11 Settembre 2018
Due patriarcati in conflitto, e noi?
Una vicenda complessa che intreccia politica e antichi canoni ecclesiali. Gli ortodossi ucraini vogliono staccarsi dalla Chiesa di Mosca. L’intervento del patriarca di Costantinopoli rischia di far esplodere uno scisma. E noi cattolici cosa possiamo fare?
Domenica scorsa, 9 settembre, come ogni settimana Dmitro e Ljudmyla, con la loro figlioletta Katja, si sono avviati verso la loro parrocchia di Kiev per partecipare alla divina liturgia. Giunti alla chiesa, hanno notato un vistoso cartello appeso alla porta: «Chiesa ortodossa ucraina», che fino alla domenica prima non esisteva. Naturalmente il cartello non era lì per caso: si tratta – per così dire – dell’ultima propaggine di un conflitto che sta assumendo toni drammatici e che sta infiammando al calor bianco i rapporti tra Mosca e Costantinopoli, con il serio rischio di provocare uno scisma all’interno dell’ortodossia.
La questione in gioco è quella dell’autocefalia – ovvero dell’indipendenza – della Chiesa ortodossa ucraina. Un’indipendenza che – si ritiene – spetta al patriarcato ecumenico di Costantinopoli concedere, in quanto «Chiesa madre» dell’antica metropolia di Kiev (da cui discendono tutte le Chiese ortodosse esistenti sul territorio dell’ex-Unione Sovietica) e che sin dalla scorsa primavera è stata chiesta a Bartolomeo I dal presidente Petro Porošenko, sostenuto dal parlamento di Kiev con lo scopo dichiarato di poter avere in Ucraina un’unica Chiesa ortodossa locale e nazionale, ponendo fine alla frammentazione esistente fino ad oggi. I fedeli ortodossi ucraini, infatti, sono divisi in tre differenti giurisdizioni: la Chiesa ortodossa ucraina unita al patriarcato di Mosca
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Francesco Braschi
Sacerdote, dottore in Teologia e Scienze Patristiche, dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano e direttore della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana. È consultore della Congregazione del Rito ambrosiano e docente a contratto di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
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