27 Aprile 2025

Un primato ecumenico in una Chiesa sinodale

Hyacinthe Destivelle

Il documento «Il Vescovo di Roma», del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, rimette a tema la questione del primato osando aprirsi al confronto con tutte le Chiese cristiane. Per spronare il cammino insieme. Ricordando il beato Leonid Fëdorov, antesignano del movimento ecumenico.

Un primato ecumenico in una chiesa sinodale

I sette concili ecumenici, con la creazione del mondo (in alto) e la sinassi dei dodici apostoli (in basso). (wikipedia)

Il beato Leonid Fëdorov (1879-1935) ha anticipato in molti modi lo spirito e il metodo di ciò che in seguito è stato chiamato ecumenismo. Il desiderio di unità, la convinzione che essa sia innanzitutto una questione di conversione interiore, il rifiuto di ogni proselitismo, l’amore per gli altri cristiani, l’impegno in un sincero dialogo teologico, il desiderio di raggiungere la piena comunione non dall’esterno, ma dall’interno, sulla base di un cammino comune verso una più profonda comprensione della verità, sono tutti atteggiamenti che possono essere considerati precursori della visione ecumenica di cui il Concilio Vaticano II ha posto le pietre miliari nella Chiesa cattolica.

In tale riflessione pre-ecumenica, la questione del ruolo del papa è stata al centro delle preoccupazioni del beato Leonid. È questa questione – che Paolo VI definirà nel 1967 come «senza dubbio il più grave ostacolo sulla via dell’ecumenismo» – che il recente documento intitolato Il Vescovo di Roma del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani ha voluto riprendere in occasione del Sinodo della Chiesa cattolica sulla sinodalità.

Il Sinodo della Chiesa cattolica dal titolo Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione, tenutosi nel 2021-2024, è stato l’occasione per riflettere non solo sulla sinodalità, ma anche sul primato. Volendo contribuire a questa riflessione, il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani ha pubblicato il 13 giugno 2024 un importante documento intitolato Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut Unum Sint. Questo documento, pubblicato con l’approvazione di papa Francesco, è la prima sintesi dell’intera discussione ecumenica sul servizio del primato nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.

L’origine di questo testo risale all’invito di Giovanni Paolo II agli altri cristiani a trovare, «ovviamente insieme», le forme in cui il ministero del vescovo di Roma «potrà realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» (Ut Unum Sint, n. 95). A questo invito sono state date numerose risposte a partire dal 1995, così come diverse riflessioni e suggerimenti emersi dai dialoghi teologici.

Il 25o anniversario di Ut Unum Sint (UUS) e la convocazione di un Sinodo sulla sinodalità hanno offerto al Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani l’opportunità di sintetizzare queste riflessioni e di raccoglierne i principali frutti. Il testo ha lo status di «documento di studio» che non pretende di esaurire l’argomento né di riassumere l’intero magistero cattolico in materia. Il documento, che fa la sintesi di una trentina di risposte a Ut Unum Sint e di una cinquantina di documenti di dialogo ecumenico dedicati in tutto o in parte a questo argomento, è il frutto di quasi tre anni di un lavoro veramente ecumenico e sinodale. Ha coinvolto non solo gli officiali, ma anche i membri e i consultori del dicastero, esperti cattolici, ortodossi e protestanti, in collaborazione con l’Istituto di Studi Ecumenici dell’Angelicum.

Il documento propone in primo luogo una breve presentazione delle risposte a Ut Unum Sint e dei documenti dei dialoghi teologici dedicati alla questione del primato. In seguito, mostra alcuni progressi significativi nella riflessione ecumenica contemporanea sulle principali questioni teologiche che tradizionalmente mettono in discussione il primato papale: una rinnovata lettura dei «testi petrini», il superamento dell’opposizione tra de iure divino e de iure humano e una rilettura ermeneutica dei dogmi del primato di giurisdizione e dell’infallibilità.

In una terza parte il documento propone alcune prospettive per un ministero di unità in una Chiesa riunificata: necessità o meno di un primato nella Chiesa, criteri del primo millennio, principi per l’esercizio di un primato nel XXI secolo. Infine, in una quarta parte, riprende i suggerimenti o le richieste concrete rivolte alla Chiesa cattolica da parte di alcuni dialoghi: una rinnovata interpretazione del Vaticano I, un esercizio differenziato del primato del vescovo di Roma, la promozione della sinodalità ad intra e ad extra.

Il documento si conclude con una proposta del dicastero intitolata Verso un esercizio del Primato nel XXI secolo, che individua i suggerimenti più significativi avanzati dai diversi dialoghi per un rinnovato esercizio del ministero di unità del vescovo di Roma.

Riprendendo le idee principali del documento, ma ispirandosi anche al recente Sinodo sulla sinodalità, le riflessioni che seguono vorrebbero illustrare come la riflessione ecumenica sul primato abbia permesso di superare alcune false opposizioni e di aprire prospettive per un primato concepito come ministero differenziato di unità – un primato ecumenico in una Chiesa sinodale.

Un primato ecumenico in una Chiesa sinodale

(M. Basile, pexels.com)

Superare false contraddizioni

Tra primato e sinodalità

Alcune dicotomie o contrapposizioni ecclesiologiche sono state relativizzate grazie al dialogo ecumenico dopo il Concilio Vaticano II. Una prima dicotomia riguarda il rapporto tra primato e sinodalità. Questo binomio è stato alla base della riflessione ecclesiologica ecumenica degli ultimi cinquant’anni, che ha posto l’accento sulla reciproca interdipendenza e complementarità del primato e della sinodalità a tutti i livelli della Chiesa: locale, regionale, universale.

Il principale vantaggio di questo approccio è stato quello di dimostrare la necessità del primato e della sinodalità a livello universale. Tuttavia, questo approccio dicotomico comporta il rischio di presentare il primato e la sinodalità come due principi concorrenti da mantenere in equilibrio, dove la sinodalità è intesa come un contrappeso al primato e viceversa. Invece di concepire il rapporto tra primato e sinodalità in modo dialettico, diversi dialoghi ecumenici hanno preferito comprendere la sinodalità in modo più ampio, come un’articolazione dinamica di tre dimensioni: comunitaria, collegiale e primaziale.

Questo triplice approccio era stato proposto per la prima volta dalla Commissione Fede e Costituzione nel 1927. Il Documento finale della XVI Assemblea generale del Sinodo dei vescovi nel 2024 ha ripreso questa comprensione: «La sinodalità, infatti, articola in modo sinfonico le dimensioni comunitaria (tutti), collegiale (alcuni) e personale (uno) di ogni Chiesa locale e dell’intera Chiesa. In questa prospettiva, il ministero petrino risulta insito nella dinamica sinodale, così come la dimensione comunitaria, che include tutto il Popolo di Dio, e quella collegiale del ministero episcopale» (n. 130).
L’articolazione dinamica delle tre dimensioni – comunitaria, collegiale e primaziale – permette di comprendere il primato come parte della sinodalità in senso lato, il che è particolarmente promettente sia per l’ecclesiologia cattolica che per la metodologia ecumenica.

Tra de iure divino e de iure humano

Una seconda falsa opposizione riguarda il rapporto tra de iure divino e de iure humano. Mentre la teologia cattolica comprende tradizionalmente il primato del vescovo di Roma come istituito per diritto divino, la maggior parte degli altri cristiani, almeno quelli che accettano il concetto di primato, lo comprendono come stabilito semplicemente per diritto umano. Come mostra il documento Il Vescovo di Roma, chiarimenti ermeneutici hanno permesso di relativizzare questa dicotomia tradizionale. Piuttosto che contrapporre il diritto divino al diritto umano, diversi dialoghi ecumenici hanno insistito sulla distinzione tra il contenuto teologico del primato e la sua espressione contingente, tra la sua essenza dottrinale e la sua forma storica.

Già papa Giovanni Paolo II, in Ut unum sint, aveva distinto nel ministero petrino «l’essenziale della sua missione» dalla «forma di esercizio del primato», una forma che «si apra ad una situazione nuova» (UUS, n. 95). Ma se è opportuno sottolineare la dimensione anche umana del primato, vale ugualmente la pena riflettere sulla dimensione divina della sinodalità. Infatti, poiché la Chiesa è al contempo divina e umana, le sue istituzioni e i suoi canoni non hanno solo un valore organizzativo o disciplinare, ma sono l’espressione della vita della Chiesa sotto la guida dello Spirito Santo. La sinodalità, come il primato, è quindi inerente all’essenza della Chiesa ed è quindi anche de jure divino, come ha spesso sottolineato il metropolita Zizioulas.

Un primato ecumenico in una Chiesa sinodale

(H. Acevedo, pexels.com)

Tra Chiesa locale e Chiesa universale

Un terzo falso contrasto riguarda il rapporto tra Chiesa locale e Chiesa universale. Mentre la maggior parte delle tradizioni cristiane di solito pone l’accento sulla realizzazione locale della Chiesa, l’ecclesiologia cattolica insiste sulla sua dimensione universale. È nota la discussione tra i cardinali Kasper e Ratzinger negli anni ’90, in seguito all’affermazione, nella lettera Communionis notio (Congregazione per la Dottrina della Fede, 1993) della priorità ontologica e cronologica della Chiesa universale sulle Chiese particolari (n. 9). I dialoghi ecumenici hanno permesso di tenere maggiormente conto della simultaneità di queste due dimensioni, della «correlazione intrinseca» o «pericoresi ecclesiologica» tra la Chiesa locale e la Chiesa universale.

Ad esempio, il primo documento del dialogo internazionale ortodosso-cattolico affermava: «Poiché Cristo è uno per i molti, così nella Chiesa, che è suo corpo, l’uno e i molti, l’universale e il locale, sono necessariamente simultanei» (Monaco di Baviera, 1982). Soprattutto, i dialoghi ecumenici hanno sottolineato che nella maggior parte delle comunioni cristiane non è il livello locale o universale ad essere più rilevante per l’esercizio del primato, ma il livello regionale. È quindi necessario articolare il primato nella Chiesa intera con i primati nelle Chiese a livello regionale.

Tra il primo e il secondo millennio

I principi e i modelli di comunione onorati nel corso del primo millennio rimangono paradigmatici per una futura ricomposizione della piena comunione. A questo proposito si ricordano spesso le parole del cardinale Ratzinger: «Per quanto riguarda la dottrina del primato, Roma non deve pretendere dall’Oriente più di quanto sia stato formulato e vissuto durante il primo millennio» (Theologische Prinzipienlehre, 1982).

Tuttavia, soprattutto nel dialogo ortodosso-cattolico, c’è una forte tendenza a idealizzare il primo millennio. In realtà, non si può realmente parlare di una Chiesa «indivisa» nel corso del primo millennio. Come ha osservato Yves Congar, tra il IV secolo e il IX secolo, epoca dei concili ecumenici, ben 217 anni di scisma hanno separato Roma e Costantinopoli, per non parlare delle tragiche divisioni del V secolo in seguito ai concili di Efeso e Calcedonia (Neuf-cents ans après, 1954). Il consueto contrasto tra il primo e il secondo millennio nelle relazioni ecclesiali tra Oriente e Occidente è quindi troppo semplicistico.

La Chiesa riunificata non può basarsi esclusivamente sul ripristino delle antiche istituzioni del primo millennio senza tener conto degli sviluppi del secondo millennio. Inoltre, anche tenendo conto dei primi due millenni, le Chiese, sulla via della piena comunione, dovrebbero prima di tutto rispondere alle sfide del terzo millennio. Come riconosce la risposta della Chiesa d’Inghilterra a Ut Unum Sint: «Le strutture del primo millennio non possono essere semplicemente ricreate nelle diverse circostanze alla vigilia del terzo millennio. Pur essendo fedeli al passato, dobbiamo anche essere fedeli al contesto attuale e alle esigenze della vita, della testimonianza e del servizio in comune oggi» (1997).

Tra «primato d’onore» e «primato di giurisdizione»

Un’ultima falsa opposizione riguarda il binomio «primato d’onore» e «primato di giurisdizione». Si può dire che esiste un consenso ecumenico a favore del riconoscimento di un primato d’onore al vescovo di Roma. Tuttavia, diversi dialoghi ecumenici sottolineano che nel primo millennio il «primato d’onore» non significava semplicemente «precedenza onorifica», ma l’autorità di prendere decisioni reali. Già nel 1991, il dialogo cattolico-ortodosso francese invitava a superare l’opposizione tra «primato d’onore» e «primato di giurisdizione», riconoscendo che «l’onore implica una responsabilità e un’autorità reale: se il “primate” è effettivamente inter pares, non è meno primus» (La primauté romaine dans la communion des Églises).

Un primato come ministero diversificato di unità 

Sulla base del superamento delle opposizioni sopra menzionate e sulla scia dei suggerimenti avanzati dai dialoghi teologici, il documento Il Vescovo di Roma propone prospettive per un primato concepito prima di tutto come un ministero differenziato di unità.

Un consenso differenziato sul primato?

Un primo suggerimento è una «ri-ricezione», una «interpretazione ufficiale», un «commento aggiornato» o addirittura una «riformulazione» degli insegnamenti del Concilio Vaticano I da parte della Chiesa cattolica. Infatti, alcuni dialoghi ecumenici osservano che questi insegnamenti sono stati profondamente condizionati dal loro contesto storico e suggeriscono che la Chiesa cattolica dovrebbe cercare nuove espressioni e un nuovo vocabolario fedeli all’intenzione originale, ma integrati in una ecclesiologia di comunione e adattati al contesto culturale ed ecumenico attuale. In questa «ri-ricezione», il modello ecumenico del consenso differenziato – utilizzato dal dialogo internazionale cattolico-luterano nella Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione (1999) – potrebbe essere utile. Seguendo la sua metodologia, alcuni dialoghi hanno proposto una dichiarazione comune che stabilisca un consenso di base sull’autorità e il ministero del vescovo di Roma.

Un esercizio differenziato del primato

Un secondo suggerimento avanzato da diversi dialoghi ecumenici è quello di distinguere più chiaramente le diverse responsabilità del Papa, in particolare tra il suo ministero patriarcale nella Chiesa occidentale e il suo ministero primaziale di unità nella comunione delle Chiese. Ad esempio, l’ultimo documento del dialogo internazionale cattolico-ortodosso invita a «distinguere quello che potrebbe essere definito il ministero patriarcale del Papa all’interno della Chiesa occidentale o latina dal suo servizio primaziale nei confronti della comunione di tutte le Chiese» (Alessandria, 2023).

La reintroduzione, nell’Annuario Pontificio 2024, del titolo di «Patriarca d’Occidente» tra i titoli storici del Papa potrebbe essere l’occasione per riflettere su questa distinzione. Sarebbe inoltre necessario distinguere meglio il ruolo patriarcale e quello primaziale del vescovo di Roma dalla sua funzione politica di capo di Stato. Infine, dato che le diverse responsabilità del Papa si basano sul suo ministero di vescovo di Roma, alcuni dialoghi sottolineano che è anche importante porre l’accento sul suo ministero episcopale a livello locale. A questo proposito, il fatto che molti documenti pontifici siano ora firmati «da San Giovanni in Laterano» è di grande significato ecclesiologico.

Un ordinamento differenziato della Chiesa

Una terza raccomandazione dei dialoghi teologici riguarda lo sviluppo della sinodalità interna alla Chiesa cattolica attraverso un’organizzazione – anch’essa «differenziata» – della Chiesa cattolica. Un aspetto importante di questa sinodalità ad intra sarebbe il rafforzamento della dimensione regionale. Il dialogo internazionale cattolico-ortodosso ha così sottolineato l’importanza ecclesiologica delle strutture regionali sia in Oriente che in Occidente, stabilendo un parallelismo – già presente in Lumen Gentium, n. 23 – tra i patriarcati e le conferenze episcopali: «Nell’Oriente cristiano sono stati fondati nuovi patriarcati e Chiese autocefale, e nella Chiesa latina è emerso di recente un particolare modello di raggruppamento di vescovi, le Conferenze episcopali. Queste non sono, dal punto di vista ecclesiologico, semplici suddivisioni amministrative: esprimono lo spirito di comunione nella Chiesa, rispettando allo stesso tempo la diversità delle culture umane» (Ravenna, 2007).
Già nel 1969 l’allora professore Joseph Ratzinger chiedeva «se le Chiese dell’Asia e dell’Africa, come quelle dell’Oriente, non potessero “diventare l’equivalente” di patriarcati sotto questo o un altro nome» (Das neue Volk Gottes).

Da parte sua, il Documento finale del Sinodo sulla sinodalità afferma che «la valorizzazione dei luoghi “intermedi” tra Chiesa locale e Chiesa universale – come la Provincia ecclesiastica e i raggruppamenti di Chiese a base nazionale o continentale – può favorire una più significativa presenza della Chiesa nei luoghi del nostro tempo» (n. 119), e che «nel processo sinodale le Assemblee ecclesiali continentali hanno rappresentato una novità rilevante e sono un’eredità da valorizzare come modo efficace di attuare l’insegnamento conciliare sul valore “di ogni grande territorio socio-culturale” nella ricerca di “una più profonda sistemazione di tutto l’ambito della vita cristiana” (Ad gentes, n. 22)» (n. 126).

Un primato ecumenico in una Chiesa sinodale

(A. Masi, pexels.com)

Una sinodalità ecumenica differenziata

La quarta proposta avanzata dagli ecumenici riguarda quella che si può chiamare la sinodalità ad extra – o una «sinodalità ecumenica», differenziata a seconda dei partner di dialogo. Infatti, sebbene la sinodalità sia una realtà interna alle Chiese, il termine può applicarsi anche alle relazioni tra le Chiese, poiché il cammino ecumenico è anche un processo di «cammino comune» (syn-odos). L’invito rivolto alle altre comunioni cristiane a prendere parte ai processi sinodali cattolici a tutti i livelli è particolarmente importante, come dimostra la partecipazione di sedici delegati fraterni al recente Sinodo sulla sinodalità.

Iniziative recenti, come l’incontro del 2018 a Bari di Capi di Chiese invitati a pregare e riflettere insieme sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente, o il pellegrinaggio ecumenico per la pace di Papa Francesco, dell’arcivescovo Justin Welby e del reverendodo Iain Greenshields nel Sud Sudan nel 2023, illustrano questa sinodalità ad extra.

Il Documento finale del Sinodo sulla sinodalità invita inoltre tutti i battezzati a «immaginare pratiche sinodali ecumeniche, fino a forme di consultazione e discernimento su questioni di interesse condiviso e urgente, come potrebbe essere la celebrazione di un Sinodo ecumenico sull’evangelizzazione» (n. 138). In particolare, la preparazione e la commemorazione congiunta del 1700° anniversario del Concilio di Nicea «dovrebbe essere un’occasione per approfondire e confessare insieme la fede cristologica e per mettere in pratica forme di sinodalità tra i Cristiani di tutte le tradizioni» (n. 139).

Verso un modello differenziato di comunione

Una quinta proposta riguarda la ricerca di un modello differenziato di comunione. Superate le opposizioni sopra menzionate, dovrebbe essere possibile proporre un modello di comunione basato su «un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» (UUS, n. 95). Un simile modello di comunione si realizzerebbe in modo differenziato in Oriente e in Occidente – e anche in modo diverso all’interno dell’Oriente e dell’Occidente: nella Chiesa latina, con le altre comunioni cristiane occidentali, con le Chiese orientali cattoliche e con le Chiese ortodosse.

Queste ultime, con le quali la Chiesa cattolica riconosce una comune struttura ecclesiale fondata sulla tradizione apostolica e sui sacramenti, non ritengono che l’attuale rapporto delle Chiese orientali cattoliche con Roma sia un modello di comunione accettabile per loro.

Un nuovo modello potrebbe includere due responsabilità del ministero di unità del vescovo di Roma individuate da alcuni dialoghi ecumenici: un ruolo specifico nei Concili ecumenici (come la convocazione e la presidenza) e un ruolo di moderazione in caso di conflitti di natura disciplinare o dottrinale, attraverso l’esercizio sinodale della procedura di appello, come descritto dal Concilio di Sardica (343). Con le comunioni cristiane occidentali, anche se rimangono da risolvere questioni ecclesiologiche fondamentali, molti dialoghi ecumenici riconoscono la necessità di un ministero di unità per l’intera Chiesa al fine di promuovere la missione dei cristiani, e offrono importanti prospettive per un accettabile esercizio di un primato di annunzio e testimonianza (kerygma-martyria), che potrebbe essere accolto da altri cristiani occidentali anche prima del ripristino della piena comunione.

Queste riflessioni, basate sul documento Il Vescovo di Roma e sul recente Sinodo sulla sinodalità, hanno voluto illustrare come il superamento di diverse opposizioni classiche apra nuove prospettive per un primato concepito soprattutto come un ministero di unità – per un primato ecumenico in una Chiesa sinodale.

La mancanza di visione e di prospettive chiare è infatti ciò che oggi si percepisce maggiormente nel movimento ecumenico. Eppure, come evidenzia il famoso detto di Seneca: «Non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare». Sulla via ecumenica, il documento Il Vescovo di Roma, inviato a tutti i Capi di Chiesa e leader cristiani, si presenta come un utile bussola per continuare il cammino, «ovviamente insieme» (UUS, n. 95).


(Foto d’apertura: Alina Cernii, pexels.com)

Hyacinthe Destivelle

Rev.do P. Hyacinthe Destivelle, OP, officiale della Sezione orientale del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani.

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