18 Luglio 2018
La teologia dopo il GULag
Riflettere sulla violenza del XX secolo per la Chiesa non vuol dire soltanto contare i martiri, ma trovare il senso profondo della tragedia, ora. Un commento alla conferenza «L’eredità del GULag: storia, memoria e sacro nella Russia post-sovietica».
Comincerò da una domanda: si può dire che in Russia sia avvenuta una riflessione teologica sulla tragedia del XX secolo? Non solo sulle persecuzioni contro la Chiesa ma, in senso molto più ampio, su una violenza di proporzioni mai viste perpetrata dal potere contro i suoi popoli, sugli omicidi di massa in nome dello Stato comunista e sulla possibilità che convivano da una parte i criminali che hanno emesso sentenze ingiuste, hanno dato ed eseguito ordini di fucilazione, e dall’altra le loro vittime, riabilitate in seguito solo formalmente.
La risposta purtroppo è evidente: una riflessione teologica su questo periodo storico e sui problemi ad esso connessi non è ancora avvenuta. Si può discutere a lungo sulle cause, e ci ritorneremo, ma in questa sede è della speranza che bisogna parlare. Negli ultimi quindici anni si sono registrati alcuni sporadici tentativi di riflessione, poi tre anni fa è stato creato un importante programma internazionale, «La teologia dopo il GULag», ove si cercano risposte e una visione condivisa.
Responsabile del progetto è Katja Tolstaja, docente della Facoltà teologica della Libera università di Amsterdam. La studiosa parte dal fatto che «la teologia accademica è una disciplina che può elevarsi al di sopra della farsa politica odierna e delle “guerre della memoria”», mentre la «teologia dopo il GULag è chiamata a contribuire all’interpretazione interdisciplinare e interreligiosa del passato sovietico in tutta la sua complessità».
L’ultimo dei convegni organizzati, dal titolo «L’eredità del GULag: storia, memoria e sacro nella Russia postsovietica», si è svolto ai primi di giugno 2018 ad Amsterdam e ha radunato studiosi da Gran Bretagna, Germania, Olanda, Kazachstan, Canada, Polonia, Russia, USA, Francia e Sud Africa. Gli interventi sulla situazione in Africa permettono di ampliare notevolmente l’orizzonte, poiché gli studi teologici nel campo della «teologia dopo…», iniziati a metà degli anni ’60 del secolo scorso con la «teologia dopo Auschwitz», non si limitano solo all’Europa orientale e occidentale. L’Africa sta affrontando gli stessi problemi nel campo della «teologia dopo l’apartheid».
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Sergej Čapnin
Giornalista, già caporedattore della “Rivista del Patriarcato di Mosca”, è membro del Comitato di redazione per la pubblicazione delle opere di p. Men’. Fra i suoi interessi, l’architettura e l’arte liturgica.
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