nonostante i tentativi del governo, non è ancora riuscita a sconfiggere la Memoria.
(Immagine d’apertura: memoriale dedicato alle vittime delle repressioni a San Pietroburgo. Sul monumento: «Alle vittime delle repressioni politiche». Fonte: Wikipedia)
Ada Bianchi
Laureata in Scienze Storiche, si è specializzata in storia della Russia. Tra i suoi interessi, la storia della Chiesa in Russia, la vita religiosa e culturale in URSS e il rapporto tra Stato e Chiesa nella storia russa e sovietica.
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