14 Settembre 2020
È francescano il primo vescovo cattolico russo
Il papa ha nominato Nikolaj Dubinin, francescano conventuale, come vescovo ausiliare per la diocesi di Mosca. È il primo vescovo di nazionalità russa nominato sul suolo russo. Molti giornalisti gli hanno chiesto cosa vuol dire essere cattolico oggi in Russia.
Verrà ordinato il 4 ottobre, festa di san Francesco. La sua nomina ha suscitato una certa curiosità nella stampa russa, per svariati motivi. Innanzitutto i rapporti tra i governi russi/sovietici e la Santa Sede hanno visto molti alti e bassi nella storia, e soprattutto momenti di tensione, ad esempio quando Caterina la Grande decise di creare di propria iniziativa una diocesi e nominare un metropolita cattolico nel suo impero, o quando il Vaticano ha accarezzato l’idea di convertire gli ortodossi alla fede di Roma. E poi perché nella mentalità russa è ben radicata l’idea che in Russia il cattolico può essere solo di origine straniera: polacco, lituano, tedesco, francese, ma non russo.
Per tutto questo, dopo la nomina a vescovo ausiliare della diocesi di Mosca di un francescano di nazionalità russa i giornalisti hanno puntato il loro interesse soprattutto sulla stranezza della sua scelta per il cattolicesimo, nonché sulla novità assoluta della nomina episcopale.
«Lei, a quanto ne so, è in assoluto l’unico vescovo cattolico russo al mondo» gli hanno chiesto, e lui ha precisato che sì, nella storia recente della Chiesa cattolica in Russia «mi è spettato l’onore di essere il primo vescovo russo al cento per cento, e finora anche l’unico» e tuttavia, ha aggiunto, la cosa non riveste particolare importanza:
«Nella Chiesa cattolica, in forza del suo carattere universale, la questione nazionale non è mai una pietra angolare. Del resto, la Russia è la casa comune di innumerevoli popoli e culture, pertanto sarebbe meglio parlare non di “cattolicesimo russo” ma di Chiesa cattolica in Russia».
Qualcuno ha cercato di interpretare questa nomina come una mossa politica del Vaticano per rafforzare le proprie posizioni, ma padre Nikolaj ha negato recisamente: «Allora qual è il senso vero di questa nomina? Non è il Vaticano che ha bisogno di un vescovo ausiliare a Mosca, ma la nostra arcidiocesi… che è la terza al mondo per dimensioni, la più popolosa della Russia ed è molto composita», oltre ad avere di per sé «radici profonde, tanto che l’arcidiocesi cattolica di Mogilëv esiste dal 1772» dai tempi, appunto, di Caterina la Grande.
Non poteva non tornare fuori anche l’annosa questione del proselitismo di cui vengono spesso accusati i cattolici in Russia: «Ha intenzione di predicare il cattolicesimo tra i russi?» ha chiesto esplicitamente l’inviato di NG Religii, e padre Nikolaj ha risposto che se si intende per proselitismo cercare di strappare fedeli alle altre Chiese si è fuori strada, ma se si intende predicare Gesù Cristo, questa è la sua missione principale: «le nostre porte sono aperte a tutti». È una questione non di nazionalità ma che riguarda la libertà di coscienza del singolo, e non ammette vincoli di sorta.
«Un tempo in Russia si credeva che se uno era cattolico doveva essere straniero o di origini straniere. In che misura si è russificato il cattolicesimo negli ultimi tempi?». Padre Dubinin ha cercato di smontare il vecchio cliché:
«Cattolico uguale straniero è uno stereotipo abbastanza comune, purtroppo. Se poi ci si mette pure una sfumatura di estraneità, questo stereotipo diventa una bugia. Per questo non mi piace l’espressione “cattolicesimo russificato”. La Russia, paese multinazionale, è la nostra casa comune, che non si divide né può dividersi tra “russi” ed “estranei”. È molto importante ricordare che la Chiesa è un organismo vivente.
Per questo in una Chiesa di un certo periodo, o di una certa regione si trovano tratti particolari legati alla tal epoca, al tale ambiente culturale eccetera. La Chiesa cattolica nella Russia di oggi non fa eccezione. Posso dire con convinzione, e non senza gioia, che la nostra Chiesa locale ha un suo volto, con tratti russi. La maggioranza dei nostri fedeli è russa, anche se di origini etniche diverse. Le nostre comunità in Russia non sono gruppi di guitti, o colonie straniere, e nemmeno un ghetto. La nostra Chiesa, pur piccola rispetto alle dimensioni del paese, è parte integrante della nostra società e della nostra cultura, nella sua ricchezza e varietà. Ne abbiamo un luminoso esempio e un modello straordinario nel passato, nella figura del santo dottore di Mosca, Fëdor Petrovič Haas, di cui è stato aperto il processo di beatificazione».
A questo punto diventa importante capire quanto questi vecchi cliché sono ancora funzionanti, e quindi quali difficoltà possono creare alla vita della piccola comunità cattolica; la risposta di padre Nikolaj è stata chiara:
«Ritengo che al momento presente non si registrino seri attacchi o limitazioni ai diritti dei cattolici. Questo relativamente alle autorità civili ma anche alla Chiesa ortodossa russa. Ho ripetuto più volte che oggi in Russia abbiamo condizioni abbastanza favorevoli per un’esistenza normale, per un sano sviluppo della Chiesa e la testimonianza cristiana dei cattolici all’interno della società.
Naturalmente i cattolici in Russia sono una minoranza religiosa, e questo comporta alcune conseguenze. Considerando la situazione in generale, possiamo dire che nei nostri confronti sono venuti meno molti vecchi stereotipi, preconcetti ideologici, timori o totale mancanza delle più elementari nozioni e di una adeguata informazione, e tuttavia queste cose a volte ancora si incontrano, perciò si creano situazioni spiacevoli e ingiuste. Tra le difficoltà dei nostri cattolici russi citerei le distanze. Nella maggioranza dei casi le parrocchie esistono nei capoluoghi regionali. In alcuni centri (come Kirov o Smolensk) con varie scuse non hanno ancora restituito gli edifici delle chiese ai fedeli, a dispetto di sforzi annosi, e questa è una vera ingiustizia. Per raggiungere la chiesa alcuni nostri fedeli devono percorrere 100 o più chilometri. Un’altra difficoltà è che i figli dei cattolici non possono ricevere l’adeguato insegnamento dei fondamenti della fede all’interno dell’insegnamento istituzionale dei «Fondamenti di cultura religiosa». Nel cosiddetto «quinto modulo» di questa materia (fondamenti delle culture religiose mondiali) per ovvi motivi gli elementi forniti sono quanto mai ridotti, e in certi casi esposti in maniera piuttosto tendenziosa».
La vocazione personale
Sempre girando attorno alla questione nazionale, i giornalisti hanno chiesto al neo-vescovo della sua storia personale, per capire se il suo cattolicesimo sia frutto della tradizione familiare o di una rottura. «Sono nato in una famiglia mista, cattolica da parte di madre, ortodossa da parte di padre, sono cresciuto in un’atmosfera di stima per entrambe le tradizioni, e al tempo stesso di forti limitazioni alla pratica religiosa. Sono nato nel 1973 nella provincia profonda, nella regione di Rostov, e in quegli anni farsi vedere religiosi aveva delle conseguenze. La chiesa cattolica più vicina stava a un migliaio di chilometri di distanza, per questo fui battezzato ortodosso.
Sono entrato nella Chiesa cattolica a 18 anni, non appena c’è stata questa possibilità nel 1991. Studiavo a Rostov-na-Donu e venni a sapere che stava rinascendo la parrocchia cattolica. La trovai subito ed entrai a farvi parte. L’anno successivo venne in visita l’arcivescovo Tadeusz Kondrusievič. Celebrò la messa nella sede del Museo regionale, nella sala dedicata alla storia delle religioni, dove si conservava una scultura della Madonna col Bambino, relitto di una chiesa andata distrutta. L’arcivescovo ci mostrò il Bambino rimasto senza le mani e disse: “Voi dovete essere le Sue mani”. Questa frase mi colpì profondamente, la sentii come un richiamo rivolto personalmente a me».
Marta Dell'Asta
Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».
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