Frassati oltre la cortina: il santo che ispirò i giovani dell’Est

9 Settembre 2025

Frassati oltre la cortina: il santo che ispirò i giovani dell’Est

Angelo Bonaguro

Pier Giorgio Frassati fu un modello spirituale per molti cristiani del blocco socialista: la sua carità «clandestina» verso i poveri rispecchiava le condizioni dei credenti sotto il regime. Così in Cecoslovacchia ispirò gruppi giovanili, e in Polonia la sua memoria si diffuse tramite la sorella Luciana e la devozione di Karol Wojtyła.

Pier Giorgio Frassati, nato a Torino il 6 aprile 1901, proveniva da una famiglia dell’alta borghesia: il padre Alfredo era un noto giornalista, fondatore e direttore del quotidiano La Stampa, oltre che senatore del Regno d’Italia; la madre, Adelaide Ametis, era un’affermata pittrice. Nonostante il contesto agiato, Pier Giorgio scelse di vivere una vita semplice e di dedicarsi interamente alla fede e al servizio del prossimo. I pilastri della sua spiritualità erano l’amore per l’Eucaristia, che riceveva quotidianamente, e la devozione alla Vergine Maria, che onorava recitando il rosario per strada o sui sentieri di montagna.

Frassati dedicava gran parte del suo tempo libero alle attività caritative, specialmente attraverso la Società di San Vincenzo de’ Paoli, che aiutava i poveri, i malati e gli orfani. La sua morte, il 4 luglio 1925, a soli 24 anni, fu causata da una poliomielite che aveva contratto probabilmente assistendo gli ammalati nei quartieri poveri di Torino.

Era un giovane con una personalità poliedrica, attivo anche in politica, nella cultura e nello sport. Nutriva una forte passione per l’alpinismo, strettamente legata alla vita spirituale, secondo il suo motto «Verso l’alto»: un ideale che lo spingeva a scalare le vette e simboleggiava la sua inarrestabile ascesa spirituale verso Dio, dimostrando come la fede si possa vivere nella letizia, nell’amicizia e nella pienezza della vita quotidiana.

Un aspetto rilevante della sua vita è la natura discreta e «segreta» del suo apostolato: nonostante l’intenso impegno, infatti, la famiglia non era pienamente consapevole delle attività caritative svolte dal figlio, come ha ricordato papa Francesco nel messaggio alla GMG del 2016: «Piergiorgio era un giovane che aveva capito che cosa vuol dire avere un cuore misericordioso, sensibile ai più bisognosi. A loro dava molto più che cose materiali; dava sé stesso, spendeva tempo, parole, capacità di ascolto. (…) Ai suoi funerali, i famigliari e gli amici rimasero sbalorditi per la presenza di tanti poveri a loro sconosciuti, che erano stati seguiti e aiutati dal giovane».

Frassati oltre la cortina: il santo che ispirò i giovani dell'Est

Frassati in montagna, fotografato dalla sorella Luciana.

Frassati e l’Est

Questa natura «clandestina» del suo servizio, che rifletteva una scelta deliberata di umiltà, è un elemento che lo avvicinava al contesto in cui si trovavano ad agire i cristiani nei paesi socialisti: sotto un regime in cui la fede veniva perseguitata e la sua pratica era considerata un atto di sovversione, l’esempio di Frassati dimostrava che la tensione alla santità poteva non solo sopravvivere ma crescere nell’ombra, lontano dal riconoscimento pubblico e persino in assenza di una vita sacramentale regolare o di strutture parrocchiali pubbliche, come spesso accadeva nella Chiesa cosiddetta «clandestina».

In un articolo uscito nel 1986 su Studie (periodico dell’emigrazione cecoslovacca) e ripreso anche dal samizdat slovacco, lo storico e diplomatico Václav Vaško ricordò che nei primi anni ’40, nella Slovacchia sotto protettorato nazista, quando i giovani del Partito popolare di don Andrej Hlinka (una formazione di tendenze clerico-fasciste e nazionaliste), visitarono l’Italia per conoscere il movimento giovanile fascista, contrariamente alle aspettative rimasero profondamente turbati da quell’esperienza, riconoscendo l’incompatibilità tra fascismo e ideali cristiani. Questa reazione portò alla nascita di un circolo religioso intitolato a Frassati e guidato da padre Ján Hutyra, vittima poi del totalitarismo comunista. «Gli aderenti curavano la crescita personale, cercavano di approfondire la formazione religiosa e filosofica, in modo da poter affrontare le ideologie con l’apostolato evangelico» – scrive Vaško, – e da operare sia nel loro ambiente che nelle organizzazioni studentesche già esistenti.

Allo stesso circolo Frassati parteciparono giovani che qualche anno dopo sarebbero diventati i responsabili dell’apostolato clandestino, come Vladimír Jukl e Silvester Krčméry: «Molti di noi – ha scritto Krčméry – furono colpiti dalla storia del giovane cristiano Pier Giorgio Frassati, e ne assorbirono letteralmente lo stile di vita. Il suo impegno attivo e l’amore per la Chiesa e per le persone ci toccavano profondamente. Volevamo essere come lui: fedeli nello studio, lieti nella vita comunitaria e capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo (…. ). La sua storia era anche un balsamo per le ferite dolorose di tanti di noi [si riferisce al periodo del protettorato nazista in Slovacchia – ndr]. (…) La paura silenziosa che portavamo dentro era domata dalla speranza, dalla giovinezza e dalla Buona Novella. Nel circolo Frassati cercavamo e scoprivamo noi stessi; il coraggio di quel giovane ci permetteva di giudicare la nostra debolezza, desideravamo la sua stessa forza e di poterci impegnare come lui. (…) Ciò che cercavamo, però, non era qualcosa di superficiale, volevamo qualcosa di più».
Era quel «verso l’alto» che dagli anni ’70, soprattutto in Slovacchia, prendeva forma concreta tra i giovani credenti che trovavano nell’escursionismo e nell’alpinismo una delle poche attività che permettevano una certa libertà di movimento e di incontro, in luoghi isolati. È plausibile che, guidati da adulti che si erano fatti le ossa nelle carceri comuniste, i giovani slovacchi abbiano trovato in Frassati un modello per le loro attività, unendo la pratica fisica alla crescita spirituale.

La diffusione del culto del giovane torinese in questo periodo non ha lasciato molte tracce nel samizdat, il che non deve sorprendere: la sua figura si è diffusa in modo clandestino e informale attraverso il passaparola, i racconti tra amici e familiari, la circolazione sottobanco di copie dell’unica biografia esistente allora in Cecoslovacchia, ossia la traduzione del testo del suo primo biografo, don Antonio Cojazzi, pubblicata nel 1934 e rieditata l’ultima volta nel 1947.

A mantenerne viva la memoria contribuì anche l’Ordine domenicano che nelle terre ceche e slovacche costituiva da secoli una presenza discreta ma importante, e che fu soppresso insieme agli altri Ordini all’inizio degli anni ’50. Anche in questo caso, infatti, il Pier Giorgio membro del Terzo Ordine domenicano rappresentava un esempio di vita laicale consacrata che poteva essere vissuta anche in condizioni di clandestinità.

In tempi più recenti, la beatificazione di Frassati da parte di Giovanni Paolo II il 20 maggio 1990, a pochi mesi dal crollo dei regimi totalitari in Europa centrale, ha segnato un momento importante per il suo culto; altrettanto significativa è stata la sosta a Bratislava delle reliquie del santo esposte durante la GMG del 2016.

Frassati oltre la cortina: il santo che ispirò i giovani dell'Est

L’ultima salita «Verso l’alto».

La sorella Luciana e don Karol

In Polonia la ricezione di Frassati in epoca comunista si arricchì di altri elementi, grazie anche alla situazione di maggiore libertà d’azione di cui poté godere la Chiesa.

La memoria del santo fu preservata e trasmessa attraverso due canali distinti ma collegati: un legame familiare diretto e una via spirituale. Il primo canale è legato alla sorella di Pier Giorgio, Luciana. Scrittrice e poetessa, nel 1925 sposò il diplomatico polacco Jan Gawroński, stabilendo un profondo legame personale e culturale con la Polonia. Visse a Varsavia e a Vienna, e fu testimone dei tragici eventi che colpirono l’Europa e la Polonia nel corso del XX secolo. Durante la Seconda guerra mondiale si distinse per il suo coraggio, agendo come emissaria del governo polacco in esilio a Londra: utilizzando il passaporto italiano, effettuò diverse missioni nella Polonia occupata dai nazisti, collaborando nella liberazione di docenti universitari arrestati e contribuendo a salvare vite. Perciò la sua figura e, di rimando, quella del fratello, rimasero presenti tra le fila dell’intelligencija.

Il secondo canale, che si rivelò il più influente e di vasta portata, fu la profonda devozione di Karol Wojtyła per Frassati. Questo legame si formò quando il futuro papa sentì parlare per la prima volta del giovane dai frati domenicani a Wadowice.

La figura di Frassati, che combinava vita di preghiera, senso di responsabilità sociale e passione per la montagna, corrispondeva agli ideali di Wojtyła messi poi in pratica sia da semplice sacerdote che da cardinale di Cracovia. L’ambiente delle cappellanie universitarie, che operavano in modo informale, divenne il terreno fertile per questa trasmissione spirituale. Wojtyła, come pastore di studenti e intellettuali, vide in Frassati un modello di fede integrata che rispondeva alle sfide del tempo.

Nel marzo 1977, durante l’inaugurazione di una mostra su Pier Giorgio promossa dai domenicani, affermò che «può essere considerato, seppure non ancora salito agli altari, come un patrono, la guida spirituale della gioventù accademica, anche di quella dell’attuale generazione», un modello che offriva una valida alternativa all’ideologia materialista marxista per la quale invece andava ostracizzato: era stato un intellettuale, membro di una famiglia benestante, attivista politico e laico credente che aveva vissuto la sua fede apertamente e in modo radicale, non come una reliquia del passato o una questione privata, ma come forza dinamica capace di trasformare il presente. Perciò anche le principali opere su di lui, inclusa la biografia scritta dalla sorella Luciana, poterono essere pubblicate in Polonia solo all’indomani della caduta del regime.

Durante la beatificazione Giovanni Paolo II presentò Frassati non solo come un modello di virtù, ma come un «uomo delle beatitudini», «testimone vivo e coraggioso difensore della speranza a nome dei giovani cristiani del ventesimo secolo». Questo discorso confermò l’esperienza dei giovani polacchi che avevano mantenuto viva la fede nonostante le difficoltà imposte dal regime e confermò che quella era una figura da seguire, in un paese che stava cercando la sua nuova identità.

La beatificazione fornì l’impulso anche per la creazione di associazioni giovanili che si ispiravano alla spiritualità frassatiana, come ad esempio i gruppi dei «tipi loschi» (Towarzystwo Ciemnych Typów) che ancor oggi riprendono il nome scherzoso della «compagnia» fondata da Frassati nel 1924 per non perdere i contatti con gli amici, essendo quello l’ultimo anno prima della laurea. Queste comunità combinano preghiera, servizio ai poveri e passione per la montagna, emulando il modello di vita del santo, e organizzano pellegrinaggi in Italia sulle orme di Pier Giorgio. La sorella Luciana ha ricordato che «sotto lo statuto umoristico del gruppo si nascondevano obiettivi più alti», l’aspirazione a un’amicizia profonda, fondata sul vincolo della preghiera e della fede: «Io vorrei che noi giurassimo un patto che non conosce confini terreni né limiti temporali: l’unione nella preghiera», spiegò Pier Giorgio a un amico.

Infine, l’esistenza di associazioni come il Frassatianum presso la cappellania universitaria di Lublino testimonia che la sua figura continua ad ispirare la formazione di giovani cattolici perché «vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere ma vivacchiare».


(Immagini: wikipedia)

Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI

Abbonati per accedere a tutti i contenuti del sito.

ABBONATI