15 Febbraio 2017

Aborto in Russia e Polonia: più che la legge, serve un’educazione

Angelo Bonaguro

Sul piano giuridico, l’aborto è un fenomeno connotato ideologicamente. Oggi è in atto uno scontro fra due estremismi: chi vuole togliere qualsiasi vincolo, e chi dimentica che è avvenuto un processo di radicale laicizzazione.

In Russia si parla molto di aborto, della sua prevenzione e anche proibizione. Quello dell’aborto è un problema radicato in questo paese sin dal tempo in cui il giovane regime bolscevico lo legalizzò nel 1920, precorrendo di quasi cinquant’anni la mentalità laica maturata negli altri paesi occidentali alla fine degli anni ‘60. Negli stessi anni ’60 gli aborti ufficiali in URSS toccarono i 5 milioni e 600.000 l’anno (mentre in Italia, con una popolazione di circa un quarto, il massimo annuo è stato di 235.000 nel 1982); solo a partire dagli anni ’90 la cifra ha preso a diminuire costantemente, pur restando ancora alta. Si capisce dunque la sensibilità al tema, e l’interesse del governo per un reale controllo dell’aborto, anche nella speranza di aumentare gli indici demografici.
Nell’ottobre 2016 l’istituto demoscopico russo FOM ha svolto due sondaggi sul tema dell’infanzia: uno sull’aborto, l’altro sulle «ruote degli esposti». Queste ultime, introdotte dal 2011 presso alcuni ospedali di 13 regioni, hanno salvato una cinquantina di neonati; a settembre, però, il governo ha approvato gli emendamenti alla legge federale n. 124/1998 sui diritti dei minori che prevedono il divieto delle baby-box in quanto violerebbero la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.

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Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.

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