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1 Dicembre 2025
I mistici siriaci ci rispondono sull’amore, la paura, l’ira e la gioia
Due studiosi russi rileggono gli antichi testi dei mistici siriaci e scoprono le stesse domande, le stesse ansie che ci attanagliano. Così inaspettatamente sfondano il muro della paura, rivelando la luce certa di un bene che c’è.
Il volume Mistici siriaci uscito in Russia da Al’pina Pablišer costituisce la rielaborazione di una serie di podcast realizzati da due giovani studiosi: Maksim Kalinin, filologo e traduttore da numerose lingue antiche, tra cui il siriaco, direttore dell’Istituto di Oriente classico e mondo antico della Scuola Superiore di Economia di Mosca, è oggi tra i più brillanti e profondi specialisti nell’ambito degli studi classici, tanto da essere indicato come l’erede di Sergej Averincev; Filipp Dzjadko è giornalista e scrittore di grande sensibilità.
Costruito in forma dialogica, il testo ha un duplice pregio: non tentare alcuna riduzione pietistica o facile «volgarizzazione» dell’esperienza dei mistici siriaci rispetto alle coordinate culturali e psicologiche della società odierna, e al tempo stesso mostrarne la perenne attualità alla luce della struttura dell’essere umano e delle sue esigenze. I capitoli sono ordinati tematicamente secondo alcune grandi parole che permettono al lettore di interagire con il messaggio che proviene da questo mondo, lontanissimo eppure sorprendentemente vicino, e trovarvi risposte inaspettate e illuminanti.
Come sottolineano più volte gli autori, il VII secolo, epoca della fioritura della mistica siriaca, fu un periodo di grande travaglio e perdita di speranza, in cui imperi che si reputavano eterni crollarono sotto l’urto dell’invasione araba, in cui il venir meno dei rapporti di potere consueti, delle religioni e delle culture tradizionali nei territori occupati dal Califfato inducevano la gente a pensare che la fine del mondo fosse ormai vicina.
L’attesa di questa fine sembrava trovare conferma anche nelle pressioni fatte dalla Chiesa di Bisanzio, come pure nei conflitti con gli stessi credenti siriaci che non condividevano la tradizione mistica; per questo i mistici erano accompagnati da una sensazione costante di pericolo e di incertezza.
Come trovare un senso, in un mondo dove si assiste alla sconfitta della propria fede? Si può vivere l’amore in una società dove dominano stanchezza e inquietudine? A questi interrogativi, appunto, risposero i mistici siriaci.
Ed è come se, attraverso lo spazio e il tempo, rispondessero a noi uomini del XXI secolo. La loro sapienza ci aiuta oggi a trovare le risposte alle domande tormentose che ci attanagliano: sulla natura del male, l’amore del prossimo, il senso di colpa, l’ansia, la paura, il successo, la felicità. Il merito dei due autori è quello di rileggere questi autori in presa diretta, accostandosi direttamente ai testi originali e collocandoli nel loro contesto storico, culturale e spirituale, senza mai dimenticarsi, nel contempo, degli interrogativi esistenziali che scuotono oggi le coscienze.
Nel libro ogni capitolo si apre con una domanda: «Perché Dio permette epidemie, guerre e altre sciagure?», oppure «Cosa fare dei rimproveri inutili e delle osservazioni utili?». Sono gli stessi titoli che avevano i podcast tenuti dai due autori sul sito «Arzamas» nel 2021-2022.
Come nei podcast, il racconto si svolge come un dialogo tra Kalinin e Dzjadko, ma è un dialogo dove nessuno dà l’impressione di sapere già le risposte, né si coglie mai un tono edificante e moralistico: i mistici siriaci raramente davano consigli concreti, a loro interessava piuttosto indurre a riflettere. Da parte sua, Dzjadko è molto abile nel porre le domande in modo tale da permettere di dispiegare il senso profondo dei testi.
Qualcuno ha osservato che questo libro si pone al confine tra psicologia e filosofia, non a caso i mistici richiamano allo stupore, che il grande Aristotele considerava come l’inizio della filosofia. «A me sembra – scrive Dzjadko – che oggi lo stupore sia anche l’inizio della resistenza».
Tra l’altro, i mistici insegnano a mantenere una giusta umiltà in situazioni catastrofiche, quando qualsiasi tentativo di agire può provocare conseguenze nefaste; ed esortano a conservare se stessi per amor proprio, in nome del futuro, per Dio, i parenti e il prossimo.
Nell’introduzione al volume, scritta da Ol’ga Sedakova, una delle voci più autorevoli della cultura umanistica russa di oggi, leggiamo: «Le risposte dei mistici aprono un’inattesa prospettiva di liberazione. L’annuncio cristiano risuona in esse con grande freschezza, come un annuncio gioioso, un annuncio di libertà, come la proclamazione di un esodo (in senso biblico), di una liberazione dei prigionieri dal chiuso buio e soffocante di un carcere, alla vastità degli spazi aperti. Dobbiamo ammettere che non ci siamo più abituati. Non crediamo che una cosa del genere sia possibile, semplicemente perché così va il mondo, e “noi siamo solo uomini”. Ci siamo disabituati a pensare che sia possibile vivere un ottimismo antropologico. I mistici sapevano invece altro sull’uomo.
Nell’epoca postfreudiana l’uomo è abituato a pensare che il suo inconscio sia popolato di mostri e “complessi”, che la coscienza rimuove senza però riuscire a sconfiggerli. E che si fanno inevitabilmente sentire. Queste oscure profondità dell’uomo sono state oggetto dell’arte del XX secolo. Questo è un lato del pessimismo antropologico, quello “artistico-scientifico”. C’è poi l’altro lato, spirituale: la pratica della penitenza ci insegna a discernere instancabilmente dentro di noi peccati e pensieri cattivi e a combatterli. A volte la vita spirituale – o perlomeno la pedagogia spirituale – sembra ridursi a questo.
Nella loro straordinaria esperienza antropologica i mistici hanno conosciuto sulla propria pelle un’altra cosa: nel profondo dell’uomo, nel “cuore del suo cuore”, è racchiuso ciò che ha di meglio, ciò che lo rende capace di parlare con Dio, ciò che ama amare. È il luogo, la dimora della gioia».
La mistica, che per molti cristiani moderni era una realtà sconosciuta e lontana dalla vita, all’improvviso si rivela un sostegno importante davanti alle nuove circostanze storiche, anche per i non credenti può rappresentare uno stimolo a conoscere se stessi e a recuperare l’autonomia del pensiero.
Nel V secolo il teologo Narsai immaginava una scuola in cui gli angeli e gli uomini studiano insieme per capire la natura «della bellezza e della luce» e «la forza del significato»: l’incontro con i mistici siriaci può essere l’accesso a questa scuola, il primo passo di un lungo cammino, per diventare capaci di vedere nella realtà quotidiana la crepa attraverso cui filtra la luce. E infine, per convincersi che anche nei tempi più oscuri, quando il buio è dentro e attorno a noi, qualcuno ci tiene per mano.
(immagine d’apertura: F. Bini, wikipedia)
Giovanna Parravicini
Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
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