18 Novembre 2024

Kuropaty: la memoria salva anche noi

Miriam Zanoletti

A Kuropaty, bosco nei pressi di Minsk, migliaia di croci ricordano le vittime delle fucilazioni di massa dell’NKVD negli anni ’30. Mentre il governo cerca di obliterare questa storia, cancellando i segni sul territorio, c’è chi silenziosamente continua a farvi visita, per proteggere il proprio passato e difendere la propria dignità umana.

Anche quest’anno, com’è tradizione dal 1989, alla vigilia della Festa dei nonni, giorno della memoria che coincide con la festa religiosa di Tutti i Santi, alcuni diplomatici europei si sono recati a Kuropaty, per «onorare la memoria di innumerevoli vite e talenti distrutti dalla sciagura del totalitarismo», come ha scritto su X Asta Andrijauskienė, incaricata d’affari dell’ambasciata lituana in Bielorussia.

Diplomatici europei omaggiano il memoriale di Kuropaty. (Telegram viasna96)

Questo bosco nei pressi di Minsk, oggi punteggiato di croci, è per antonomasia il luogo della memoria delle vittime sovietiche in Bielorussia: qui negli anni Trenta furono fucilate dall’NKVD migliaia di persone, poi sepolte in fosse comuni, rinvenute solo nel 1988 e che da allora sono meta di preghiera spontanea per tutte le confessioni cristiane.
A non aver più fatto visita a Kuropaty dal 1994 sono però le autorità bielorusse, che sembrano invece voler nascondere quanto accaduto, cercando di attribuirne la responsabilità alle truppe naziste, costruendo nuove infrastrutture che si sovrappongono ai segni di memoria e rimuovendo decine di croci installate nel tempo dagli attivisti e dalla gente comune. Conservare la memoria di questo luogo è quindi diventato oggi un gesto di difesa non solo del proprio passato, ma anche della propria identità e dignità umana, e spesso assume una connotazione politica.

Una ignota volontaria di Memorial racconta la sua recente visita e ciò che per lei ha significato:

«Inizialmente percorro un lungo tratto in tram, poi attraverso i cortili arrivo all’autostrada, mi tuffo nel sottopassaggio e riemergo dall’altro lato, e mi scontro con il silenzio. Un silenzio che allo stesso tempo terrorizza e tranquillizza. Questo è un altro mondo. Kuropaty. Ora si può smettere di correre. Qui il tempo non esiste.

Il fatto che a Kuropaty negli anni dal 1937 al 1941 siano state perpetrate fucilazioni di massa e siano state uccise, secondo fonti diverse, da 30 (stima delle autorità bielorusse) a 250mila persone, si è scoperto nell’estate del 1988. E da allora sembra che sia continuamente necessario proteggere questo posto, salvarlo dalla distruzione e dall’oblio, custodire la memoria della memoria.

Kuropaty non è solo il luogo di esecuzione delle vittime del terrore sovietico e della morte di bielorussi, ebrei, polacchi, russi, ma è un simbolo di indipendenza,

perché il ricordo del passato del proprio paese rende liberi e conferisce dignità umana.

E anche oggi, quando in Bielorussia non si può parlare di libertà, io vado a Kuropaty non solo per ricordare una generazione di persone fucilate, ma anche per ricordare che io sono una persona.

Cammino lungo il viale delle croci. Sono semplicissime: disadorne, di pino, annerite e incurvate dal tempo. E quante non ci sono già più! Nel 2007 è stata distrutta la Kryž Pakuty (Croce della sofferenza), alta sette metri e installata nel 1989. Nell’aprile del 2019, con l’approvazione del governo, sono state demolite più di cento croci in legno e in metallo.

Se si devia dal viale e si entra nel bosco, si possono vedere molte croci fissate agli alberi, cadute a terra, ricoperte di muschio. Probabilmente centinaia. Su alcune ci sono i ritratti delle persone giustiziate. Ho l’impressione che la loro memoria potrebbe scomparire davanti ai miei occhi. Tocco alcune croci e sussurro: sono qui, siamo insieme. Per me è importante collegare il mondo dei vivi e quello di chi se n’è andato, per preservare entrambi.

Scrivo un messaggio a un’amica: abbiamo tanto lavoro da fare qui, quando le repressioni finiranno, qui c’è così tanto da ricostruire, rinnovare, restaurare. Lo sconforto di fronte allo sfacelo si trasforma in una certezza: salveremo la nostra memoria. La stiamo salvando già ora, quando veniamo qua uno per uno e lasciamo dietro di noi lampade accese, garofani bianchi e rossi dentro bottiglie di acqua da cinque litri, candeline e nastrini. Non ci vediamo e non ci conosciamo, ma con questi gesti ci diciamo l’un l’altro che siamo tanti, che non siamo soli, che ricordiamo cosa ci hanno fatto e chi siamo. Veniamo a Kuropaty e, insieme a questo posto, conserviamo anche noi stessi. Sembra paradossale, ma la memoria comune del nostro difficile passato ci dà la speranza di un futuro migliore.

Mi avvio verso casa e raccolgo una pigna, una foglia di betulla e un sassolino del viale delle croci. Premo forte i palmi sulla terra e le dico: vivi per sempre, mia Bielorussia, vivi per sempre, amore mio».


(Foto di apertura: wikicommons by Andrej Kuźniečyk)

Miriam Zanoletti

Nata nel 1999, ha studiato all’Università Ca’ Foscari di Venezia e Albert-Ludwig di Friburgo, conseguendo la laurea magistrale in Lingue e Letterature tedesca e russa.

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI

Abbonati per accedere a tutti i contenuti del sito.

ABBONATI