
30 Giugno 2025
Stalin non esce mai di scena
In Russia riemerge l’effige del Generalissimo: dalla metropolitana di Mosca ai nuovi monumenti, il ritorno della sua figura divide il paese tra chi ne celebra le vittorie e chi ne denuncia i crimini, in un recupero della memoria sovietica visto come funzionale all’attuale potere, nonostante le condanne ufficiali avvenute in passato.
«Tutti i risultati positivi sono stati ottenuti ad un costo inaccettabile, così come è inaccettabile ottenere dei risultati usando la repressione. In quel periodo [sovietico] non c’è stato solo il culto della personalità, ma anche i crimini di massa nei confronti del popolo». Non è un passo dall’ultima parola di qualche rappresentante dell’opposizione russa, ma una citazione di Putin da una diretta tv del 2009. E tre anni dopo, in occasione della Giornata del ricordo delle vittime delle repressioni, l’allora premier Medvedev era stato ancora più esplicito nel condannare «non solo Iosif Stalin, ma anche molti altri leader» per le malefatte di allora.
Oggi invece, nel solo mese di maggio, l’aeroporto di Volgograd è stato ufficialmente ribattezzato «di Stalingrado» (una città, tra l’altro, dove Stalin portò personalmente la repressione politica nel 1918 su ordine di Lenin); in varie regioni sono stati inaugurati diversi monumenti a Stalin, un suo enorme ritratto ha accompagnato la sfilata del «Reggimento immortale» a Stavropol’, e a Bor (regione di Nižnyj Novgorod), è quasi completata la costruzione del Centro che porta il suo nome. Infine, i visitatori del museo di Tula – città famosa per la produzione dei samovar – potranno di nuovo ammirare la copia del samovar regalato a Stalin nel 1949 per il suo settantesimo compleanno.
Su Avito e Ozon (i principali marketplace online russi) si trova una vasta gamma di articoli raffiguranti il Generalissimo: spiccano ritratti e dipinti, con prezzi che variano da poche centinaia a diversi milioni di rubli, ma anche sculture, busti, tappeti, calendari con citazioni, portachiavi e persino calzini da uomo con la sua immagine (criticati perché non la tratterebbero «col dovuto rispetto»). C’è anche una pseudo-icona dell’«Arcistratega Stalin» con tanto di aureola, venduta per circa 700 € come «icona popolare» per quando sarà celebrato come «una grande personalità che ha operato per il bene del popolo».
Ciliegina sulla torta, l’inaugurazione avvenuta il 15 maggio del bassorilievo raffigurante la «Gratitudine del popolo al condottiero» nella stazione Taganskaja della metropolitana di Mosca. Dal punto di vista decorativo, la linea circolare di cui fa parte la stazione è caratterizzata dal tema della vittoria nella Seconda guerra mondiale, e originariamente (1950) c’era proprio un bassorilievo marmoreo realizzato dagli scultori Blinov e Malandin raffigurante il Padre dei Popoli circondato dai cittadini esultanti per la vittoria, opera poi rimossa in epoca chrusceviana – come altre raffigurazioni di Stalin nella metro, – ufficialmente per aprire un passaggio verso un’altra linea.

(Sota)
L’attuale bassorilievo presenta il dittatore nel suo cappotto militare, con l’Ordine della Vittoria sul petto, circondato dalla folla esultante, ma – a differenza dell’opera di epoca sovietica – l’impressione è quella di trovarsi davanti ad «un pezzo di plastica grezzo, abborracciato, stampato in 3D e dipinto rozzamente in modo da sembrare porcellana smaltata», ha osservato la storica dell’arte Elizaveta Lichačeva.
L’attuale operazione di ripristino tradisce la consapevolezza delle autorità cittadine che l’iniziativa è problematica: il 16 marzo un modesto annuncio affisso in stazione menzionava generici lavori alle pareti del passaggio, senza accenni alla reale natura dell’intervento, nessuna trasparenza riguardo a un’operazione che si sapeva avrebbe inevitabilmente suscitato polemiche.
La cortina di silenzio è stata sollevata il 6 maggio grazie a Telegram, mentre la comunicazione ufficiale del Dipartimento dei trasporti è arrivata solo il 10, quando ormai i lavori erano in fase avanzata: si è parlato di un «rifacimento della composizione basato su fotografie e documenti d’archivio», con un riferimento al 90° anniversario della metropolitana come pretesto celebrativo.
Una modalità operativa diversa dalla prassi normalmente utilizzata per l’apertura di cantieri, perciò una simile discrepanza procedurale tradisce la strategia di elusione del confronto pubblico. Il riemergere dell’effigie di Stalin in uno spazio pubblico frequentato quotidianamente da migliaia di persone, infatti, non poteva lasciare indifferenti le coscienze più vigili della società civile, e non solo loro.
La prima reazione è giunta dal partito liberale Jabloko, che ha denunciato l’installazione come «cinica ignoranza della verità storica», ricordando che «il regime staliniano è responsabile di milioni di vittime, di anni di terrore, paura e illegalità». La richiesta di rimuovere immediatamente il bassorilievo (accompagnata da una raccolta di firme) si configura quindi come un atto di resistenza culturale e di difesa della memoria delle vittime delle repressioni.
«Questo bassorilievo – osserva Ol’ga T., pensionata, una delle oltre 5300 persone che hanno sottoscritto la petizione – è espressione di servilismo e di adulazione, non di memoria storica. Anche dopo la sua morte, Stalin si fa beffe del popolo. Ma per qualche motivo stanno cancellando la memoria del GULag». «Le vittime dello stalinismo non sono solo i fucilati o i morti nelle prigioni e nei campi – aggiunge il sacerdote ortodosso Nikolaj L., – ma anche coloro che sopravvissero e ne uscirono fisicamente e moralmente menomati. Vittima di Stalin fu anche chi eseguiva le condanne, chi conduceva le indagini ricorrendo alla tortura fisica e morale, chi creava condizioni di vita disumane nei campi…».
Sconsolante invece la conclusione dello scrittore Artemij S.: «Un paese in cui le targhe commemorative con i nomi delle vittime del terrore staliniano vengono rimosse dagli edifici, mentre nella metropolitana della capitale viene eretto un monumento all’organizzatore di questo terrore, non può avere altro futuro se non quello di ripetere l’incubo di cent’anni fa».
Le autorità moscovite hanno inoltre respinto la richiesta di Jabloko di tenere un picchetto – previsto per il 3 luglio – davanti al bassorilievo per chiederne la rimozione, rispolverando come pretesto le disposizioni del 2020, ancora in vigore, che prevedono il divieto di organizzare eventi di massa a causa della diffusione del coronavirus (disposizioni che valgono solo se l’iniziativa non è gradita: così non è stato infatti nel caso dell’adunata con Putin allo stadio Lužniki nel marzo 2022).
L’installazione ha creato sorprendentemente qualche scompiglio anche in ambienti normalmente fedeli al potere. Il deputato del Consiglio comunale di Mosca Aleksandr Davankov (vicepresidente del partito «Novye Ljudi», ritenuto un partito-fantoccio), ha messo in discussione l’opportunità dell’operazione, invocando audizioni pubbliche sulla questione, com’era stato nel caso della statua di Dzeržinskij in piazza della Lubjanka. Si delinea così un’inaspettata frattura, per quanto minoritaria, nel consenso istituzionale, quanto meno cittadino.
Anche il deputato Boris Spirin (Partito liberal-democratico, di tendenza nazionalista e populista), ha ricordato le numerose vittime delle repressioni staliniane, tra cui spiccavano personalità della scienza e della cultura. «Queste persone – ha affermato sui social – non sono “nemici del popolo”, ma vittime di un sistema che ha distrutto persino coloro che servivano il paese. Installare un bassorilievo di Stalin è uno schiaffo alla loro memoria, è il tentativo di riverniciare un’epoca in cui la paura era la norma e la delazione una virtù».
Negli ambienti dell’ortodossia l’arcivescovo Savva (Tutunov) di Zelenograd, sostenitore della guerra per la quale ha appena lanciato una campagna di raccolta fondi per acquistare droni, ha scritto su Telegram che «non si tratta solo di evitare di erigere monumenti a Stalin, dato che è l’uomo che dal 1924 (in realtà anche da prima) ha scatenato il terrore contro il popolo del nostro paese (per non parlare della persecuzione contro la Chiesa), e quindi non è solo colui che ha guidato il paese alla vittoria». Secondo Tutunov il bassorilievo è «una tipica manifestazione della sacralizzazione sovietica, che cerca di sostituire il cristianesimo», perché – osserva – «la composizione è una palese imitazione della deesis, con Cristo al centro e i santi ai lati rivolti verso di lui in preghiera».
Un altro aspetto interessante è il timido riemergere del dissenso pubblico, benché non particolarmente antigovernativo: se accanto al bassorilievo – già divenuto popolare come sfondo per selfie, – sono stati collocati inizialmente dei mazzi di fiori da rappresentanti del Partito comunista, già il giorno dopo l’inaugurazione sono comparse due cornici con le foto e le citazioni di Putin e Medvedev con cui abbiamo aperto l’articolo.
Protagonisti di questo gesto plateale (in metro è attivo il sistema di riconoscimento facciale, quindi non è possibile farla franca) sono Sof’ja Bezmenova e Timofej Rostopčin, peraltro attivisti noti del movimento nazionalista «Società. Futuro», accusati di aver violato le procedure per lo svolgimento di manifestazione o picchetto (articolo 20.2.5 del Codice degli illeciti amministrativi): a entrambi è stata comminata una multa di 20mila rubli, ma ricorreranno in appello.

Il bassorilievo originale in una foto d’epoca. (Telegram)
Una gloria condivisa
Dal punto di vista del potere, invece, la ricomparsa dell’immagine di Stalin nello spazio pubblico moscovita si inscrive in un più ampio processo di rielaborazione del passato sovietico funzionale al Cremlino. Come suggerito da alcuni osservatori, vi sarebbe una correlazione significativa tra la rinascita della popolarità di Stalin e il consolidamento del potere di Putin.
Secondo questa lettura, l’attuale leadership russa non si limiterebbe a una semplice riabilitazione della figura del dittatore sovietico, ma starebbe attivamente utilizzando questa modalità per costruire un culto della personalità ritagliato su Putin. Elementi in questo senso sarebbero rintracciabili ad esempio nell’uso calibrato di ritratti ufficiali del presidente («Il volto luminoso di Putin», MK 4.11.2021), nella costruzione di narrative celebrative attorno alle sue imprese (le due anfore «ritrovate» da Putin sul fondo del mare [RBK, 10 settembre 2011]; «Ha insegnato a volare alle gru siberiane», Izvestija, 6.9.2012), e in un’enfasi retorica sulla sua modestia personale («Peškov: Putin è un maestro del compromesso, ma nelle questioni di interesse nazionale è irremovibile», Aktualnye kommentarii 15.4.2013; «Putin è un leader calmo, di poche parole, modesto, energico, che incarna il successo e le speranze per il futuro», OTP 7.10.2024).
Persino il raffronto tra la giacca militare di Stalin e il completo indossato da Vladimir Vladimirovič indicherebbe la manifestazione simbolica di questa costruita sobrietà, funzionale alla creazione di un’immagine di austerità e dedizione alla causa nazionale.
Non ha perciò tutti i torti lo storico Andrej Zubov quando scrive su Telegram che «molti anni fa, il drammaturgo Mikhail Šatrov disse che Stalin sarebbe rimasto “sul palcoscenico finché ognuno di noi non avrà chiarito completamente il proprio rapporto con lui” (…). Ancora una volta, per l’ennesima volta, “chiariamo i rapporti con Stalin”. Stalin, da tempo rovesciato dai piedistalli e buttato fuori dal mausoleo, rimane il centro del nostro destino russo, per quanto strano possa sembrare. È sul palcoscenico delle nostre vite».
E nemmeno è possibile rottamarlo in quanto rappresenta «l’immagine e l’essenza di molti di noi. L’essenza di Stalin è l’odio per il diritto alla libertà, alla dignità dell’uomo, alla sua “integrità morale” – come dice il poeta. L’essenza di Stalin è il diritto al disonore, a vivere vite irreprensibili ma affidabili per la macchina statale totalitaria, ad eseguire qualsiasi ordine proveniente dall’alto e a riceverne premi senza assumersi alcuna responsabilità, perché “l’ha ordinato la patria”. (…) Quando nel paese il totalitarismo raggiunse livelli molto elevati, dalle parole si passò nuovamente all’erezione di monumenti a Stalin. Oggi Stalin è un sintomo», conclude Zubov.

Putin raffigurato con Stalin su un manifesto celebrativo. (facebook)
Il revival della figura del Generalissimo, lungi dall’essere semplice nostalgia, appare dunque strumentale al rafforzamento ideologico dell’attuale sistema di potere, che attinge selettivamente al patrimonio simbolico sovietico per legittimare pratiche e strutture di governo. La reintroduzione di questa controversa figura nello spazio pubblico rivela le profonde tensioni che attraversano una società alla ricerca di un equilibrio tra la necessità di fare i conti con un passato traumatico e le tentazioni di una sua strumentalizzazione.
Se osserviamo i sondaggi degli ultimi due decenni – osserva il centro demoscopico Levada, – notiamo infatti il passaggio da un atteggiamento prevalentemente negativo nei confronti di Stalin ad una percezione neutra e, negli ultimi 10 anni, a una rivalutazione della sua figura in tutti gli strati sociali, soprattutto – e sorprendentemente – nei gruppi con un più alto livello di istruzione e tra i giovani.
Una delle associazioni più forti nel subconscio collettivo lega il nome di Stalin alla Seconda guerra mondiale, un evento chiave per la Russia nel XX secolo: qui nel corso degli anni l’accento si è spostato sul fatto stesso della Vittoria, mettendo in secondo piano il costo umano. In quest’ottica, «è sotto di lui che abbiamo vinto», così come «è sotto Putin» che la Russia sta vincendo oggi.
Inoltre, negli ultimi anni le voci di persone ed istituzioni che si occupano di crimini staliniani sono state progressivamente messe a tacere nel discorso pubblico, mentre le repressioni vengono descritte non come violenza di massa, ma come il tentativo di Stalin di fermare dirigenti disonesti che abusavano dei loro poteri per interessi personali. Di conseguenza le sue qualità negative, pur non scomparendo, passano tuttavia in secondo piano. Questa distorsione e questa mitologizzazione della memoria – osserva Denis Volkov del centro Levada, – riabilitano in qualche misura Stalin e impediscono una discussione più equilibrata sulla sua figura.
In questo contesto, la metropolitana – uno dei simboli più iconici della modernità sovietica e delle sue ambizioni trasformative – diviene teatro delle tensioni presenti nella società russa contemporanea.
(foto d’apertura: Sota – Telegram)
Angelo Bonaguro
È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.
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