2 Settembre 2024
Oltre la pseudo storia
Siamo tutti coinvolti da narrazioni astratte e da miti complottisti, questo libro ci offre gli strumenti per riportarci sul solido terreno dei fatti.
La guerra tra Russia e Ucraina. Le origini, le battaglie, la posta in gioco di Alberto Leoni è un libro che merita di essere letto per la ricchezza e la plurivocità di informazioni (con la raccolta di fonti diverse e di diversa tendenza, presentate al lettore con un’obiettività per altro mai asettica) e per un impegno personale dell’autore che lo rendono prezioso. Per carità, di libri preziosi su questa tragedia ne abbiamo diversi, ma poi ciascuno traduce in maniera molto differente i motivi del suo valore; qui abbiamo l’incontro tra un’attenzione profonda e competente all’aspetto storico-militare e geopolitico della vicenda (secondo quella che è la specificità dell’autore, uno storico con molti lavori alle spalle, dedicati in particolare al ruolo del cristianesimo e dei cristiani nella storia) e la tensione continua a mantenere lo sguardo fisso sui destini dei popoli e delle persone nella loro irriducibile lotta per la verità e per la libertà.
Del resto è una caratteristica che viene evidenziata sin dalle primissime pagine di questo lavoro, quando Leoni spiega di averlo scritto per una fedeltà a due maestri (anch’essi molto diversi): un insegnante di letteratura italiana, grande critico letterario e autore di libri memorabili, Salvatore Guglielmino (1926-2001), «laico, dichiaratamente comunista», come precisa Leoni, che nel suo insegnamento aveva sempre saputo comunicare un inesauribile amore per la verità e per la complessità del reale (nelle pieghe della sua materia) e padre Romano Scalfi (1923-2016), che gli aveva fatto incontrare ciò che aveva sempre cercato, «l’amore per la verità e per “il dono della Persona” di Gesù Cristo», che di quella verità era la testimonianza vivente.
Ed è appunto quello che noi incontriamo in questo libro: l’amore per la verità (che la menzogna «non domini con la mia collaborazione», dice Leoni, riprendendo un testo famoso di Solženicyn) e la coscienza che questo compito di testimonianza alla verità investe il ruolo della persona nella sua imprescindibile responsabilità («se non lo farò io, chi lo farà?», dice sempre Leoni, citando una delle parole d’ordine del dissenso russo degli anni Sessanta del secolo scorso).
L’amore per la verità e la responsabilità di fronte a essa si traducono nel libro in una ricostruzione precisa e puntuale degli antecedenti dell’invasione, con una circostanziata confutazione di tanti miti correnti; così, se non vengono mai nascosti o minimizzati gli errori dell’Occidente nei confronti della Russia (superficialità, presunzione, ignoranza, aggressività [pp. 116, 122, 165]), questi, per un osservatore serio come è l’autore, non possono mai nascondere o far passare in secondo piano l’imponenza di tutta una serie di elementi che testimoniano come ben altri siano stati i veri motivi che hanno portato alla tragedia attuale.
La questione dell’allargamento della NATO, giusto per fare un esempio famoso sul quale Leoni ritorna ripetutamente, non aveva inizialmente posto problemi particolari (e a questo proposito viene ricordata la proposta in tal senso del presidente Kučma nel 2002, che sostanzialmente non era mai stata impugnata dalla Russia [102]), mentre ben diverso era stato il significato della famosa affermazione con la quale Putin, nel 2005, in uno spirito già allora chiaramente revanscista e imperialista, aveva definito la dissoluzione dell’Unione Sovietica come «la più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo»; ben diverso ancora era stato l’impatto del discorso di Monaco del 2007 [109], che aveva segnato una rottura completa con l’Occidente e che, oltre tutto, era stato preceduto dall’intuizione di uno studioso del Carnegie Moscow Center che già nel 2006 aveva parlato della formazione di un sistema «moscacentrico» [107]. Sempre su tale questione Leoni ricorda poi un’altra serie di elementi che molti commentatori occidentali sembrano ignorare: ad esempio che per gli Stati dell’ex impero sovietico l’adesione alla NATO era sempre stata libera e aveva visto schierarsi a suo favore personaggi come Havel e Wałęsa [51], appassionati difensori della libertà e indipendenza dei propri paesi, così come indipendente era diventata l’Ucraina, non per pressioni occidentali ma in base al referendum del 1991 [22] e indipendente doveva restare in base al memorandum di Budapest del 1994 (testate nucleari ex sovietiche che l’Ucraina aveva consegnato a Mosca in cambio del riconoscimento dell’intangibilità dei suoi confini), un accordo che la Russia stessa si era impegnata a rispettare [45-48] e che invece aveva clamorosamente disatteso [164] alimentando al contrario un riarmo che era andato crescendo nel corso degli anni [213] mentre l’Occidente prendeva la strada opposta non tanto (o non solo) per un autentico amore della pace ma per la pericolosa e irresponsabile illusione circa una presunta «fine della storia».
Sempre in tale direzione, avvicinandosi ai nostri giorni, Leoni ricorda le varie guerre «imperiali» della Russia, su tutte quelle in Cecenia, il peggioramento del quadro internazionale degli anni Novanta con la crisi e il fallimento della politica dell’ONU [37-45] e poi l’esplosione del terrorismo di matrice islamica con la reazione suicida dell’Occidente, alimentata da quello che fu ed è il suo vero e capitale errore:
l’idea che la libertà e la verità possano essere divisibili e che possano essere difese a intermittenza di tempo e di luogo [131].
Ma neppure la denuncia di questi limiti può trasformare in verità i miti secondo cui la fuga di Janukovič dopo il Majdan sarebbe stata il frutto di un colpo di Stato filo-occidentale [170] o secondo cui le trattative immediatamente precedenti l’invasione del 2022 sarebbero state da parte russa realmente sincere: da Putin, precisa Leoni, non è mai venuta una vera «proposta di pace: era un ultimatum e un’offerta di resa senza condizioni» [238].
In fondo questo trionfo della menzogna è quello che il presidente russo ha continuato a perseguire sin dall’inizio, con una falsità ripetuta che dovrebbe essere sconfortante nella sua evidenza; ma il problema è che la menzogna putiniana non ha come caratteristica quella di voler essere creduta, bensì di «distruggere e ridicolizzare l’idea di verità» [184], così che ci si convinca che non esiste alcuna verità: e forse proprio in questo risiede uno dei motivi che la rendono così credibile in un certo Occidente, che da questo punto di vista è paradossalmente molto simile a Putin. Esemplari in questo senso sono le menzogne sulla difesa russa di valori umanistici e cristiani come quelli della famiglia, sbandierati mentre lo Stato russo depenalizza le violenze familiari [315]; senza dimenticare la tragedia dei bambini rapiti e deportati in Russia per una loro «rieducazione» [318s] che in realtà è una vera e propria spersonalizzazione, là dove a parole ci si vanta della difesa dei bambini contro un Occidente che sarebbe il regno della pedofilia.
Nella prospettiva di una ricostruzione del meccanismo fondamentalmente menzognero del putinismo, è molto interessante, proprio l’attenzione che Leoni riserva alla figura del presidente russo, alla sua ascesa e alle caratteristiche del suo sistema. Putin, come molti storici hanno osservato, è una nullità che va al potere, ma rappresentando il KGB ed essendo «sostenuto da tutta l’organizzazione» [67]. È esattamente a partire da questa base che ha rafforzato il proprio potere, conquistando progressivamente il controllo generalizzato di media, oligarchi e governatori delle regioni [95] ed eliminando gli avversari esterni (il tentato avvelenamento di Juščenko [103]) e interni (a partire da giornalisti come Anna Politkovskaja [107], per passare poi a oppositori politici come Nemcov e Naval’nyj). Mentre sgombrava il campo da ogni opposizione, sempre più indisturbato grazie a una propaganda omnipervasiva, Putin dava forma al suo sistema, un sistema fatto di volgarità (coi terroristi cercati fin nel «buco del cesso», e i generali che non vanno in guerra per «scaccolarsi» [75]) e, come si diceva, fatto soprattutto di menzogne seriali, «come quella per cui la Russia avrebbe sempre usato il diritto per perseguire una politica estera indipendente» [111] o come l’altra secondo la quale la Crimea non sarebbe stata annessa da soldati russi in incognito ma «liberata» [171-173, 175, 178, ecc.] o il volo MH17 sarebbe stato abbattuto da tutto fuor che da persone legate agli invasori russi [179s].
Sono le menzogne tipiche della guerra ibrida, secondo la quale, come spiega Leoni
«la sovversione non è il preludio della guerra, ma la guerra stessa» [181ss],
una guerra che per altro non può più essere chiamata con il suo nome ma deve diventare obbligatoriamente una «operazione militare speciale» (o una «operazione antiterroristica» come è successo recentemente dopo l’ingresso delle truppe ucraine nella regione di Kursk). Tra la serie delle menzogne putiniane legate alla trasformazione del significato dei nomi, Leoni ne mette bene in luce un’altra, riproposta a sua volta anche da noi in questi ultimi tempi, quella della tanto propagandata proposta di pace della fine marzo 2022 che poi gli ucraini non avrebbero accolto per le pressioni occidentali; in realtà, precisa Leoni, «la concessione di Putin era il ritiro dalle zone settentrionali intorno a Kyiv, ma esso, come si poteva constatare da un punto di vista militare, era la conseguenza di una sconfitta sul terreno e di un riposizionamento delle forze. Putin, in altre parole, contrabbandava l’esito di una sconfitta subita con un gesto di buona volontà» [267]; poi arrivarono le rivelazioni sulle stragi di Buča e tutto finì lì, salvo che nella propaganda putiniana pure quelle stragi vennero coperte dalla solita «nebbia informativa» fatta di menzogne. Un’altra delle menzogne putiniane è quella secondo cui tutta la Russia lo sosterrebbe; in realtà ci sono due Russie, e una accetta grandi rischi pur di non allinearsi a Putin: è il fenomeno del nuovo dissenso e della nuova resistenza che Leoni ricorda ripetutamente e diffusamente (291ss) e che ha inoltre un corollario nella morte misteriosa di tanti personaggi altolocati (336ss).
Su tutte le menzogne, quella più radicale, perché fondante, è però quella legata all’ideologia del Russkij mir (Mondo russo): una forma di nazionalismo mistico facilitata già nel 1997 con il conferimento alla Chiesa ortodossa russa di uno statuto speciale [123], ma poi cresciuta a vera ideologia grazie al contributo decisivo di una parte della Chiesa ortodossa che, con il patriarca Kirill, le ha attribuito un significato metafisico [141] di difesa del cristianesimo, senza poterne però nascondere la realtà profondamente anticristiana se non addirittura eretica o pagana, una realtà evidente là dove la specificità del cristianesimo viene posta nell’appartenenza a una nazione particolare e non nella universalità di Cristo, salvatore del mondo e della storia. Invece del valore irriducibile di ogni singola persona, abbiamo qui un antipersonalismo radicale che viene sostenuto a favore del concetto di comunità o formazione sociale organica (di fatto le tribù del paganesimo slavo delle origini [145]) e che porta a un nazionalismo aggressivo dove, ad esempio, dietro l’idea già discutibile di denazificazione dell’Ucraina, c’è quella di una sua de-ucrainizzazione che equivale alla sua eliminazione come entità nazionale indipendente [299].
In questo modo, però, sottolinea Leoni, il putinismo, invece di restituire la Russia alla sua storia e alla sua vocazione cristiana, e salvare così l’umanità, avvelena la Russia stessa, «fa terra bruciata della cultura umanistica russa che tanto ha dato al mondo intero» [148] e coinvolge questa cultura nella menzogna dell’ideologia putiniana. È una vera e propria vendita dell’anima che ha caratterizzato anche quella parte dell’Europa che all’inizio della guerra ha sostenuto le ragioni di Putin e che, con la scusa di difendere dei valori cristiani astratti, ha fatto i propri interessi concreti (gas), sacrificando per questo la libertà, la dignità e la vita stessa di migliaia di ucraini e di tanti russi mandati al macello [311] e oggi, quando parla di pace, spesso nasconde un desiderio di essere lasciati in pace [375] che rischia di causare più vittime di una vera guerra [376]. Se per Mussolini si era potuto parlare di un cattolicesimo senza Cristo, non molto diverso, secondo Leoni, è il discorso che si può prospettare nel caso di Putin e del Russkij mir: si tratta di una Ortodossia senza Cristo [316] che pone a tutta l’Europa un problema che va ben oltre la politica e le questioni militari, e nel quale sarà in gioco una radicale ripresa della vera identità dell’Europa [383].
Per uscire da questa guerra occorreranno in tal senso fantasia, coraggio e realismo [377, 380], il realismo di chi sa leggere dietro tante belle parole in difesa della pace la realtà di una menzogna senza limiti e di una violenza senza quartiere: si pensi a Putin che, parlando dell’entrata delle truppe ucraine nella regione di Kursk (e annullando ancora una volta ogni reale prospettiva di pace), attribuiva a Kyiv quello che Mosca fa da più di due anni e si chiedeva retoricamente: «di cosa possiamo parlare con gente che colpisce indiscriminatamente i civili e cerca di minacciare le centrali nucleari?»; o si pensi ancora a Medvedev che, nel gennaio di quest’anno, parlando della controversia sulle isole Curili, si esprimeva in questo modo: «Non ce ne frega niente dei sentimenti dei giapponesi. Non sono territori contestati ma Russia. E quei samurai che si sentono particolarmente tristi possono mettere fine alla propria vita facendo seppuku. Se osano. Sicuramente si sentono molto meglio baciando alla francese gli americani, avendo totalmente dimenticato Hiroshima e Nagasaki» [381].
Situazione sconsolante e apparentemente senza via di uscita se non si tiene presente quella insistenza sulla verità sulla quale si apre il libro di Leoni e al cui proposito l’autore, citando Solženicyn, diceva che in essa noi «possiamo tutto», non perché un libro o un’analisi ci possano insegnare «soluzioni» o «istruzioni per l’uso» o chissà quali fantasie, ma perché la forza della verità ci può restituire, come ai tempi di Solženicyn e dei primi dissidenti, oggi nuovamente rappresentati da tanti testimoni, «la fede in un altro possibile miracolo» [12].
Adriano Dell’Asta
È docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica. Accademico della Classe di Slavistica della Biblioteca Ambrosiana, è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana.
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