
17 Giugno 2025
Bielorussia: le repressioni contro i cattolici
Persecuzioni che non accennano a finire, condanne che si ripetono giorno dopo giorno e colpiscono sacerdoti da tutti stimati con accuse mai provate e con pene sempre più pesanti. La solidarietà con le vittime richiede informazione e il superamento di una barriera del silenzio non più accettabile.
Che i rapporti fra lo Stato bielorusso e alcuni esponenti della Chiesa cattolica locale fossero tesi lo si sapeva da tempo, come già documentato in un articolo apparso sul nostro portale. Dopo le elezioni presidenziali del 2020 alcuni vescovi, pastori e laici cattolici si erano espressi contro i brogli elettorali, o contro l’inasprirsi delle tendenze totalitarie e filosovietiche, o contro le repressioni di polizia seguite alle proteste. Le tensioni si sono inasprite ulteriormente dal 2022 con la guerra fra Russia e Ucraina, poiché le simpatie di un buon numero di cattolici sono andate al paese aggredito.
Ancora oggi la persecuzione del regime di Lukašenko contro le opposizioni è forte e capillare, con arresti, processi e intimidazioni. Le notizie sui detenuti politici scarseggiano e faticano ad arrivare in Occidente. In questo quadro generale si inserisce la persecuzione particolare contro la Chiesa cattolica; l’associazione indipendente bielorussa Christian Vision – che sostiene la collaborazione fra cristiani per consolidare la riconciliazione civile, e che riunisce ecclesiastici, teologi e laici ortodossi, greco-cattolici, cattolici di rito latino e protestanti – afferma che ad oggi sono ben 31 i preti cattolici sottoposti dal 2020 a custodia cautelare. Alcuni di loro si trovano ancora in carcere, altri sono stati costretti a lasciare il paese.
Attualmente, in Bielorussia la Chiesa cattolica è la seconda confessione cristiana e conta un milione e mezzo di fedeli, 10.000 dei quali greco-cattolici. La Chiesa cattolica di rito latino ha tre diocesi: Grodno, Vitebsk e Pinsk, oltre all’arcidiocesi di Minsk-Mogilëv. Si tratta di una realtà plurinazionale, con fedeli non solo di origine bielorussa ma anche polacca, ucraina ecc. Una minoranza attiva, visibile e storicamente radicata nel paese.
Secondo Katolik.life, ultimamente l’attività e la presenza dei sacerdoti cattolici bielorussi sui social va scemando, con ricadute negative sulle attività di evangelizzazione on line. Per non incorrere nelle sanzioni statali, molti di loro cercano di mantenere un basso profilo e stanno cancellando i loro account, sostiene il portale, ma invano, perché «spesso le autorità dispongono di screenshot effettuati negli anni precedenti e ora li presentano come prova a carico, anche se l’account è già stato eliminato».
Non è solo la presenza virtuale di questi cattolici a irritare il regime, ma anche e soprattutto quella fisica, che lo Stato cerca di sopprimere, sempre per via giudiziaria.

G. Okolotovič. (spring96)
Un caso già noto è quello di padre Genrich Okolotovič, parroco della chiesa di San Giuseppe a Vološino, arrestato il 16 novembre 2023 per «alto tradimento». Il sacerdote, che oggi ha 65 anni, è in condizioni di salute precarie e necessita di visite e cure costanti. Ciò non di meno il 30 dicembre 2024 il tribunale della regione di Minsk lo ha condannato a 11 anni di reclusione in una colonia penale a regime comune; il sacerdote non si è mai riconosciuto colpevole. La condanna è stata confermata il 1° aprile 2025 dalla Corte suprema che ha esaminato il suo ricorso in cassazione.
Katolik.life l’8 aprile ha reso noto che padre Genrich dalla prigione è riuscito a far arrivare ai suoi fedeli qualche notizia, visto che i processi si sono svolti a porte chiuse. I fedeli hanno comunicato che l’accusa è di «spionaggio a favore della Polonia e del Vaticano», a cui avrebbe fornito non meglio precisate «informazioni segrete». Il che, secondo il sacerdote, è una «volgare provocazione». Nei capi d’accusa, dice padre Genrich, «non c’è una sola parola di verità», né si citano fatti che dimostrino la sua presunta attività spionistica; tutta l’accusa «si fonda sulla menzogna, sulle minacce e sul ricatto». «È un processo politico», fa sapere il sacerdote, sottolineando di non aver mai spiato per conto di nessuno e di avere sempre servito solo Dio. Ad essere sotto processo, a suo dire, non è lui, ma «tutta la Chiesa cattolica in Bielorussia». Il sacerdote aggiunge che hanno cercato di spingerlo a criticare alcuni vescovi cattolici, ma di non aver ceduto alla provocazione. Dice di essere fiero di soffrire per la Chiesa, per la fede e per Dio, al quale chiede la forza di restare fino in fondo un degno discepolo di Cristo.
Secondo i fedeli, attualmente il sacerdote ha il permesso di tenere in cella un piccolo crocifisso di legno, mentre nel carcere istruttorio dove è stato per più di un anno non gli era concesso, a dispetto dei valori tradizionali cristiani propugnati dalle autorità bielorusse. I capi d’accusa, i tempi lunghi della giustizia, la tendenza a prolungare la detenzione dei presunti colpevoli sottoponendoli a nuovi arresti allo scadere della condanna, sembrano riproporre il copione della persecuzione antireligiosa sovietica, che le «nuove» autorità hanno ancora bene in mente, nonostante siano passati oltre trent’anni dalla caduta dell’URSS. Attualmente Okolotovič è detenuto nella colonia correzionale di Bobrujsk e, da quanto comunicato dai portali indipendenti, gli si può scrivere.
L’8 maggio 2024 è toccato a padre Pavel Lemech, della parrocchia di Nostra Signora di Fatima a Šumilino (regione di Vitebsk) di essere arrestato per aver tenuto «un picchetto on line». La singolare accusa, secondo l’associazione per i diritti umani Vjasna, dipende da una foto di padre Pavel sullo sfondo della storica bandiera bianco-rosso-bianca, vessillo della Bielorussia indipendente oggi vietato in quanto «simbolo nazista». L’attuale bandiera bielorussa rosso-verde con decorazioni rosse in campo bianco, molto simile a quella della Repubblica Sovietica Bielorussa introdotta nel 1951, è stata infatti adottata il 7 giugno 1995 con un referendum indetto dal presidente Lukašenko. Padre Pavel è anche reo di aver postato sulla sua pagina Facebook una foto della bandiera ucraina, accusa che il sacerdote ha confermato, spiegando che così facendo voleva «esprimere il proprio dolore per l’uccisione dei civili ucraini in seguito all’attacco russo». Nell’autunno del 2024, secondo fonti indipendenti, il sacerdote è stato costretto a lasciare il paese.
L’8 ottobre 2024 è stato arrestato anche padre Jurij Borovnev, della parrocchia del Sacro Cuore a Krulevšino, regione di Vitebsk, accusato di detenere «materiale estremista». Fortunatamente, è stato rilasciato dieci giorni dopo.

Da sin.: P. Lemech, A. Juchnevič. (Catholicnews.by)
Il processo contro padre Andrzej
Questi non sono che alcuni casi, ma il più clamoroso resta ad oggi quello di padre Andrzej Juchnevič, dei Missionari oblati dell’Immacolata. Rettore del santuario di Nostra Signora di Fatima a Šumilino, era responsabile del gruppo di coordinamento dei superiori e dei membri degli ordini religiosi in Bielorussia.
Il portale belarus2020.church.by ha riassunto per sommi capi la sua vicenda. Arrestato l’8 maggio 2024 insieme al confratello padre Lemech e a una parrocchiana dopo un incontro di sacerdoti e religiosi nella sua parrocchia, è stato dapprima accusato di «sabotaggio ai danni dello Stato bielorusso». Anche nel suo caso, l’accusa era di aver postato una propria foto con la bandiera bianco-rosso-bianca (art. 24.23 p. 1 del Codice di Diritto amministrativo «violazione dell’ordine costituito tramite attuazione di un picchetto»). Allo scadere dei quindici giorni di reclusione inizialmente inflittigli, il sacerdote non è stato liberato ma sottoposto nuovamente a custodia cautelare in base all’articolo 19.11 («diffusione di materiale eversivo») che prevede almeno 45 giorni di reclusione.
Il 25 giugno 2024 è stato riconosciuto prigioniero politico dagli attivisti per i diritti umani, come si legge su prisoners.spring96.org. In carcere ha subìto torture e maltrattamenti. A metà luglio 2024 è stato trasferito in un carcere di isolamento istruttorio per essere sottoposto a un processo penale. In quell’occasione gli è stato concesso di fare una doccia per la prima volta da maggio.
Per alcuni mesi nessuno ha saputo per quale motivo il sacerdote doveva essere processato, ma nel dicembre 2024 è stato reso noto che il capo di imputazione era di molestie sessuali a danno di minori in base a ben tre articoli del Codice penale bielorusso (169 p. 2 azioni depravate; 167 p. 2 azioni violente di carattere sessuale e 168 p. 2 azioni di carattere sessuale con persona di età inferiore ai 16 anni). Il processo è iniziato il 27 dicembre 2024 a Šumilino, presieduto dal giudice Inna Grabovskaja. Il 30 aprile 2025 è stata resa nota la sentenza di condanna a 13 anni di colonia penale. Come riporta il portale prisoners.spring96.org, i fedeli sono venuti a sapere che il sacerdote ha respinto in toto le accuse e ha cercato di dimostrare la propria innocenza.
L’accusa sarebbe stata costruita su deposizioni, probabilmente estorte, di una o più presunte vittime non meglio identificate. Secondo le notizie i presunti reati sarebbero stati commessi dieci anni prima. Durante il processo il sacerdote si sarebbe dimostrato sereno, respingendo le accuse e difendendo la propria reputazione. Nell’attesa, che potrebbe durare anche mesi, padre Andrzej si trova nel carcere di isolamento istruttorio di Vitebsk. Il sacerdote avrebbe accolto la condanna come «una benedizione di Dio».
L’innocenza di padre Juchnevič è stata sostenuta con fermezza dall’associazione Christian Vision e dalla stessa curia cattolica; quest’ultima asserisce che sino ad oggi non ha mai ricevuto alcuna denuncia a carico del sacerdote, che al contrario è molto stimato. Finora non si conoscono i nomi delle presunte vittime, perché tutte le informazioni sono inaccessibili anche alla stessa Chiesa cattolica, che non riesce a svolgere un’indagine indipendente secondo le procedure canoniche non avendo accesso alle informazioni necessarie, né può parlare con padre Juchnevič.
Il sacerdote si dichiara innocente e ha presentato ricorso in cassazione; non va dimenticato che è stato dapprima accusato di reati politici e solo in seguito di pedofilia, e ha subito pressioni e torture. A più di tre settimane dalla condanna, sul sito del tribunale come pure su altri canali ufficiali non è ancora apparsa alcuna informazione sulla condanna, che è già entrata in vigore.
Secondo i fedeli, molti particolari contenuti nel fascicolo processuale confermerebbero che il caso è stato montato, ma questo elemento non si può rendere pubblico, perché chi lo facesse rischierebbe di essere a sua volta perseguito penalmente, il processo si è svolto infatti a porte chiuse e gli avvocati hanno dovuto firmare un impegno scritto a non divulgare le informazioni sul caso. Ad oggi nessuno sa se le presunte vittime, che avrebbero sporto denuncia dopo tanti anni, esistano realmente.

La chiesa di Nostra Signora di Fatima a Šumilino. (A. Bašni, wikipedia)
Il caso di padre Andrzej ricorda da vicino quello di Jurij Dmitriev che una decina di anni fa fece scalpore in Russia. Storico di Memorial noto per aver portato alla luce le fosse comuni del terrore staliniano a Sandarmoch, in Carelia, e per aver denunciato l’occupazione della Crimea nel 2014, è stato dapprima sottoposto a crescenti pressioni da parte dei funzionari locali e poi, nel 2016, arrestato con l’infamante accusa di pedofilia nei confronti della figlia adottiva. Da sempre proclamatosi innocente, Dmitriev ha subito tre processi, il primo assolutivo, gli altri due conclusisi con condanne crescenti a 13 e a 15 anni di colonia penale, nonostante tutte le perizie indipendenti avessero smentito le tesi dell’accusa.
La prassi di attribuire crimini odiosi agli avversari politici per comprometterli definitivamente presso l’opinione pubblica era frequente in Unione Sovietica come lo è oggi in Bielorussia e in altri paesi dell’ex URSS. In ogni epoca la gente subisce purtroppo il fascino perverso di questa diabolica scorciatoia.
Anna Kondratova
Moscovita, laureata in sociologia. Ha seguito da vicino lo sviluppo del movimento d’opposizione in Russia. Giornalista e saggista.
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