7 Maggio 2025
Quanta tenerezza nel nome di Francesco
Cosa pensano nell’Est Europa del Papa defunto? Dalla Russia ascoltiamo una voce che ci richiama all’essenziale: un amore inesauribile per l’uomo immagine di Dio, la genialità pastorale, il cambiamento radicale del pontificato verso l’umiltà francescana. E il suo dialogo da uomo con tutti gli uomini.
Papa Francesco e la guerra e l’Ucraina e la Russia. Molto se ne è detto, spesso prendendo solo una parte dei pronunciamenti pontifici, ancora più spesso prendendo parte per l’uno o per l’altro, dimenticando nel rapidissimo susseguirsi degli eventi la loro complessità e che, ad esempio, chi lottava incessantemente nell’invocazione della pace era la stessa persona che aveva definito la santificazione della guerra un atteggiamento da «chierico di Stato»; o dimenticando ancora che nell’ultimo messaggio «urbi et orbi» del 20 aprile 2025, Francesco aveva scritto: «Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui».
E forse sulla questione varrà la pena non dimenticare mai, invece, le parole del nunzio apostolico a Kyiv, monsignor Kulbokas: «Filorusso? Chi l’ha pensato non ha capito chi fosse davvero papa Francesco. Quando disse che si doveva negoziare per la pace in Ucraina, con l’aiuto delle potenze internazionali, lui parlava a Putin. È stato il primo ad aprire la strada del dialogo impossibile, anche con chi più sbaglia: la Russia. Pur condannandola come paese aggressore, senza dubbio e senza scampo. E stando vicino agli ucraini ad ogni Angelus». E comunque, continuava monsignor Kulbokas, «non era la missione del Papa concentrarsi sull’aspetto a cui guarda la massa, ma andare oltre, risolvere attraverso il dialogo».
Nello stesso senso, a proposito dell’elezione del nuovo papa, il vescovo di Pavia, mons. Sanguineti, ha detto che «compito della Chiesa non è risolvere i problemi del mondo, ma è rendere presente l’annuncio e la testimonianza di Cristo, come sorgente di salvezza e di vera novità nella storia».
Nel tentativo di riportare all’essenziale il nostro sguardo sulla realtà del pontificato appena concluso, presentiamo questo intervento di Ol’ga Sedakova, uscito sul portale Pravmir.
Si era scelto il nome «Francesco», e c’era tanto calore in questo nome! Non ci sono due ordini più distanti tra loro, nel cattolicesimo, di gesuiti e francescani. A partire dal fatto che nelle intenzioni di san Francesco nessun membro del suo ordine avrebbe mai dovuto ricoprire alte cariche ecclesiastiche, come voto di povertà. Il nuovo Papa, nel suo primo discorso, si era definito vescovo di Roma e non Papa, e ad esso si è attenuto sino alla fine. Ha voluto essere sepolto in Santa Maria Maggiore e non nella basilica di San Pietro come i suoi predecessori. Anche questo dice che lui si sentiva innanzitutto vescovo di Roma, poiché la chiesa di Santa Maria Maggiore appartiene appunto all’episcopato romano.
Ha portato molti cambiamenti nella posizione stessa di Papa, nel modo di agire e nello stile di vita. Tutti sanno che ha lavato i piedi agli emarginati, compresi i detenuti in carcere, che si è rifiutato di vivere negli appartamenti papali e ha vissuto tutta la sua vita in una sorta di alloggio-ricovero. In questo si intravvedeva la rinuncia francescana alla ricchezza e a qualsiasi opulenza ufficiale. È stata, direi, la tonalità musicale del suo pontificato.
Fiducioso e inerme
E il tema dominante, di sicuro, è stato quello dei poveri. Essi sono stati i protagonisti del suo pensiero. Né Benedetto XVI né Giovanni Paolo II hanno mai dimenticato gli emarginati, come nessun cristiano può fare. Ma non era comunque la cosa più importante per loro.
Molti cattolici europei di mia conoscenza sono rimasti sorpresi dal tema di Francesco, perché nel benessere dei paesi europei i cittadini – dico i cittadini, non i profughi – sono in qualche modo al sicuro dalle condizioni sociali più infime. La povertà catastrofica è praticamente inesistente in Europa, diversamente dall’America Latina. Penso che il Papa abbia portato in Vaticano l’esperienza dell’emarginazione dal suo paese, dove la situazione terribile e senza speranza dell’individuo nella società è una realtà quotidiana.
Alcuni ritenevano le sue azioni, come lavare i piedi ai detenuti, quasi una sorta di messa in scena, uno spettacolo. Ma bastava guardare il suo volto, i suoi movimenti e il sospetto si dissolveva. Lo faceva sempre con molta, molta sincerità.
All’inizio del suo pontificato ha annunciato la «rivoluzione della tenerezza», che ho trovato una cosa meravigliosa. La società moderna non sa che farsene della tenerezza e l’ha spinta molto ai margini, come se non fosse un valore culturale e cristiano. D’altro canto, si parla così spesso di «civiltà dell’amore» che è diventato un modo di dire. Ahimè, nel linguaggio della predicazione molti grandi temi sono diventati frasi fatte, concetti banali. Ma lui ne ha trovato uno nuovo.
Tutti i predicatori cattolici con cui ho avuto a che fare sentono che è molto difficile parlare all’uomo contemporaneo, le parole del predicatore restano inefficaci se non sono sostenute da qualcosa. Di carità, persino di fede e speranza si parla continuamente come di una ricetta già nota, senza nemmeno specificare cosa si intenda. In pratica è una specie di esercizio retorico. E all’improvviso: la tenerezza! È chiaro che si tratta dell’amore, ma in modo nuovo. Con tutta la cura, con tutta la comprensione per la vulnerabilità. Si può amare con ardore, con passione, ma nella tenerezza si è pieni di fiducia e al tempo stesso indifesi nei confronti di colui per il quale si prova tenerezza. È una cosa molto francescana. Dopotutto, anche Francesco d’Assisi compì una svolta verso la tenerezza nei confronti del mondo intero, compresi i lupi e gli uccelli.
Contro il pessimismo
Ma anche la parola «amore» il Papa l’ha usata in un modo che suonava nuovo. Diceva che lo scettico viola la legge dell’amore e che il pessimismo è un peccato contro l’amore verso l’uomo, perché chi porta questo messaggio agli altri li priva della gioia e della speranza. Dentro di me ho sempre avuto questa sensazione. Non mi piacciono il pessimismo e lo scetticismo con cui molti si esprimono. Non mi è consona la saggezza dell’Ecclesiaste: «Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà» (Qo 1,9). Quando ti trovi davanti a questo, hai la sensazione che il fuoco si sia spento. Ma non si è spento, è un’illusione. Noi stessi cerchiamo di estinguerlo con la forza. Il Papa ne ha parlato spesso. Direi che questa è stata autentica saggezza pastorale, che scaturisce dalla profondissima conoscenza della condizione umana in questo mondo.
Non dimenticherò mai la scena maestosa quando, all’inizio della pandemia, pregò da solo al buio, quasi di notte, in Piazza San Pietro. Fu un atto straordinario e lui era sempre pronto a compiere simili gesti, ad esempio quando si recò a piedi all’ambasciata russa nel marzo 2022.
Non si è trattato di una diminuzione ma di una sorta di riforma dello status di Papa. Continuò ciò che aveva iniziato Giovanni Paolo II. Infatti prima di lui il Papa, come mostrano i film di Fellini, era in tutto e per tutto all’opposto della gente comune. Durante le udienze sembrava fluttuare sulla sedia gestatoria senza toccare terra. Giovanni Paolo II, ora san Giovanni Paolo, la abolì.
Ma Papa Francesco ha continuato e si è spinto oltre. Non riesco ancora a immaginare Giovanni Paolo II che lava i piedi ai detenuti in prigione.
(foto d’apertura: YouTube)
Ol'ga Sedakova
Poetessa, scrittrice e traduttrice moscovita, è docente alla Facoltà di Filosofia dell’Università Statale Lomonosov. Erede della tradizione della grande cultura russa, la sua opera è tradotta in numerose lingue e ha ottenuto riconoscimenti, quali il premio Solov’ëv e il premio Solženicyn.
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