21 Ottobre 2022
Mosca, un concerto a sorpresa
Due cantautori russi, idoli degli anni ’80 tornano in concerto a Mosca. E si permettono di dire cose incredibili. Con la riscossa dell’ironia, si riscuote anche la ragione.
Un concerto, in pieno centro di Mosca, ha inaspettatamente dato voce all’«altra Russia», quella che da mesi guarda con sbigottimento e dolore a ciò che sta avvenendo nel mondo e nel proprio paese, e si è trasformato in un simbolo della libertà di espressione, calpestata ma irriducibile.
«Il ritorno del leggendario duo di cantautori Ivaščenko e Vasil’ev, gli Ivasi a Mosca dopo 22 anni, il prossimo settembre»: così preannunciato e ampiamente reclamizzato dai media fin dall’agosto scorso, questo concerto unico fissato per il 26 settembre ha creato da subito una grande attesa tra il pubblico. Oltre alla vendita dei biglietti è stata aperta una sottoscrizione pubblica (che nel giro di due giorni ha raddoppiato la cifra che gli organizzatori si erano prefissata), allo scopo di girare un film sul concerto e pubblicarlo in internet. Il concerto è stato un bagno di folla – oltre duemila persone alla «Casa della gioventù», una grande sala nel centro della capitale, con spettatori provenienti da ogni parte della Russia, che avevano fatto anche due giorni di viaggio per partecipare all’evento, moltissimi giovani ma anche intere famiglie di tre generazioni, dai nonni ai nipoti.
Pubblicizzando il concerto, i due cantanti non hanno fatto mistero di quanto avevano in animo di dire: «Cari amici, più di vent’anni fa abbiamo smesso di cantare in coppia. Certo, ogni tanto ci ritrovavamo a cantare insieme in occasione di qualche anniversario, ma un concerto vero e proprio, in due tempi, in una grande sala, non l’abbiamo più dato, e non avevamo intenzione di darlo… Ma in una situazione come questa – volenti o nolenti – bisogna cantare. Uno dei classici ha detto: “Se potete non scrivere, non scrivete”. Noi in tutti questi anni potevamo non dare concerti, e non li abbiamo dati.
Ma adesso, a quanto pare, siamo tornati all’epoca in cui la gente normale parla delle cose importanti col linguaggio delle barzellette e delle canzoni. E noi ci siamo ricordati del linguaggio delle nostre canzoni. E vogliamo dare un grande concerto. Sentirete vecchie canzoni, che all’improvviso sono ridiventate nuove, e canzoni nuovissime. Il concerto si intitolerà “Il pensiero perpetuo”. Vogliamo ringraziare quelli che hanno organizzato il concerto e le riprese. Per noi è importante che lo veda il maggior numero possibile di persone».
Lo spot di promozione del concerto.
Il nome Ivasi è una sigla nata un po’ per caso dai cognomi dei due protagonisti, Georgij Vasil’ev e Aleksej Ivaščenko, noti al pubblico russo dagli anni ’80. I due, studenti alla Facoltà di geografia, fanno conoscenza nel 1976 e mettono su insieme qualche spettacolo in ambito universitario, fino a creare uno Studio musicale (1983) presso il Teatro studentesco dell’Università statale di Mosca.
Sono gli anni in cui, tra ufficialità e cultura alternativa, nascono cantautori e bardi che affrontano in un linguaggio esopico ironico e graffiante, fatto di allusioni e giochi di parole, la problematica sociale e politica altrimenti impossibile da trattare. E così fanno gli Ivasi, che sempre negli anni ’80 stringono amicizia con il «Club della canzone amatoriale», un movimento informale che si dava convegno fuori città, accampandosi in boschi e radure, per organizzare in questa cornice concerti e festival alternativi. Nel 1986 vincono il primo premio al «Festival della canzone d’autore» di Saratov, con le canzoni «Jukebox» e «Il pensiero perpetuo», che ha dato il nome a quest’ultimo concerto. Negli anni ’90 danno centinaia di concerti sia in Russia che nei paesi ex sovietici e all’estero (Germania, USA, Australia, Israele).
Ivaščenko e Vasil’ev hanno lavorato anche come autori di musical, il più tristemente noto dei quali è stato Nord-Ost, messo in scena al teatro Dubrovka, dove nell’ottobre 2002 in seguito a un attentato terroristico perirono oltre 200 persone. Da quel momento fino al 26 settembre scorso i due praticamente non sono più apparsi insieme sul palcoscenico.
«Il pensiero perpetuo»
Stiamo tornando ai vecchi tempi, hanno detto Ivaščenko e Vasil’ev al concerto, presentando il loro vecchio cavallo di battaglia «Il pensiero perpetuo»: con la differenza che «allora c’era già la libertà di pensiero, ma non ancora quella di parola, mentre ora la libertà di pensiero c’è ancora, ma non più quella di parola». Una preoccupante inversione di tendenza:
«Negli anni ‘80 si parlava sempre più apertamente, si provava a osare sempre più, si risaliva la china; oggi invece il segno è inverso, la società civile perde gradualmente terreno, viene progressivamente privata delle libertà conquistate negli anni, si è costretti a dire sempre di meno».
Per questo è importante ricordare che abbiamo in noi un potere, una libertà che nessuno può toglierci.
«Senza ingranaggi né pulegge / senza nessuna causa visibile / giorno e notte instancabile / il nostro pensiero perpetuo ronza. / Può rallentare / oppure a un tratto accelerare / del segreto pensiero l’audace corsa, / e non ci sarà meccanico / non ci sarà truffatore / non ci sarà terrore / che possa spegnerlo per sempre… / Spesso ci costringono a ballare / al suono del piffero di turno. / A votare per alzata di mano, a marciare a gamba tesa / e a piantar chiodi sbattendoci la testa. / Ma grazie a Dio, di pensare siamo liberi / quando vogliamo e di ciò che vogliamo. / E le fandonie più pacchiane ci fan ridere / finché in noi ronza l’invisibile motore».
Non è facile, probabilmente, comprendere dall’esterno l’emozione che possono suscitare oggi in Russia parole come queste. E la serata ha visto vari momenti di grande emozione, ad esempio, quando Vasil’ev ha detto che al concerto era prevista anche la presenza del giornalista Grigorij Tarasevič: «Però ha avuto l’imprudenza di partecipare a una manifestazione non autorizzata contro la mobilitazione, e per questo, invece di essere qui in sala con noi, è in prigione». Ha fatto seguito una lunghissima ovazione del pubblico, levatosi in piedi come un sol uomo, e poi la canzone La verità:
«Un cane che non mangia da tre giorni / è pronto a buttarsi sull’avena al posto del salame, / gettagli qualsiasi avanzo / lo divorerà senza pensarci… / Se per molti lunghi giorni / ingrassi i maiali coi rifiuti / penseranno che niente di più appetitoso / si può trovare in questo nostro mondo… / Ma chi anche una volta sola abbia assaggiato / l’aspro elisir della libertà / anche allo stremo delle forze / non si abbasserà a cibarsi di rifiuti; / e se conosci il gusto della verità, / per quanto amara possa essere, / non la cambierai mai con nient’altro».
«Non siamo degli zeri»
Il concerto, da pochi giorni anche su youtube, cosa che gli ha procurato una risonanza straordinaria ha raggiunto il momento culminante quando Ivaščenko e Vasil’ev hanno cantato:
«Ci hanno chiuso la bocca, ci vietano tutto, ci opprimono, vogliono ridurci a degli zeri, ci riducono lo spazio, e schiacciano, schiacciano, ma a distruggerci non ce l’hanno fatta. Non sono riusciti a ridurci a degli zeri. Non siamo degli zeri. Non ci spingerai a calci nel recinto. Non siamo degli zeri. Ciascuno vale uno, e siamo milioni. Non siamo degli zeri. Chi non avrà paura a uscire dalla mandria, chi non avrà paura del dolore, chi non ha paura di pensare con la propria testa, quello vale uno, e di certo non è uno zero. Chi non ha paura, vale uno. Non siamo degli zeri. Chi di notte fa il volontario in ospedale, vale uno. Chi ogni giorno lavora per allargare i confini, vale uno. E chi non accetta di pregare per uno stronzo, vale uno. Chi non si abbassa ad annullarsi, vale uno».
Ci si chiede, quasi increduli, come sia stato possibile dire e cantare queste cose oggi, a Mosca, dialogando e cantando in un teatro strapieno, usando con fine ironia le parole della propaganda che la gente sente pronunciare ininterrottamente sui media, mostrando senza troppi giri di parole, in modo trasparente, che il re è nudo.
Come ha detto Vasil’ev, commentando qualche giorno dopo il concerto alla trasmissione «Breakfast show», «ci è venuta molto utile l’esperienza di quegli anni, gli anni bui della stagnazione, perché allora ci siamo fatti le ossa, ci siamo creati un linguaggio, per così dire esopico, che ci dà la possibilità di parlare apertamente e al tempo stesso di non essere presi in castagna».
La gente oggi è terribilmente spaventata, ha commentato ancora Vasil’ev nell’intervista, «ha perso la capacità di parlare; il rischio di finire in carcere per una parola detta l’ha demoralizzata, divisa e isolata, ed è stato proprio questo che in primavera ci ha spinti a ideare questo concerto, abbiamo sentito il dovere di farci interpreti di quello che le persone pensano ma hanno paura di dire, semplicemente scegliendo parole e canzoni che esprimano tutto questo. E mi sembra che siamo riusciti, abbiamo sentito che fra le persone si è creata un’unità, una coesione nuova».
(foto d’apertura: screenshot youtube)
Giovanna Parravicini
Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
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