17 Agosto 2018
I paesi baltici attendono papa Francesco
Il prossimo settembre papa Francesco visiterà i paesi baltici. Saranno quattro giorni particolarmente intensi, che vedranno il pontefice impegnato in molti appuntamenti in Lituania, Lettonia ed Estonia.
Papa Francesco, invitato dai vescovi e dai presidenti, giunge nell’anno dei festeggiamenti per il centenario dell’indipendenza delle tre repubbliche. È dunque un segno di particolare stima nei confronti di queste «tre sorelle».
Tre Stati ben diversi fra loro, eppure accomunati negli ultimi cento anni da un cammino simile nella storia: l’indipendenza, dichiarata al termine della Prima guerra mondiale dopo un travagliato risorgimento nazionale, l’annessione nel 1940 all’Unione Sovietica, che ha ferito questi popoli con pesantissime deportazioni e un forte tentativo di russificazione, e il ristabilimento dell’indipendenza nel 1990.
Delle tre repubbliche solo la Lituania è a maggioranza cattolica, mentre Lettonia ed Estonia sono storicamente protestanti. L’appartenenza alla Chiesa cattolica è particolarmente legata alla coscienza di popolo in Lituania: basta considerare il fatto che dei 20 firmatari dell’Atto di indipendenza del 1918 con il quale si costituiva stato indipendente, ben 4 erano sacerdoti. Inoltre l’attenzione della Santa Sede per le tre nazioni baltiche si è manifestata fin subito dopo la loro indipendenza, con l’erezione a partire dagli anni ’20 di nunziature per ciascuna repubblica. Fra gli ufficiali apostolici che vi hanno preso servizio fino alla vigilia della Seconda guerra mondiale, due si sono particolarmente affezionati alla storia di questi popoli: il cardinal Samorè, il quale mantenne per tutta la vita un vivo amore per la Lituania, e l’arcivescovo Areta, che rimase a Riga fino all’agosto del ‘40, due mesi dopo l’occupazione sovietica. Di lui si racconta che, quando fu costretto dal regime occupante a tornare a Roma, prese con sé una bandiera lettone ed una estone, promettendo che la Santa Sede avrebbe avuto a cuore il ristabilimento della loro indipendenza.
Purtroppo mons. Samorè non poté fare molto di più che compiere questo gesto di solidarietà. Eppure questo segno può dirsi in qualche modo profetico, se si tiene presente che alcuni decenni dopo salì al soglio pontificio Giovanni Paolo II, il papa per cui la liberazione di tutto l’Est Europa dal giogo dell’ideologia fu una preoccupazione costante. Fu proprio papa Woityła il primo pontefice a visitare le tre repubbliche baltiche nel settembre del 1993. Per il santo pontefice la visita in Lituania fu significativa anche sul piano personale: nella chiesa del Santo Spirito, dove si riunisce la comunità polacca della città, rivelò di sentire un particolare legame con la capitale lituana: «Non sono mai stato a Vilnius, sono qui per la prima volta. Nello stesso tempo si può dire che per tutta la mia vita, almeno dall’età della ragione, ero a Vilnius. Ero a Vilnius con il pensiero e con il cuore. Si potrebbe dire con tutto il mio essere, almeno in qualche sua particolare dimensione». Forse il motivo di questo legame affettivo è legato alla figura di suor Faustyna Kowalska, che visse a Vilnius dal 1933 al 1936. Proprio in questa città la giovane suora iniziò a ricevere il dono delle apparizioni descritte nel suo diario ed è a Vilnius che si conserva il celebre dipinto di Gesù misericordioso da lei fatto realizzare.
Oltre ad essere la prima nella storia, quella di Giovanni Paolo II fu una visita apostolica molto lunga. Furono numerosi gli incontri con i fedeli, le celebrazioni e i momenti di preghiera; il santo padre incontrò inoltre nelle università delle capitali baltiche i rappresentanti del mondo accademico, intellettuali credenti e non credenti, partecipò ad incontri ecumenici e pregò sulle tombe dei martiri per l’indipendenza. In molte occasioni il pontefice fece riferimento alle sofferenze subite sotto il regime sovietico: la perdita delle proprie istituzioni statali, l’imposizione di una ideologia atea e materialista, il soffocamento della libertà religiosa e di pensiero, le deportazioni di innumerevoli famiglie e tutte le gravi persecuzioni di quel periodo buio. Per Giovanni Paolo II si trattava di condividere ciò che la sua stessa patria aveva sofferto e di portare – come messaggero di speranza – il richiamo a non ripiegarsi sul passato e a cogliere le sfide non meno impegnative del mondo contemporaneo.
Giovanni Paolo II in visita al Monte delle Croci, settembre 1993.La prossima visita di papa Francesco è un evento che può essere letto in sinossi con la precedente visita di san Giovanni Paolo II. Innanzitutto perché il palinsesto del viaggio è simile, anche se un poco più breve, al programma del viaggio apostolico di Wojtyła. Vi sarà un incontro con i giovani, momenti di preghiera nei santuari più importanti, l’incontro con i diplomatici, momenti di incontro ecumenico, l’omaggio al monumento della libertà a Riga e la visita al Museo delle repressioni a Vilnius. Nel corso di questi 25 anni, inoltre, la storia delle tre repubbliche baltiche si è arricchita di molti passaggi, sicché i paesi che incontrerà Francesco sono ormai molto diversi da quelli che visitò san Giovanni Paolo II.
Il rilancio economico dei primi anni ‘90 ha fatto compiere passi da gigante all’economia, anche se purtroppo queste regioni si sono rivelate particolarmente fragili alla crisi economica. Il secolarismo, come nel resto dell’Europa, ha accelerato un certo processo di disinteresse nei confronti della religione e di questo processo culturale ha forse risentito di più l’Estonia. I paesi baltici, assieme ai paesi scandinavi e ad altre nazioni del Nord ed Est Europa, hanno formulato il disincanto dalla tradizione religiosa con un revival del paganesimo. Si tratta di una religiosità informale legata alla natura, che nelle luminose estati del Nord ha un aspetto magnifico, intessuta di alcuni richiami alle tradizioni folcloristiche rurali. Questo fenomeno può essere letto accanto al processo di crisi, o per lo meno di cambiamento, dell’identità nazionale nel contesto culturale della nuova Europa. I popoli baltici mostrano infatti un forte attaccamento alla propria nazione, un amor di patria che ha sostenuto quasi due secoli di lotte contro potenze nazionali gigantesche, l’impero russo prima e l’Unione Sovietica dopo.
La coesione di popolo per la causa dell’indipendenza dal regime sovietico è stata davvero esemplare; essa è cresciuta fino a concretizzarsi nel grande movimento per la libertà della fine degli anni ‘80: al regime che aveva imposto loro la Rivoluzione bolscevica, i popolo baltici rispondevano con la cosiddetta «Rivoluzione dei canti», la testimonianza pacifica della resistenza all’uomo sovietico forgiato dal partito dimostrata con l’unità di popolo scandita dai canti popolari. Eppure con il ristabilimento dell’indipendenza, questa formidabile unità è stata subito messa in crisi. Immediatamente dopo il 1990 un massiccio flusso migratorio ha invertito il trend demografico positivo, segno che alla capacità di collaborazione per la resistenza al regime sovietico è seguita una difficoltà nella collaborazione alla costruzione della nuova società libera. Alcuni leggono questo dramma come l’effetto della crisi culturale dell’intero Occidente, la crisi che ha causato il rifiuto di ogni autorità, che ha accresciuto l’individualismo e che oggi alimenta il populismo e la critica delle istituzioni. Se la relativa prosperità dell’Europa occidentale attutisce e rallenta gli effetti di questa crisi culturale sulla società e sull’economia, l’effetto che ha avuto nei paesi baltici mostra quanto essa sia in realtà pericolosa.
Il magistero della Chiesa e la cura pastorale dei pontefici può essere colta come una risposta diretta a queste problematiche comuni a tutto l’Occidente. Giovanni Paolo II, giunto quando i segni di questa crisi erano solo agli inizi, aveva già stigmatizzato questi segnali nel discorso tenuto presso l’Università di Vilnius: «Totalitarismi di opposto segno e democrazie malate hanno sconvolto la storia del nostro secolo. I sistemi che si sono avvicendati e contrapposti hanno ciascuno la propria inconfondibile fisionomia, ma non credo ci si sbagli considerandoli tutti figli di quella cultura dell’immanenza che s’è largamente affermata nell’Europa degli ultimi secoli, inducendo a progetti di esistenza personale e collettiva ignari di Dio e irrispettosi del suo disegno sull’uomo. Ma può l’uomo esistere e “resistere” senza Dio? Il Concilio ecumenico Vaticano II ha opportunamente ricordato che “la creatura, senza il Creatore, svanisce” (Gaudium et spes, 36). Guai a dimenticare questa basilare verità!».
Per vivere in una società libera, dunque, non è necessaria la semplice fuoriuscita da un regime ostile, poiché la cura del bene comune e della dignità della persona rimane in scacco anche nella democrazia. Il magistero di Benedetto XVI, che ha messo in guardia contro la dittatura del relativismo, è una coerente prosecuzione di questo insegnamento.
Papa Francesco giunge dunque in un momento in cui è quanto mai necessaria la speranza. Il sentimento che questo viaggio sia atteso da tutti, credenti e non credenti, è palpabile. Tutti infatti hanno bisogno di un antidoto al cinismo, e la società civile di ciascuna delle tre repubbliche è contenta della grande attenzione che il papa ha riservato loro accogliendo il loro invito. Un segno è il fatto che il parlamento lettone ha stabilito che il prossimo 24 settembre sarà giorno di vacanza, proprio per permettere a tutti di partecipare alla messa con papa Francesco. Un dato eloquente in un paese in cui i cattolici sono una minoranza!
Anche la Chiesa lituana si sta preparando da molto a questo evento. Il tema della Divina Misericordia sembra collegare idealmente la precedente visita apostolica a quella attuale: quello della misericordia è infatti un tema caro tanto a Giovanni Paolo II quanto a Francesco. La Chiesa lituana ha vissuto con particolare intensità l’anno giubilare straordinario della Misericordia. Nel luglio di due anni fa si è tenuto a Vilnius il Congresso della Misericordia al quale papa Francesco ha inviato come proprio vicario il cardinale di Stato Parolin. Al termine della solenne liturgia che chiudeva il congresso, l’arcivescovo di Vilnius ha chiesto di confidare al papa «che la Lituania lo aspetta impaziente». Lo scorso 5 luglio, vigilia della festa nazionale lituana, la sala stampa vaticana ha finalmente annunciato che la visita si terrà dal 22 al 25 settembre e la conferenza episcopale lituana ha messo in atto un intenso programma di preparazione dei fedeli.
L’arcivescovo di Vilnius, Gintaras Grušas, ha offerto una bellissima introduzione alla visita di papa Francesco, preparando i cuori di tutti. Nell’omelia pronunciata durante la solenne eucarestia in occasione della festa nazionale, il cui testo riportiamo qui sotto, ha offerto una sintesi del cammino della nazione nella storia. Le sue parole fanno risaltare la pertinenza del Vangelo alle vicende umane, sopra cui si posa al contempo l’ombra del potere e lo sguardo amorevole di Dio. Sullo sfondo delle parole dell’arcivescovo si colgono le tante storie di sofferenza e persino di disperazione che non smettono di accadere anche dopo l’uscita dalla lunga dittatura sovietica. La visita del papa giunge affinché la nazione intera e ciascun cittadino possa guardare con speranza alla vita e al futuro, poggiati sulla certezza che è lo sguardo misericordioso di Dio su ciascuno a cambiare la vita: è Cristo che guida la storia guardandoci con misericordia e predilezione.
APPROFONDIMENTI
• L’omelia di mons. Grušas
• Il programma della visita di papa Francesco (22-25 settembre 2018)
Paolo Polesana
Dopo la laurea all’università statale di Milano, ha conseguito il dottorato in fisica a Como e ha lavorato nei laboratori laser dell’università di Vilnius (Lituania). Ora è sacerdote diocesano a Bergamo. Da diversi anni collabora con l’Associazione Russia Cristiana
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