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26 Ottobre 2024
La «Restituzione dei nomi», oggi più che mai
Il gesto di memoria delle vittime del terrore comunista si ripete anche quest’anno il 29 ottobre. E assume una pregnanza speciale nel momento in cui nuove innumerevoli vittime chiedono memoria e giustizia.
Memorial Internazionale ha lanciato online un promemoria e un appello per il Giorno della memoria.
«L’azione “Restituzione dei nomi” si tiene a Mosca ogni anno dal 2007, il 29 ottobre, vigilia della Giornata in memoria delle vittime delle repressioni politiche. Questa azione si è diffusa molto rapidamente in altre città. Dalle 10 del mattino alle 10 di sera centinaia di persone con un lumino acceso, molte con dei fiori in mano, stanno in coda davanti alla “Pietra delle Solovki” per leggere al microfono i nomi dei moscoviti arrestati e fucilati.
Tradizionalmente, il gesto viene aperto da un breve discorso introduttivo di Elena Žemkova, la quale, alle 10 di sera, pronuncia alcune parole conclusive.
Affinché all’azione possano prendere parte più persone possibile (il loro numero è cresciuto di anno in anno) sui fogli distribuiti a ciascuno il numero dei nomi da leggere è stato gradatamente diminuito, fino a ridursi a due soli nomi…
Il testo comprende nome, cognome e patronimico, ultimo impiego o professione, età e data della fucilazione. Talvolta chi legge aggiunge il nome di uno o più suoi parenti caduti nelle repressioni. Gli elenchi delle vittime dai distribuire ai partecipanti vengono preparati dagli addetti dell’archivio di Memorial.
Nel corso delle dodici ore dell’azione si riescono a leggere non più di 1600 nomi. Di conseguenza, per commemorare tutti i moscoviti condannati e fucilati ci vorranno degli anni, dato che solo nel periodo del Grande Terrore [agosto 1937 – ottobre 1938] a Mosca furono giustiziate oltre 40mila persone.
I moscoviti che decidevano di prendere parte al gesto dovevano stare in coda molte ore sotto la pioggia o la neve per poter leggere due nomi. Molti soffrivano quasi come un dramma personale se non riuscivano a leggerli perché il tempo dell’azione era finito. Altri si coinvolgevano talmente con le persone scritte sul loro foglio che, una volta tornati a casa, facevano una ricerca per saperne di più di queste vittime del terrore.
Qualcuno potrà chiedere qual è stato l’atteggiamento delle autorità nei confronti dell’iniziativa. Prima della pandemia la richiesta di Memorial di poter svolgere l’azione richiedeva vari mesi per ottenere l’assenso, che alla fine arrivava. Non era una cosa semplice; ogni anno l’inquietudine aumentava, non si riusciva a capire fino all’ultimo se avrebbero dato o no il consenso…
Certe volte le autorità hanno fatto apertamente un gioco sporco. Una volta, poco prima dell’inizio dell’azione, hanno fatto degli scavi tutto attorno alla Pietra delle Solovki. Poi hanno dato comunque il consenso all’azione, ma i partecipanti hanno dovuto fare la coda sulle assi gettate sopra le profonde trincee. In mezzo a un mare di fango. Ciò nonostante, il gesto, come sempre, era stato impressionante…
Con l’inizio della pandemia, nel 2020, è stato necessario cambiare il formato del “Ritorno dei nomi”. Le autorità municipali da allora fino ad oggi non hanno più dato il consenso a Memorial perché svolgesse l’azione presso la Pietra delle Solovki…».
Qui finisce il testo di Memorial. E tuttavia, continuiamo noi, l’azione si svolge ugualmente online, ed è ormai un’«azione diffusa» che coinvolge 68 città in tutto il mondo, di cui 14 in Russia. Da Chicago e Los Angeles a Vilnius e Brema, da Torino a Milano, da Gerusalemme a Sidney, colpisce che molte persone, russe e non russe, restino sensibili al richiamo della memoria. E colpisce anche che nel clima di feroce intimidazione che regna in Russia, si trovino nelle grandi città come Mosca e Pietroburgo ma soprattutto in piccoli centri provinciali come Murmansk o Revda o Pervoural’sk degli audaci che organizzino questo gesto.
Non importa il numero dei partecipanti, importano il coraggio e la decisione di chi si mette in gioco per la verità. In nome delle vittime di allora e di oggi. Negare, censurare, relativizzare la realtà e il significato delle vittime del regime sovietico (e di Stalin, in particolare, come continua a fare oggi senza nessun pudore la narrazione putiniana) significa mettere tutti i semi perché il suo male possa riprodursi «moltiplicato per mille», scriveva Aleksandr Solženicyn nel suo Arcipelago Gulag, pubblicato in Italia giusto cinquant’anni fa. E continuava lo scrittore, innamorato del suo paese e preoccupato del suo destino: «Non punendo, non biasimando neppure i malvagi, non ci limitiamo a proteggere la loro sterile vecchiaia, ma strappiamo dalle nuove generazioni ogni fondamento di giustizia. Ecco perché esse crescono “indifferenti”, non è colpa del “lavoro insufficiente degli educatori”. I giovani imparano che la bassezza non viene mai punita sulla terra, anzi porta sempre il benessere. Non sarà accogliente un tale paese, farà paura viverci!».
Riguarda la Russia e la sua storia, ovviamente, ma anche, in questo stesso istante, ogni ora e angolo della nostra vita e del nostro paese: posti di lavoro, scuole, parrocchie, case.
(foto d’apertura: facebook Memorial)