Vasilij Grossman: in nome della libertà e del bene

24 Agosto 2025

Vasilij Grossman: in nome della libertà e del bene

Lazar’ Lazarev

Il ricordo di un amico di Grossman, a sua volta prosatore e famoso critico letterario, che ne ripercorre la vita, inserendola nel drammatico contesto politico-culturale d’epoca sovietica.

Il debutto letterario di Vasilij Grossman fu molto brillante. Nessuno allora si sarebbe immaginato che le sue sorti avrebbero assunto una piega così drammatica…

Il primo racconto pubblicato dal giovane (non aveva ancora compiuto trent’anni) ingegnere chimico attirò l’attenzione di Maksim Gor’kij. Questi invitò a casa sua l’autore, conversò a lungo con lui e gli consigliò di abbandonare il lavoro di ingegnere chimico per dedicarsi alla letteratura. Probabilmente, parlando con Grossman Gor’kij si rese conto che il giovane, che stava allora appena saggiando le proprie forze, possedeva già un grosso bagaglio di materiali, conosceva bene la vita in provincia, nelle miniere e nelle fabbriche, era stato a contatto diretto con la fatica e la vita quotidiana di operai, tecnici, ingegneri, aveva visto e vissuto molto negli anni dell’adolescenza e della giovinezza.

I suoi genitori appartenevano all’intelligencija di modesta estrazione che negli anni ’20 e ’30 non aveva avuto vita facile e riusciva a sbarcare il lunario solo con grande fatica; lui stesso aveva dovuto guadagnarsi da vivere mentre frequentava la scuola e l’università. Aveva lavorato come operaio in una segheria, come educatore in una comune di lavoro per ragazzi abbandonati, nei mesi estivi si ingaggiava per spedizioni di ogni genere in Asia Centrale. Dopo essersi laureato presso il dipartimento di chimica della facoltà di matematica e fisica dell’università di Mosca, Grossman aveva lavorato per diversi anni nelle miniere del Donbass.

Nel 1932 si era ammalato di tubercolosi, i medici gli avevano raccomandato di cambiare clima e quindi era giunto a Mosca, dove aveva cominciato a lavorare in una fabbrica di matite e nel frattempo si era messo a scrivere. Tutto questo, probabilmente, dispose favorevolmente Gor’kij, che era a sua volta un classico vivente della nuova letteratura sorta dopo la rivoluzione e il suo capo universalmente riconosciuto: il suo favore, una sua lode allora avevano grande valore, e così davanti a Grossman la strada per diventare un letterato di professione si spalancò ai più alti livelli. (…)

Nel dopoguerra, quando per disposizione dei potenti «impresari» della letteratura i libri di Grossman non venivano pubblicati, oppure venivano rabbiosamente smontati dalla critica ufficiale, gli scrittori che godevano di maggior autorevolezza agli occhi dei lettori, gli autentici esperti in materia di qualità artistica, resero sempre il dovuto tributo allo straordinario dono di Grossman. (…)

Grossman

«La battaglia di Stalingrado», testo di Grossman pubblicato su «Krasnaja Zvezda». (livejournal)

Nel gennaio 1943 (…) fui ricoverato in ospedale per tre settimane, e nella collezione di «Krasnaja zvezda» (l’organo di stampa dell’Armata rossa, che non ci arrivava però in prima linea) vidi dei saggi su Stalingrado, il cui autore era quello stesso Vasilij Grossman che avevo conosciuto fin dagli anni di scuola. Questi testi mi lasciarono un’immensa impressione, mi chiarirono molto di ciò che avevo visto e provato combattendo sul fronte di Stalingrado. Li ho riletti anche recentemente: sebbene scritti per un’effimera pagina di giornale i saggi di Grossman conservano a tutt’oggi la forza viva, affascinante dell’autentica arte…

L’invasione della Germania hitleriana, la guerra spietata e sanguinosa che falciò implacabilmente vite umane per tre anni dieci mesi e diciotto giorni, la vittoria ottenuta ad altissimo prezzo divennero per Grossman, come per molti altri nostri concittadini, un’epoca a sé, un vero cataclisma, una scuola di vita senza paragoni. Per tutta la durata della guerra Grossman era stato un corrispondente dal fronte di «Krasnaja zvezda», uno dei corrispondenti più coraggiosi e disponibili.

(…) Non a caso nelle sue testimonianze Grossman cita per prima Stalingrado: egli vi rimase per tutta l’epopea dei durissimi combattimenti per questa città (dove la bilancia della storia vacillò pericolosamente), durante tutta quest’epopea di una crudeltà e sanguinarietà senza paragoni, che il mondo intero riconobbe come momento culminante della guerra. Ci sono rimasti gli appunti stilati da Grossman durante gli scontri a Stalingrado. Val la pena di osservare che lo scrittore ebbe modo di incontrare e di parlare con molti partecipanti ai combattimenti, non successivamente, a cose finite: ebbe modo di vederli alla prova proprio allora, nel fuoco della battaglia, comandanti che poi sarebbero stati coperti di gloria, ufficiali e soldati che sarebbero invece rimasti nell’anonimato…

(…) In quei giorni in cui sembrava che la terra stessa andasse a fuoco, Grossman non si limitò ad accumulare un gran numero di osservazioni, di «materiale esistenziale grezzo» originale che Lev Tolstoj riteneva preziosissimo per un artista. Egli visse l’esperienza di Stalingrado identificandola con il proprio destino, sentì su di sé tutto il peso pauroso e sublime, l’insostenibile tensione di questo conflitto e li fece suoi.

Stalingrado gli permise di fare molte scoperte sia circa la natura della guerra contro l’esercito di Hitler, che trovava qui il suo culmine, sia riguardo alla vita del popolo, sia infine sul nostro sistema socio-politico. In situazioni per così dire estreme, sull’orlo della morte traspariva con particolare forza ciò che costituiva la forza del popolo russo, ciò che lo univa insieme nella lotta contro l’invasore e ciò che invece ostacolava, comprometteva l’unità popolare – cioè sospetti, illegalità, abusi.

Era così forte la pressione del materiale accumulatosi, così lancinante il bisogno interiore di comprendere il senso di ciò che aveva visto e vissuto, di penetrare le leggi socio-politiche, storiche e umane del bene e del male, della nobiltà e della viltà che si erano mescolati negli eventi di Stalingrado, che immediatamente dopo, a botta calda, nel 1943 Grossman, nelle rare ore libere dal lavoro al giornale, cominciò scrivere un romanzo sulla battaglia di Stalingrado. (…) Grossman aveva già concepito durante la battaglia di Stalingrado l’idea centrale dell’opera a cui cominciò a lavorare. Fin da allora aveva dovuto aprire gli occhi su molte cose.

Vasilij Grossman: in nome della libertà e del bene

Civili evacuati da Stalingrado. (wikipedia)

(…) Nel 1945, qualche giorno dopo la fine della guerra con la Germania di Hitler (non si era ancora svolta la famosa parata della Vittoria a Mosca sulla piazza Rossa), Il’ja Erenburg scriveva: «Non basta distruggere il nazismo sui campi di battaglia, bisogna eliminarlo nella coscienza, nell’inconscio. Nel sottosuolo dell’anima, che fa più paura dei nascondigli dei sabotatori». Allora pensavamo che stesse parlando della popolazione della Germania di Hitler, che aveva subito una terribile sconfitta militare. Forse anche lo stesso Erenburg pensava così. Grossman invece seppe vedere più lontano e più in profondità di tutti noi. Egli guardava alla guerra, e a tutto ciò che l’aveva preceduta e che le sarebbe seguito, dal punto di vista delle categorie universali, onnicomprensive dell’esistenza umana.

(…) Grossman si batte contro il fascismo partendo da una posizione integralmente umana: è un male che minaccia il genere umano. Ma egli non fa distinzione fra il male «proprio» e quello «altrui». La posizione umana da lui prescelta lo rende irriducibile anche nei confronti del «proprio» male, non gli permette alcuna condiscendenza.

Nel 1952 fu pubblicato, sia pur con pesanti correzioni «preventive» ad opera della censura e della redazione, il primo libro del romanzo di Grossman dedicato a Stalingrado, Per il bene della causa. Il violentissimo articolo che apparve sulla «Pravda» per ordine di Stalin (una sentenza inappellabile, contro la quale non si poteva presentare ricorso), demoliva l’opera senza lasciarne pietra su pietra, muovendole pesanti accuse politiche e ideologiche: ma questo non fece che sottolineare agli occhi di molti lettori, tra cui c’ero anch’io, gli evidenti meriti del libro.

Seguì poi un’indiavolata campagna diffamatoria nei confronti dell’autore. Venne severamente redarguito anche il direttore della rivista «Novyj mir», Aleksandr Tvardovskij, che aveva pubblicato il riprovevole libro di Grossman. (…) A questo punto, io attendevo con impazienza la seconda parte del libro su Stalingrado, e avendo sentito dire in giro che lo scrittore aveva consegnato il dattiloscritto alla rivista «Znamja», decisi di telefonargli.

A quel tempo lavoravo alla «Literaturnaja gazeta», e mi venne l’idea che dovevamo essere assolutamente noi a pubblicare per primi un capitolo del libro, dovevamo sorpassare tutti: infatti, non avevo dubbi che le redazioni avrebbero fatto a gara per strappare di mano il libro all’autore. Proprio in quest’occasione ebbi modo di conoscere personalmente Vasilij Grossman, con cui da allora mi sarei incontrato di quando in quando.

(…) A quell’epoca, di lui si diceva che avesse un carattere difficile. Che fosse un uomo tetro, con cui non era semplice avere a che fare. In realtà, le cose stavano ben diversamente. Quello che definivano un carattere difficile era in realtà la sua irriducibilità nelle questioni di principio, il suo atteggiamento di sdegnosa ripulsa per le assemblee e sedute delle associazioni ufficiali degli scrittori, che si svolgevano al solo scopo di dimostrare ai capi la disponibilità a servirli fedelmente e ad obbedire loro; quello che chiamavano un carattere difficile era in realtà il senso della propria dignità, e una schiettezza pericolosa per gli interlocutori che non avevano una coscienza propriamente pulita.

Ad affascinare in lui non erano solo lo straordinario talento artistico e il gusto raffinato, oppure la sua acutezza, che gli consentiva di penetrare il significato dei processi storici e il dolore più recondito del cuore umano. In lui attraevano in particolare il suo fascino morale, la sua saggia umanità. (…) Chi ha letto il romanzo conosce, naturalmente, almeno nei tratti generali l’infame, squallida storia dell’arresto del manoscritto, una storia che – ne sono convinto – stroncò la vita dell’autore. (…)

Scrivere di tutto questo è ributtante, però forse vale la pena ricordare un particolare, se non altro perché serve (…) a chiarire la posizione di Grossman, che si era reso conto della caccia scatenatasi contro di lui. Non c’è dubbio che l’avesse compreso bene: aveva già fatto ampiamente l’amara esperienza di esecuzioni orchestrate dall’alto.

Vasilij Grossman: in nome della libertà e del bene

Grossman in Germania. (Archivio F. Guber)

(…) I fatti che si svolsero intorno al romanzo Vita e destino – perquisizione e sequestro, arresto del manoscritto – ebbero luogo tuttavia ormai in tempi di «disgelo», dopo il XX e il XXII Congresso del partito in cui erano stati denunciati i misfatti di Stalin. È vero che poco prima avevano messo in croce anche Pasternak per Il dottor Živago. Grossman non poteva non prenderne atto, si rendeva conto che coloro che dirigevano la letteratura avevano conservato l’istinto «cacciatore» e i denti aguzzi di Stalin, e non avrebbero rinunciato a sbranare la vittima designata. E quando, dopo il dibattito gravido di minacce svoltosi su Vita e destino nella redazione della rivista «Znamja», egli capì che su di lui incombeva un serio pericolo (non si capiva quale. Avrebbero anche potuto metterlo dentro, probabilmente non lo escludeva), Grossman per ogni evenienza consegnò due copie del dattiloscritto ad amici fedeli, perché le custodissero. Grazie a questo fatto, il libro fu salvo. Infatti, quando all’inizio della «perestrojka» apparve la possibilità di stampare il romanzo a Mosca, si appurò che negli archivi del KGB e del Comitato Centrale il dattiloscritto arrestato non esisteva più…

(…) Nei tetri giorni successivi all’arresto del dattiloscritto, Grossman scrisse un articolo su Andrej Platonov, allora dimenticato, avvolto da una cortina di silenzio. Grossman diceva qui che sarebbe venuto il momento anche per le splendide opere di Platonov, che non avevano mai visto i macchinari tipografici vivente il loro autore. Scriveva: «Il tempo assume la funzione di procuratore generale nei processi sulla celebrità letteraria immeritata. Ma il tempo non è nemico degli autentici valori della letteratura, è loro amico, loro fedele e sicuro custode». Mi sembra che, scrivendo queste parole, Grossman pensasse anche alla propria sorte, a ciò che attendeva in futuro il suo libro.

Lui, e non Suslov, era nel giusto: il tempo ha spazzato via le opere mediocri e ipocrite lodate da Suslov, e ha invece assegnato il meritato posto ai libri di Andrej Platonov e Vasilij Grossman, ha riconosciuto il loro valore e li ha messi in prima fila tra le opere letterarie del XX secolo (…).

Grossman è un artista implacabile. Vedeva la vita e gli uomini così come sono, con tutti i loro limiti, peccati, mostruosità, ingiustizie. Non temeva di dire anche la verità più dura, impietosa sul male che l’uomo è in grado di compiere, sulla sua atroce crudeltà. Eppure, proprio lui che aveva subito tanti duri colpi dalla sorte, che aveva patito tante delusioni, tante amarezze, era anche un artista colmo di bontà, innamorato della vita, fiducioso nella capacità dell’uomo di superare il male e di attestare la libertà.

Era convinto che «il dono supremo dell’uomo è il dono della bellezza morale, della magnanimità e della nobiltà, dell’audacia personale in nome del bene». Queste parole, scritte da Vasilij Grossman poco prima di morire, sono probabilmente la miglior epigrafe che si possa apporre alla sua opera.

(Tratto da La Nuova Europa 5/2005)


(immagine d’apertura: Bundesarchiv, Bild 169-0350, wikipedia, CC-BY-SA 3.0)

Lazar’ Lazarev

Critico letterario e pubblicista (1924-2010), è stato fra gli autori pubblicati dal «Novyj mir» di Tvardovskij negli anni ’60, e ha diretto una delle più prestigiose riviste letterarie russe, «Voprosy literatury». È stato amico e compagno di strada di molti poeti e prosatori del ‘900, e alle storie di questi incontri ha dedicato alcuni anni fa il libro di memorie Sesto piano.

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